Le cose cambiano d’aspetto sotto una luce diversa. Anzi, senza, non le vedremmo proprio. La luce definisce i colori. E i confini, i contorni, le forme. E nemmeno si mostra per intero agli occhi. Si nasconde in lunghezze d’onda che loro non possono percepire. Quando le pare ci gioca e nei tuoi ci finisce a tradimento, all’improvviso e loro se la prendono, eh. Scende una lacrima. Che porta con sè un po’ della matita nera che sfidando il caldo era rimasta attaccata, fedele, alla pelle.
Maledetto raggio di sole. Quelli lì erano i tuoi capelli. Il tuo profilo. Il mento e la barba e la testa un po’ inclinata e le mani che gesticolando accompagnavano le parole. E quella perfino una camicia che dovevo averti visto addosso una di quelle volte che il cuore s’è perso un battito tra le aiuole ai lati della strada adiacente. Se ne è persi parecchi, in realtà. Un po’ perchè aveva imparato e guidava i passi per trovarsi lì, in quel punto e in quel preciso istante. Altre volte ci finiva davvero per caso. Con tutto ciò che per caso vuol pretendere di significare. La parola coincidenza deve averla inventata quel furbo lì. Tanto per levarsi dai casini. Se solo si sprecasse a dare una spiegazione logica, ogni tanto. Invece no, coincidenza è perfetto. Così lui non c’entra nulla. Tu ti ritrovi lì e non sai perchè. Non è colpa di nessuno, o di nessuno che rientri in quello spettro di luce visibile, almeno.
Colpa, poi. Suvvia, casomai merito. Perchè tante volte quel sorriso, in beffa alla luce, illuminava tutto in maniera più forte e più bella. Alla faccia dei fotoni. Se ne sarebbero pure potuti tornare a casa loro, qualche migliaio di chilometri lassù.
L’immagine che mi era apparsa davanti eri tu, seduto al’ombra del gazebo, in strada, parlando con qualcuno al tuo fianco. Di lì a pochissimi metri avrei cercato anch’io un posto all’ombra e chissà, uno sguardo. Dove gli occhi non arrivano ci pensa la testa a metterci una pezza. A completare l’immagine. Come se ci fosse una zona buia che deve sembrarti così inopportuna che in automatico, voilà, è lì che appare il pezzo mancante del puzzle.
Mezzo metro. Mi chiedo pure che ci fai lì, che nemmeno ti ci avevo mai visto in quella pizzeria. In effetti altre volte mi sono chiesta, mentre appena mi rendevo conto di esser sveglia e che un raggio di sole filtrato dalla persiana ancora abbassata tentava di convincermi che fosse già mattino, che ci facevi lì. Lì, quel luogo assolutamente libero di inventarsi idee di spazio e tempo o di sentirsi così stretto ed imbrigliato in esse da potersene fregare altamente, lasciando a te l’ingrato compito, appena aperti gli occhi, di collocarti di nuovo in un qui e un ora. Che ci facevi tra immagini senza senso, volti inventati e altri un po’ meno, nonostante fosse da tempo oramai che mancavi anche dai sogni ad occhi aperti.
Un istante. Giusto il tempo che quel raggio di sole rimbalzi via dai miei occhi. Giusto il tempo che, passando una mano tra i capelli mossi dal vento, mi accorgo che non ci sei più.
Il modo tuo d’amare
è lasciare che io t’ami.
Il sì con cui ti abbandoni
è il silenzio. I tuoi baci
sanno offrirmi le labbra
perché io le baci.
Mai parole e abbracci
mi diranno che esistevi
e mi hai amato: mai.
Me lo dicono fogli bianchi,
mappe, telefoni, presagi;
tu, no.
E sto abbracciato a te
senza chiederti nulla, per timore
che non sia vero
che tu vivi e mi ami.
E sto abbracciato a te
senza guardare e senza toccarti.
Non debba mai scoprire
con domande, con carezze
quella solitudine immensa
d’amarti solo io.
Dai, oggi ti ci sei ritrovata davanti, non dirmi che avresti fatto come nel video. Eri troppo stanca, ti facevano male le gambe per quanto hai camminato, più di quanto avevi in programma oggi.
