Finì di mangiare la sua pizza e sorseggiando la birra si guardava intorno. L’aria era quella delle più piacevoli di inizio estate. Le candele poste ai lati della strada tremolavano e V. sorrideva con l’aria soddisfatta di chi da quell’atmosfera aveva carpito qualche riflessione degna di nota. Almeno per lui. Allora avrei dato qualsiasi cosa per capire cosa gli passasse per la testa. Una persona estremamente complicata e sibillina nelle parole, nei gesti, nei pensieri. Ti inviava un sms e tu stavi almeno 10 minuti buoni a capire cosa intendesse.
Io stavo finendo la mia pizza. Pensavo che in fondo aveva fatto tutto lui. Fu lui che quella sera di 8 mesi prima mi sorrise in treno senza che ci conoscessimo ancora e si presentò nel bel mezzo del mio momento di relax di fine giornata universitaria. Sarei arrivata alle 19 a casa e quei 40 minuti di viaggio pensai di impiegarli dando uno sguardo agli appunti del corso di Geometria. Relax in quei mesi era una parola da poter usare solo in senso ironico, giacchè 12 ore dopo mi sarei di nuovo trovata su quel treno, nel senso di marcia opposto. Chiacchierammo un po’ ed arrivata alla mia stazione scesi, senza sapere se l’avrei mai più rivisto. Fu in quel periodo che il mio inconscio decise che io dovessi a tutti i costi capire il concetto di “coincidenza”. Che poi divenne “sincronicità”. Che poi divenne “Legge dell’Attrazione”. In poche parole avevo bisogno di capire per quale diavolo di motivo riuscii ad incontrarlo in tutto quasi un’altra decina di volte senza mai darsi un appuntamento, per caso, in luoghi ed orari imprevedibili.
La sera della pizza, però, come ho accennato, combinò tutto da solo. Ancora non ho capito se prese al volo l’occasione o era suonato davvero. Nel pomeriggio gli avevo accennato in chat che avevo bisogno di dirgli una cosa, che adesso nemmeno ricordo più, tanto che era stupida. Lui disse di vederci al bar, avremo potuto parlarne da vicino. Bah. Accettai perchè in qualche modo mi aveva presa ed ero felicissima. Il motivo dell’incontro si esaurì subito e finimmo a parlare di tante altre cose. O meglio, parlava lui. Ricordo che accennammo anche alle somme di Riemann. Mi dissero, dopo aver sentito questa, che forse era quello giusto per me. Abbastanza fuori di testa. Dopo il bar, la pizza.
Alzai lo sguardo dal mio piatto e notai che mi stava fissando. Sempre sorridendo. Sostenni lo sguardo per un po’ e mi girai. Capii cosa significa essere passati ai raggi-X. Adesso mi volto e lui sta guardando da un’altra parte, pensai. Diavolo e invece no. Era ancora lì. Allora sorrisi anch’io e cercai di pensare velocemente per chiedergli qualcosa e distoglierlo. Per fortuna mi ricordai del suo nickname in chat. Gli chiesi cosa significasse. Lui si guardò a lungo intorno e con l’aria più superficiale di questo mondo disse che era una cosa di tanto tempo prima e che ormai lo rappresentava in pieno. Fantastico, dissi nella mia testa.
Non ripeto qui il nick, ma in parole povere stava a significare che lui era oramai un uomo incapace di amare. A poco più di 30 anni l’amore era già qualcosa in cui non credere più. Alla faccia di tutte le prospettive di vita felice. Poi scoprii che gliel’aveva ‘appioppato’ la sua ex. Quella precedente alla sua ragazza, ovvero quella con cui aveva litigato giusto il giorno prima di uscire con me e che rompendomi le scatole con un profilo falso di facebook aveva provveduto a rendermi nota la situazione. Già perchè il genio le aveva parlato di me. E lei gli disse del profilo falso e lui non disse nulla a me. E io li mandai a fanculo tutti e due.
E lo rividi, ormai ero abituata a vederlo comparire davanti ai miei occhi quando meno me l’aspettavo. Disse che si erano lasciati. Dal basso dei miei 19 anni gli dissi che si erano comportati come degli immaturi. Lui letteralmente scappò via. Mesi dopo, ancora in quel treno, ancora per caso, lo incrociai. Ero già alla porta pronta per scendere. Lui saluto con la mano, con un viso inespressivo. Io accennai un sorriso, perchè rancore non riesco a portarne. Anche se una fiducia spezzata resta tale, la rabbia può ridiventare serenità. Lui portava ancora il peso di due storie finite. E’ normale, capii, che pensasse io fossi un’aliena. Doveva pensarlo, per forza, perchè alla mia risposta mi guardò con l’aria di uno a cui è stato detto che gli unicorni esistono davvero.
Già, perchè la domanda, quella sera, la rivolse anche lui a me.
E tu, perchè ti chiami Bloom? Scommetto che sei una fan dell’attore, Orlando.
Oh no, no. Non lo sono. Sorrisi. Bloom è una fata. Hai presente quel cartone animato italiano, le Winx? Bloom è una di loro. E’ l’ultima fata della Terra. L’ho scelto come nick per ricordarmi di non crescere mai troppo, di restare bambina da qualche parte nel cuore, stupirmi, sorridere, pensare a cose assurde e stupidaggini varie e provare a godermi la vita meglio che posso. Gli adulti che hanno cacciato via il bambino dentro di sè tendono ad essere tristi, cinici a lamentarsi di continuo, sono fieri di essere cresciuti, ma non hanno capito bene a cosa serve esser grandi.
Persone così esistono. Non le ho inventate io. Mi capita di incontrarle.
Altre invece le incontri per capire com’è che non vorrai mai diventare.
Mi riaccompagnò a casa e mi prese la mano stringendo forte. Soltanto quella volta nei suoi occhi riuscii a leggere cosa stava pensando. Almeno credo. Una parte di lui era con me, con le mie idee pazze. Un’altra parte era ferita ed era quella che gli metteva sul viso quell’aria sfiduciata. E in quella parte io non avrei mai potuto metter piede.
Da qualche giorno è uscito il nuovo singolo di Avril e mi ha fatto ripensare alla storia dei nickname. Here’s To Never Growing Up.
Nel senso di rimaner giovani. Crescere e rimanere giovani. E’ una delle cose migliori che ci si possa augurare…
Nel video ci sono le lyrics 😉