Una volta una prof mi disse che avevo l’aria da americana. Un signore anziano in pullman, invece, prese me e una mia amica per polacche, ma lo seppi solo dopo che lei mi trascinò fuori farfugliando qualcosa riguardo a delle proposte ridicole. A quanto pare per certe persone basta che hai capelli e pelle chiara per nominarti cittadina onoraria del primo paese dell’est che gli viene in mente. Non ho l’accento tipico di dove sono nata e nemmeno quello storpiato del paese di provincia dove sono cresciuta e dove, comunque, gli autoctoni non perdono mai occasione per farti notare che poichè non hai parentele con nessuno potrai vivere lì anche per i prossimi duecento anni ma non ti faranno mai sentire una di loro. Per fortuna frequento più la mia cara Federico II che loro.
In pratica quando mi chiedono di dove sono non so mai bene cosa rispondere, perchè non vivo dove sono nata e viceversa, e non mi si riconosce da un qualunque tratto caratteristico, almeno a primo impatto. Questa cosa mi da’ spesso da pensare, soprattutto quando viaggio. Viaggiare è una delle cose che amo di più forse perchè, pur avendo delle origini, non ho radici molto forti. Spesso penso che la mia “casa” sono le persone che conosco più che dei luoghi veri e propri. Ditemi voi come potrei non sentirmi un po’ a casa quando il compagno di mio cugino di ritorno in Spagna mi abbraccia forte prima di ripartire, conoscendomi da appena 24 ore. Mi ha emozionata e lasciata di stucco (e la mia baby-cugina completerebbe la frase con “…è un barbatrucco!!!” che ormai le parte in automatico, dopo ore ed ore di viaggio nel 9-posti mi ha insegnato una serie di sigle e citazioni direttamente da rai-yoyo).
Oltre alla destinazione a me piace tanto il viaggio in sè. Adoro il decollo a tutta velocità di un aereo, la costa che si allontana stando a bordo di una motonave, il più o meno dolce cullare di un treno in corsa, le autostrade che mi ricordano sempre quel mito della Route 66. Lo so, è un po’ esagerato, però un piccolo sforzo di immaginazione e il primo Autogrill sulla strada diventa quella sgangherata stazione di servizio di cui hai tanto bisogno in mezzo al deserto. Entri lì dentro di notte che stai morendo di sonno, incroci lo sguardo del tizio che ti sta preparando il caffè e sai che state pensando la stessa cosa l’uno dell’altro, ovvero chissà com’è che si trova qui a quest’ora. Senti parlar romanesco, toscano, inglese, francese, vedi turisti, uomini d’affari, ragazzi in gita, una signora ti chiede in francese se i bagni sono tutti occupati e tu rispondi non si sa bene in quale lingua perchè t’ha presa alla sprovvista ma lei capisce lo stesso, trovi la pasta di Gragnano affianco alle specialità liguri, i camper bellissimi parcheggiati vicino ad auto che scoppiano quasi per quanti bagagli portano, e in base a dove ti trovi fai visita alle toilette più alla moda con tanto di distributore di sapone a sensori di movimento a quelle dove ti guardi continuamente intorno perchè sembra che da un momento all’altro stia per saltarti addosso un maniaco.
Infine siamo giunti a Torino, bella città, anche se i quartieri residenziali in provincia mi sembrano un po’ freddi, ma fatti bene e funzionali.
Il matrimonio è stato stupendo, gli sposi innamoratissimi, maestosa e piena di fascino la chiesa della Parrocchia di S. Secondo al centro della città (la foto sopra, fatta da me), elegantissimo il ristorante a Moncalieri, tanto che all’improvviso mi sembrò di essere finita ad un raduno del club Ferrari, mentre in realtà ero al tavolo (come da tableau de marriage, che per me tanto somigliava più ad un piano d’evacuazione) con gli zii della sposa, torinesi doc con i quali ho avuto conversazioni più interessanti di quelle solite con persone che ti conoscono con domande del tipo “E tu ti sei fidanzata?” e tu rispondi di no, purtroppo, mentre un attimo prima nella tua testa senti che il general maggiore ha già dato l’ordine di sparare a vista sui formulatori di domande moleste. La soddisfazione dell’insegnare ad una torinese qualcosa di napoletano, poi, non ha avuto prezzo. Avrei voluto imparare anche io due parole in piemontese, ma lei non ne conosceva. Una specie di Napoli-Juve si è giocata nella sala da ballo a suon di balli sfrenati. E lì è stato il momento che le cravatte austere si sono allentate ed ho capito che tra persone intelligenti e che sanno divertirsi certe differenze contano molto, per fortuna, altrimenti quei magnifici scambi di energie positive non avrebbero gradiente per poter avvenire e i sorrisi non potrebbero essere sinceri e gioiosi come quelli di chi sa che esperienze così non ne capitano spesso e c’è da godersi ogni momento irripetibile.