E che ne sapevo io che la fermata della metro era dall’altro lato, e che avevo preso la direzione sbagliata.
Appunto. E dimmi tu se avresti avuto la forza, anche solo mentale, di metterti a saltellare su e giù per le scale solo per sentire venirne fuori una melodia. Sudata e stanca e con altro cammino da fare.
Lo so, infatti ho preso le scale mobili. Però non capisco la questione qual è, lì non c’era mica tutto l’allestimento come nel video.
No non c’era. Ma se ci fosse stato? Non avresti comunque mandato al diavolo tutta la tua mirabile riflessione a riguardo? Per un momento l’hai immaginato, sorridendo. E avresti preso le scale mobili lo stesso.
Come faccio a saperlo? Non c’era e basta. Può darsi di no. E non usare quel tono sarcastico. L’ho immaginato, si. E poi non ho mai detto che in maniera sistematica avrei sempre fatto quel tipo di scelta. Te capisci sempre quello che vuoi tu. Era una similitudine.
Ah giusto.
Non capisci che è tutto illusione? Suggestione? E’ come in una gara. Quella che arriva prima vince. Cosa? Un posto in prima fila nella tua mente. Che s’affanna a capire, ti costringe a restar sveglia fino alle 3 di notte senza nemmeno rendersi conto che è incapace di formulare pensieri di senso compiuto.
Esempio, il tizio questa mattina che ha chiesto “Ma sei italiana?”. Una di queste volte per sfizio dico di no.
Oppure il Jack Daniel’s mischiato alla Cola che ti hanno fatto assaggiare. Non stai bevendo nè l’uno nè l’altro. T’illudi che sia meno alcolico ma comunque abbastanza figo. Bah. Quando giochi a guardare le strade del tuo paese con gli occhi di un forestiero. Finisci per scoprirne un angolo che non avevi mai notato. O cogli per qualche istante un senso d’insieme, nella tua città. Nello stesso momento arrivava profumo di pane appena sfornato, una melodia da una chitarra alla tua sinistra e davanti a te i mille colori di una vecchia bottega che della crisi sembra fregarsene, c’è sempre stata e forse ci sarà sempre. Passando di lì saranno stati tutti presi dalle stesse suggestioni? Chi lo sa. E’ poco probabile. C’erano decine d’altre cose da notare. In quel preciso istante, in quel punto esatto della città chissà quante impressioni diverse sono nate. C’è chi potrebbe dartene una versione negativa, positiva, divertita, incuriosita, impaurita, arrabbiata o delusa. Dipende da chi ha vinto la gara. Grandi illusioni muovono il mondo. Diciamo che quelle di media grandezza t’aggiustano la giornata.
Una volta non eri esattamente entusiasta di questa storia delle illusioni. Te e Foscolo vi siete guardati di traverso per una decina di giorni, prima di deporre le armi.
Non cambiare discorso. Non è proprio la stessa questione. Il punto sul quale riflettevo è un altro. E te lo spiego per l’ennesima volta. Sarà quella buona che t’arrendi. Immagina che è in corso questa gara. E che in qualche maniera puoi deciderne le sorti.
Cioè imbrogli.
Chiamalo come ti pare. Puoi diventare uno dei piloti, o il direttore di gara o la gomma dell’avversario che decide di scoppiare o una tempesta di sabbia che costringe tutti al ritiro. Ci sei? (E poi non è un imbroglio, la testa è la mia e decido io.)
D’accordo. Allora immagino che fai vincere chi vuoi tu. O almeno, cerchi di sistemare le cose nella maniera che ti è più congeniale.
Ecco.
Si ma puoi promettere qui, adesso che ci riuscirai sempre? Che cambierai sempre la classifica? Che costruirai il tuo mondo come ti piace o che metterai la firma sotto ad ogni suggestione almeno decente che ne vien fuori come se fosse un progetto?
Non dimenticare che tutto questo è un esperimento mentale. Un gioco. Ci stiamo ritagliando questi minuti per capire com’è che all’improvviso ti prende la malinconia e manderesti ogni cosa al diavolo. Anche la più bella.
Forse perchè nessuno è poi ‘sto gran pilota. O non hai sempre voglia di correre. O perchè il bello è anche lasciare che se la sbrighino tra loro e vedere che succede. Qualche volta capitano incidenti tremendi. Volano pezzi da tutte le parti. Si fanno fuori a vicenda e l’unica superstite arriva al traguardo tutta malmessa e ammaccata.
Una cosa che davvero non sopporto sono i giudizi superficiali. Quando così, alla leggera, si spara a zero su qualcuno o qualcosa senza nemmeno approfondirne la conoscenza. Anche di un minimo. Il più delle volte si tratta di una sorta di trappola, nella quale non è difficile cadere, anche per la sottoscritta. Ma almeno provo a tenere a freno la lingua e ad odiarmi profondamente quando una certa apparenza fa si che scattino nella mente considerazioni affrettate e fuori luogo.
Anni fa ero al bar di fronte alla mia scuola con mia madre. Eravamo in fila davanti al bancone per ordinare e dietro di me c’era un’altra ragazzina che a stento conoscevo. Ad un certo punto, con aria allucinata mi disse -Ma tua madre è straniera??-.
Perplessa, la guardai. Cercavo in qualche maniera di capire com’è che fosse arrivata a quella brillante deduzione. Non che ci fosse qualcosa di male o di strano in un’affermazione del genere, ma ero curiosa di sapere in che modo potesse apparire tale, visto che l’idea non mi aveva mai sfiorata minimamente. Le dissi allora -Perchè, scusa?- e lei, che sembrava ignara del fatto che mia madre intanto seppur di spalle stava ascoltando l’improbabile conversazione, si affrettò a dire che poichè biondissima, carnagione e occhi chiari e inoltre non spiccicava parola, non poteva che essere straniera. Elementare, Watson. La rassicurai sul fatto che fosse nata e cresciuta in Italia, ma non contenta aggiunse -Davvero?- al che risposi -Si cara, penso che se non fosse stato così l’avrei certamente saputo-. Immagino che se ne fece una ragione, visto che ordinammo e andammo via senza dire altro.
Quella però non fu l’unica volta che capitò una cosa del genere. Qualche tempo dopo, infatti, ci trovavamo da Tezenis a fare shopping. Si avvicinò una signora che, senza accorgersi che mia madre stesse di spalle e immersa ad esaminare delle taglie, chiese -Scusi, ma secondo lei questo è un pigiama?-. Non pervenì risposta e io che vidi la scena da poco lontano notai che proprio non aveva sentito la signora. La quale imbarazzata concluse -Ah si vede che è straniera, non mi ha capita.-. Mi guardò per cercare conferma della sua considerazione. Io non riuscii a dir nulla prima di scoppiare a ridere e mentre mia madre si stava voltando attirata dal movimento, la signora andò via contrariata. Le raccontai velocemente cos’era accaduto e finimmo a ridere di nuovo.
In seguito a questi due episodi iniziammo a rassegnarci. Già parlai della volta in cui una mia amica ed io fummo scambiate per polacche da un signore anziano in un pullman. Addirittura mia madre mi racconta che quando incontra donne dell’est nei mezzi pubblici nota espressioni di sollievo sui loro volti. Come se si rilassassero nel vedere una presunta conterranea.
C’è una donna dell’est che vive ormai da anni nel nostro paesino che sente un particolare feeling con mia madre. E’ una bella donna, alta, bionda, che ce la mette tutta per integrarsi e sentirsi del posto. Vorrei dirle che è una vita che ci provo io che son nata soltanto a 40 km di distanza, ma tralasciamo. In particolare quando vede mia madre, che sia al supermercato o nella sala d’aspetto del medico, diventa pure più spigliata, come se avesse vicina un’alleata. Anche se più che alleata è semplicemente aperta e di modi gentili, come con chiunque altro. Un giorno mi feci raccontare la storia di questa signora. Una storia che tutti hanno sentito almeno una volta. Quella classica. Venne in Italia da ragazza, trovò lavoro come colf in una famiglia della quale dopo anni fece proprio parte, perchè la coppia si separò e iniziò una relazione tra lei e il capofamiglia. Qui nasce uno dei giudizi più superficiali che si sentono dire in giro. Le donne dell’est sono delle rovina-famiglie. Arrivano belle, sempre in tiro e sensuali a conquistare (per rubarne i soldi, ovvio) l’uomo di turno scontento della propria relazione coniugale. Per cui vengono additate e allontanate dalle donne italiane che si sentono offese dalla loro presenza. Io non nego che ci siano anche casi del genere. Dall’altro lato però io vedo tante, tante donne italiane che non aiutano la situazione per niente.