Al ritorno, nella mia testa i ricordi da portar via con me facevano a botte per trovar tutti il proprio posto, poi ho promesso che qualcuno l’avrei lasciato qui e si sono poi calmati. Per fortuna, perchè guardando fuori al finestrino cercavo di prendere nota mentalmente di tutti i posti nei quali vorrei tornare, dove incontrare altre persone che saranno un po’ parte di me, dove trovare ancora un po’ di “casa”, non importa quanto, basta solo che sia abbastanza da non poterle dimenticare mai più.
Ricordo il professore di fisica dire che anche stando fermi è più giusto dire che cadiamo, e quindi ci muoviamo, continuamente. Questo poteva dare un senso a tante, tante cose. Poi ogni vita è un viaggio, forse la somma di tanti. I vecchi scrittori hanno scritto di tantissimi viaggi, cambiamenti spaziali in terre lontanissime e che magari non esistevano neanche. I moderni e contemporanei hanno portato i lettori invece a viaggiare stando fermi, in sostanza leggere è anche questo.
Ci sono infinite frasi, libri sull’argomento, c’è la Divina Commedia, On the Road di Kerouac. Ma personalmente preferisco sempre le frasi di Matsuo Basho che ha vissuto in viaggio.
“I mesi e i giorni sono viaggiatori dell’eternità, così gli anni che fanno lo stesso. Coloro che passano le loro vite su navi o che invecchiano guidando i loro cavalli son sempre in viaggio, e le loro case sono ovunque i loro viaggi li porteranno.”
“Ogni giorno è un viaggio e il viaggio è una casa di per sé”
Tutto è sempre un grande viaggio…
P.s. Da ricordare mio fratello che disse che eri una danese 😉
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Aah giusto me ne ero dimenticata! Ahah niente da fare la teoria è confermata allora 😛
Che il viaggio è una casa di per sè è proprio la considerazione che mi mancava… il tuo prof aveva ragione, perchè in effetti ogni minima decisione che prendiamo non fa altro che generare entropia e questa è evoluzione, movimento, una freccia puntata verso il futuro. Per cui non si sta mai fermi davvero 🙂
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Conta solo il viaggio mai la metà
Questa e’ l unica cosa che mi ha insegnato la vita. Non importa se non si arriva da nessuna parte ma solo se quel pezzo di strada che di e’ fatto ci ha emozionato. Molti se lo scordano specie dopo che è finito un amore o perso un lavoro
La non appartenenza a nessun luogo come ogni cosa da vantaggi e svantaggi. Non esistono per fortuna leggi universali la parte quella sulla stupidità di certi uomini
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No per fortuna non esistono, infatti, credo l’importante è non lasciarsi limitare nè in un caso nè nell’altro. Come chi non viaggia per non abbandonare la propria terra o chi controlla le proprie emozioni per non affezionarsi a nulla. C’è il rischio di perdersi tante cose…
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mi hai fatto sorridere quando hai detto che non sai cosa rispondere quando ti dicono di dove sei,perché vivo la stessa sensazione.sono nato in un posto,da sei anni mi sposto (prima per studio,ora per post studio!) e le mie valigie sono sparse.ormai l unico vero bagaglio sono le esperienze e le persone incontrate. perciò come per te , son la mia famiglia in un certo senso 😉 grazie per il following,ti seguirò anche io con molto piacere 😉
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Mi fa davvero molto piacere e grazie a te anche 🙂
Dici bene “sensazione”… è quando cerchi di far mente locale e ti chiedi “Ma dove vivo io?” e ti rendi conto che la risposta è “casa mia, ovvio… però, aspetta… ho lasciato un po’ di cuore da tante altre parti…” e allora sai che stai vivendo anche in quelle lì! Dalla tua esperienza vedo che lo sai anche meglio di me 🙂
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