Per non farla tragica, vorrei solo ricordare un punto del monologo di un comico, che al momento non ricordo chi è, che diceva più o meno così: “Le mogli se la prendono sempre con i mariti. Non c’è niente da fare. Quando lui torna la sera a casa dopo una giornata di duro lavoro, stanco, distrutto, che a stento trascina i piedi a terra per camminare e prova a dire -Non ce la faccio più, sono esausto, oggi il lavoro è stato pesante- lei risponde sempre -Eeeeh tu sei stanco? E che hai fatto? Sei solo andato a lavoro. La MIA giornata è stata pesante. Da stamattina ho fatto i letti, ho spazzato, fatto i panni, stirato, lavato a terra, fatto la spesa, presi i bambini a scuola, cucinato, lavato i piatti, spolverato e mo ti sto preparando pure la cena. Io nun c’à facc’ cchiù. Io ho lavorato. E mi vieni a dire pure che sei stanco. Guarda qua come sto combinata io! E la giornata ancora non è finita! E poi tu non fai mai niente in casa!-“.
Ed è così che sembriamo anche da fuori, trasandate e isteriche. Questo mi fa arrabbiare, perchè appunto ho avuto modo di capire di cosa sono capaci superficialità e ottusità. Generano incomprensione, scontentezza e pregiudizio. E una facilità spaventosa nel dare la colpa allo straniero, piuttosto che a se stessi. Come se ci fosse bisogno della bionda-fatale per far finire un matrimonio, in queste condizioni, senza considerare che basterebbe anche un’altra italiana messa un po’ meglio.
E invece no. E’ colpa della colf. E, da qualche anno, è colpa dei cinesi se l’economia italiana va a rotoli. Relazioni causa-effetto da brividi. Non è che, per dire, i cinesi trovino terreno fertile per i loro affari in un Paese dove l’economia fa schifo di suo? E nel frattempo, io continuo a vedere gente ipocrita pronta ad additare il diverso come una minaccia. Ipocrita perchè quella minaccia un istante prima le fa comodo, quello dopo ne sparla tremendamente. L’altro giorno entrai in un negozio d’abbigliamento cinese. Non mi faccio alcun problema, soprattutto da quando ho scoperto che la mia adorata felpa Ferrari ha un bel Made In China stampato sull’etichetta. Presi una graziosa maglia a stampe floreali e mi avvicinai alla cassa. C’erano due signore avanti con l’età davanti a me che tentavano in ogni modo di tirare sul prezzo di ciò che stavano acquistando. Dietro al bancone una giovane cinese con aria smarrita. Ripeteva come un disco rotto che la merce era già in saldo e non poteva fare ulteriori sconti. Quel po’ di italiano che sapeva l’aveva già esaurito da qualche minuto. Le signore continuavano ad insistere e lei non sapeva più come farglielo capire. Era imbarazzata e spaesata. Mi sentii male per lei. Chi diavolo ha il diritto di pensare anche solo per un istante che persone come lei si divertino a vivere in un Paese di cui non capiscono lingua, usi e costumi e non amerebbero mille volte di più guadagnarsi quei pochi soldi tra la propria gente? Se fosse stata un’italiana al primo NO avrebbero desistito subito. E’ italiana, magari ha figli da sfamare a casa e sta lavorando sodo. Quella lì è straniera, invece, è venuta qui solo per prendersi i nostri soldi, è giusto metterla in croce più del solito. E’ così che si ragiona. Almeno avessero un minimo di coerenza. Se disprezzi tanto, non venirci proprio. Mentre pensavo a queste cose e ad una maniera per farglielo capire senza essere troppo scortese la cinese mi notò. Capì che a causa loro stavo aspettando da un po’ e il fatto che le stessi guardando la mise in ulteriore imbarazzo. Decise allora di mettere le signore in stand-by da un lato del bancone e far pagare prima me. Fece in modo che ne guadagnassimo entrambe. Io mi sbrigavo, lei prendeva tempo e si toglieva un paio di occhi di dosso. Infatti dovetti andar via e mentre uscivo sentivo le signore finalmente capitolare.
Chissà quante volte le sarà successo. Chissà quanti sguardi accusatori la bionda deve sopportare ogni giorno. E ci sarebbe un elenco infinito da fare. Chi può giurare che un giorno non potrà trovarsi nei loro panni in un Paese sconosciuto a fare un lavoro che non gli piace con il pensiero rivolto costantemente ai propri sogni, sempre che ce ne siano ancora? Chiunque può apparire straniero agli occhi di una qualunque altra persona. Non è così difficile. E non lo sarebbe nemmeno mordersi la lingua una volta in più e dire una stronzata in meno. Perchè per una volta si potrebbe guardare negli occhi chi si ha di fronte e vederci del dolore. Un’ombra sul viso, che scappa via veloce mentre una finta espressione spavalda prende il suo posto.
Nell’esser pronti a riconoscere che anche noi siamo degli stranieri per loro che non sono nati qui, ci scommetto che ne potremmo guadagnarci tutti.
Un sorriso.
“Voglio sapere, puoi farmi capire? Io voglio sapere di questi stranieri come me
Dimmi di più, per favore fammi capire C’è qualcosa di familiare in questi stranieri come me…”
Da piccola adoravo tormentare chiunque mi capitasse a tiro, abbastanza paziente, con il gioco dei perchè. Non so se esiste davvero e se lo conosce qualcun altro, oltre mio fratello e me. Consisteva nel fare all’altra persona una domanda, una qualsiasi, anche stupida, a patto che iniziasse con perchè. Ricevuta la risposta, si partiva con un’altra domanda inerente ad essa e sempre iniziando con perchè. E si andava avanti all’infinito, finchè l’altro non avesse perso la pazienza o si finisse su questioni del tipo chi siamo, dove andiamo, da dove veniamo o al contrario su risposte totalmente inventate e surreali, ridendo come matti. E poi si ricominciava, sempre che non fosse giunto prima un inizio di mal di testa. La durata del gioco dipendeva dall’impegno che l’altro ci metteva a dare le risposte, perchè il domandare era solo un continuo mettere in discussione ogni sua affermazione.
Non so se fosse più divertente vedere gli adulti arrabattarsi nel tentativo di dire cose che fossero il più intelligente possibile o il ricevere risposte a domande che, quando hai meno di 10 anni, per te rappresentano il mondo intero.
Più si va avanti, però, meno persone trovi disposte a giocare con te. Perchè non sono concesse le domande stupide o perchè la pazienza di rispondere si è esaurita già da un pezzo. O forse perchè non vogliono e basta, secondo modi di pensare del tutto personali. Che però a te tolgono qualcosa. Ti spengono. Come accadde con il mio prof di matematica durante l’ultima interrogazione prima dell’esame di Stato. Mi mise davanti una funzione difficile di cui fare uno studio. Non ne avevo mai vista una del genere, ma lo portai a termine e mi chiese di disegnarne il grafico. A quel punto, però, esaurite energie mentali e capacità di improvvisazione, non sapevo che fare, non avendo idea di come si rappresentasse una funzione che vedevo in quella sede per la prima volta. Lui mi guardò, pieno di ammirazione e mi disse che ero stata brava, davvero, e che lui non aveva bisogno d’altro. Andava benissimo così e prese il foglio da sotto al mio naso. Mi mise un voto decisamente alto e mi congedò. Io non mi mossi. Volevo sapere. E che cazzo. Conclusa l’interrogazione dimmi almeno com’è che si faceva. Si rifiutò, sempre sorridendo come se nulla fosse. Lui era contento di come me l’ero cavata. Io soddisfatta, senza dubbio, però mi sentii come se mi avessero chiuso in una scatola. Questo è quello che ti è dato sapere, non di più, cercati qualcun’altro che te lo spieghi.
In momenti così si innesca uno strano meccanismo, non del tutto volontario. Perdi una risposta, perdi anche la tua prossima giocata. Hai il colpo in canna, ma preferisci non sparare. Conservi il prossimo perchè per un’altra volta.
La volta in cui un nuovo prof, questa volta nella grande e sconosciuta università, nella quale nessuno che conoscevo aveva mai messo piede, la scatola la riapre. E mi sentii come se mi fosse concesso di respirare di nuovo. Era concesso capire e andare oltre i propri limiti. Un massimo assoluto non credo che esista, ma in maniera relativa puoi sempre, sempre spostare i tuoi limiti un po’ più in là. Nessuno, mai, ha il diritto di tracciare una linea a terra e dirti che oltre quella non puoi andare, perchè l’ha deciso lui.
Alcuni perchè, invece, li annoti a fine pagina, vicino ad un’equazione o una parola scritta di fretta di cui non hai capito bene il senso. Li lasci lì ad aspettare, non c’è tempo. Avranno il loro momento di gloria, si, ma non subito. C’è da correre, prendere il treno o il pullman e tornare finalmente a casa. Qualche volta si accumulano, qualcuno va dimenticato o si riorganizzano a formare un perchè più grande. L’avranno fatto per ripicca, pensi. Sono pure permalosi. Mai provare a sottovalutarli. Finiscono a giocare tra loro, mai però a trovare una risposta quando riapri il quaderno, eh.
Qualche volta giochi da sola. Alla Marzullo. Fatti una domanda e datti una risposta, pure. Quando il ‘gioco dei perchè’ in solitaria resta l’unica alternativa e al massimo ci sono Google e Wikipedia che ti fanno compagnia.
Dopo un po’ di tempo si acquisisce una certa esperienza, e si sa anche quando non puoi più portarli con te. -E’ pericoloso- gli sussurri. -Voi restate qui, io vado in avanscoperta. Mi becco qualche mazzata e casomai torno a prendervi. State buoni. Qui serve furbizia, duttilità ed intraprendenza. Non fate quella faccia, per favore. E no, non ci provate nemmeno. Occhiali scuri e cappello funzionano solo nei film. E la borsa è già strapiena, non c’entrate. I tipi come voi lì rischiano solo di farsi ammazzare, ed io insieme a voi. Se mi date retta possiamo farcela-.
Vai, non prima di averti strappato la promessa che non accada più. Lo sanno che senza di loro il mondo si ferma. Niente cambiamenti, niente scoperte. Niente conoscenza. E hanno l’indole ribelle, non si possono tenere a bada molto a lungo. Nel migliore dei casi ce n’è sempre uno che continua a saltellarti intorno e tira i vestiti e ti costringe a seguirlo. Guai a decidere di smettere di giocare.
E a proposito, l’unica risposta non ammessa è non c’è un perchè. Quello in questione s’incazza, e poi son fatti tuoi.
Comunicazione di servizio: pare che Bianca, alias Bloom2489, sia stata presa da travolgente euforia post-ultimo-esame, in seguito a festeggiamenti a base di birra e panuozzo, sul quale si è avventata come se negli ultimi due giorni non avesse toccato cibo. In realtà l’ha fatto, ma con la morta nel cuore, tanto che perfino il salumiere che a pranzo le ha venduto una pizzetta che possedeva i requisiti minimi per potersi definire tale, deve aver pensato che stesse per passare un guaio, dall’espressione che aveva in viso.
Si avvisa che nei prossimi giorni potrebbe lanciarsi in riflessioni pseudo-filosofiche miste a improvvisi scoppi d’ilarità, non prima di aver archiviato i milioni di appunti e il librone che ha occupato i suoi pensieri nelle ultime settimane, rito immancabile che avrà luogo non appena avrà la forza di rialzarsi sul divano sul quale è andata a scaraventarsi appena tornata a casa.
Coglie l’occasione per ringraziare le persone che l’hanno supportata (qualcuno direbbe più sopportata) in momenti di acuta depressione durante i quali con grande savoir faire è stata mandata letteralmente a fanculo, soprattutto in seguito a controproducenti attentati alla propria autostima. Tra i tentativi per porvi rimedio, resta memorabile il giorno in cui la sua compagna di (s)ventura A. è piombata alle 8 del mattino sotto casa con Gold degli Spandau Ballet a tutto volume dallo stereo dell’auto. Ricorda anche di aver sperato che i vicini non iniziassero ad odiarla per questo, ma quando il dirimpettaio domenica mattina è partito con tutto il repertorio di Domenico Modugno, mentre lei tentava di trovare un senso alla propria esistenza e a quella dell’equazione dell’equilibrio variato di Eulero, ha desiderato che l’episodio si ripetesse il prima possibile.
Nei prossimi giorni, prima di iniziare la tesi, conta di riappropriarsi del proprio brio ed entuasiasmo e possibilmente non del chilo perso studiando, per la serie l’università-ti-fa-bella.
Quattro. Pesanti come un colpo.
“A Cesare quel che è di Cesare, a Dio quel che è di Dio”.
Ma uno come me dove potrà ficcarsi? Dove mi si è apprestata una tana? S’io fossi piccolo come il grande oceano, mi leverei sulla punta dei piedi delle onde con l’alta marea, accarezzando la luna. Dove trovare un’amata uguale a me? Angusto sarebbe il cielo per contenerla!
O s’io fossi povero come un miliardario.. Che cos’è il denaro per l’anima? Un ladro insaziabile s’annida in essa: all’orda sfrenata di tutti i miei desideri non basta l’oro di tutte le Californie!
S’io fossi balbuziente come Dante o Petrarca… Accendere l’anima per una sola, ordinarle coi versi… Struggersi in cenere. E le parole e il mio amore sarebbero un arco di trionfo: pomposamente senza lasciar traccia vi passerebbero sotto le amanti di tutti i secoli.
O s’io fossi silenzioso, umil tuono… Gemerei stringendo con un brivido l’intrepido eremo della terra… Seguiterò a squarciagola con la mia voce immensa. Le comete torceranno le braccia fiammeggianti, gettandosi a capofitto dalla malinconia. Coi raggi degli occhi rosicchierei le notti s’io fossi appannato come il sole…
Che bisogno ho io d’abbeverare col mio splendore il grembo dimagrato della terra? Passerò trascinando il mio enorme amore in quale notte delirante e malaticcia? Da quali Golia fui concepito così grande, e così inutile?
Sto per vendere la mia auto e andare a Las Vegas Perché qualcuno mi ha detto che è la terra dei sogni Sto per vendere la mia auto e andare a Las Vegas Finalmente vedrò il mio nome all’ingresso del Marquee
Sto per lasciare il mio lavoro e trasferirmi a New York Perché mi hanno detto che è lì che dovrebbero andare i sognatori Sto per lasciare il mio lavoro e trasferirmi a New York E farmi un tatuaggio dopo ogni spettacolo a Broadway
Adesso ascolta tesoro, te ne dispiacerai Non puoi fuggire via da un cielo che sta crollando E tu dici zero fama, zero soldi, non sono nessuno Sono finito in ginocchio per come vanno le cose
Ma … prossima fermata, Las Vegas, per favore. Devo arrivare a Las Vegas, mi ci può portare?
Sto per vendere la mia casa e attraversare il confine Perché qualcuno mi ha detto che è in Messico che si realizzano i sogni Sto per vendere la mia casa, anche a perderci, e attraversare il confine E fare l’amore dolcemente su una spiaggia di sabbia bianca
Adesso ascolta tesoro, te ne dispiacerai Non puoi fuggire via da un cielo che sta crollando E tu dici zero fama, zero soldi, non sono nessuno Sono finito in ginocchio per come vanno le cose
Ma … prossima fermata, Las Vegas, per favore.
È sempre proprio lì dietro l’angolo O sei sul punto di raggiungere qualcosa che sia più grande o migliore Se solo potessi arrivarci… Non è mai colpa tua, non puoi iniziare la tua serie di puntate vincenti Ma odierei perderti a causa del destino di cui vai in cerca…
Sto per perdere la testa e salpare per l’oceano Perchè qualcuno mi ha detto che lì ci sono cieli di un blu purissimo Mi focalizzerò su un’ultima destinazione E dormirò profondamente pensando ad un dolce sogno Che non realizzerò mai…
Adesso ascolta tesoro, te ne dispiacerai Non puoi fuggire via da un cielo che sta crollando E tu dici zero fama, zero soldi, non sono nessuno Sono finito in ginocchio per come vanno le cose
Ma … prossima fermata, Las Vegas, per favore. Mi ci può portare? Ho bisogno di vedere Las Vegas.