*… Patrizia …*

Quando parecchi post fa scrissi che una volta realizzato un sogno ci si sente come fermi in un posto da cui si può guardare alle proprie spalle e allo stesso tempo dare una sbirciata in avanti e parlavo di una nuova rotta da tracciare, non credevo sarebbe stato poi così difficile perfino il reperire carta e penna e idee e voglia. Pensavo sarebbe stato tutto più naturale, più automatico, più semplice. Invece mi sento come se fossi bloccata in un porto e ogni volta che provo ad uscir fuori c’è una tempesta terribile e per evitare di distruggere la barca e finire in mare, da sola, perché intanto la ciurma ha fatto ammutinamento, pure, resto all’interno, ad aspettare che esca il sole.
Senza contare che lì, nel porto, mentre aspetto con la faccia imbronciata, non con le braccia conserte perché morirei di noia, ma facendo tutto fuorché ciò che vorrei davvero, non riesco più a capire chi mi sta intorno. Sembra abbiano iniziato tutti a parlare arabo. E io mi son persa pure il traduttore. Vedo solo un andirivieni di persone, organizzate in gruppi o da sole. Vedo passare qualcuno dei miei marinai che fa comunella con altri che non conosco. Li guardo e mi sento un’estranea. E mi sono scocciata anche di corrergli dietro cercando di afferrare una o due parole che magari traduco male. Da quel poco che capisco, però, sembra che tutti conoscano verità ed etichette alle quali credono ciecamente o fanno soltanto finta di crederci. Bisogna pur credere in qualcosa. Qualcuno ha dei progetti che per quanto prevedano percorsi talmente contorti che mi viene mal di testa soltanto ad ascoltar loro parlarne, gli permettono di sorridere almeno un attimo prima di addormentarsi la sera a letto. Penso che saranno anche fatti suoi, ma dovrebbe smetterla di andare in giro guardando gli altri come se avesse trovato la ricetta della felicità cazzi tuoi se fai diversamente perché poi a me non sembra che per il resto della giornata la sua faccia sia migliore della mia. Certe volte mentre riparo assi di legno o faccio l’inventario delle provviste rimaste qualcuno viene a dirmi che non importa quando sia terribile la tempesta, l’importante è buttarsi. Che non fa niente se dopo mezzo metro un’onda ti sommerge o una potente folata di vento ti spezza l’albero maestro. L’importante è che ci hai provato.
Per me non farebbe una piega se non fosse che la scelta dell’opzione buttiamoci-tanto-possiamo-sempre-tornarcene-a-nuoto sia condizionata non tanto dalla propria volontà ma dagli sguardi di chi ti sta intorno che si sta chiedendo che cazzo stai aspettando mentre non si rendono conto di esser ciechi nei confronti della tua tempesta quanto tu lo sei nei confronti della loro. E sono stufa di chi sorride per far si che gli si sorrida di rimando ma solo alla presenza di terzi che lo notino. Il mio sorriso si è incastrato tra un treno della vita e un ballo della felicità trovati su whatsapp l’altro giorno e la sera dopo ho fatto fatica a tenere a bada il mio cuore che saltellava allegro per un paio di ritornelli ascoltati mentre la tv era distrattamente accesa sul festival di Sanremo, proprio mentre notavo che il pronunciare critiche nei suoi confronti è diventato un sport nazionale quanto lo è il lancio delle frecciatine al di fuori di un campionato di tiro con l’arco. Notavo che non me ne fregava niente perché ogni critica non fa che auto-ingigantirsi come quei cereali che mangiano i pezzi di cioccolata che gli corrono intorno solo per far più paura alle altre.

Mi sono chiesta allora che ci faccio tra persone che non riesco più a comprendere. Qual è il mio posto tra tutti questi riferimenti che non mi arricchiscono più, che non trovo più positivi, che non mi spingono ad essere migliore. Che non mi ispirano a tracciare la mia rotta. So che non è nemmeno saggio fuggire da ciò che non piace sentire, ma allo stesso tempo bisogna saper prendere provvedimenti se in qualche modo finisce per ucciderti dentro. Allora avevo pensato di andare via. Anche solo di uscire dal porto e mantenermi non troppo distante dalla costa, solo in direzione di un porto nuovo, dove si respira meglio. Non verso il mare aperto, che mi aspetta si, ma sono certa che di me non se ne farebbe niente se non fossi almeno un po’ entusiasta di avventurarmici. E pensavo che dovrei lasciare la mia barca per prenderne una più piccola con la quale spostarmi più agevolmente.

Poi ho pensato che quella barca è la mia vita. Che abbiamo condiviso tanto insieme, abbiamo fatto mille percorsi e ci sono cresciuta. Contiene tutto ciò che di più bello e brutto e stupido ed emozionante ho incontrato negli ultimi anni. E supererà anche questa. Magari le cambio un po’ look, chissà. Che si fottano tutti. Andremo insieme verso nuovi porti, verso il mare, verso chi conta davvero. Di sicurezze non ne ho nemmeno io, ma credo che il posto giusto lo si trova restando almeno coerenti con se stessi.

E io vorrei solo essere così come mi piace essere, niente di più.

 

*… C’è Un Qualquadra Che Non Cosa …*

… Quando per la prima volta fai caso al silenzio di un raggio di sole eppure dentro ti senti come se ti avesse appena parlato di ogni cosa bella che ha attraversato nel viaggio che ha fatto prima di giungere a te.

*… Secrets …*

Sarà pure che resterò una tremenda imbranata per il resto della mia vita. E magari resterà sempre un certo fuso orario tra le cose da dire e i momenti giusti per farlo. E sarà sempre un ritorno al mio mondo, sfasato delle volte, con troppa logica in un angolo e troppo poca in un altro, con le contraddizioni e i difetti e gli angoli smussati male, la polvere lasciata accumulare su qualche libro e tremila post-it su cui ne segno altri da comprare, film da vedere, playlist da comporre e ricevute di tasse pagate da scaricare in qualche benedetto modo, biglietti del cinema che conservo sennò dimentico pure i film già visti, brochure di posti da vedere e gli appunti che mi aspettano con pazienza ogni dannata volta che mi scoppia la testa di troppe altre inutili cose a cui pensare, più che a loro. E continuerò a vedermi un giorno in un paio di orecchini di perle, un altro in guanti da motociclista o in vecchie scarpe poco da donna. Un giorno anche in tutte e tre le cose messe insieme. E mi capiterà ancora di bere da bicchieri vuoti, mentre sovrappensiero, sopravvaluto la capacità dell’acqua di materializzarcisi all’interno senza aiuti esterni. Compilerò sempre liste di cose da fare lasciandole poi a marcire da qualche parte, dedicandomi poi a tutt’altro, come se scrivendole magicamente le dessi il dono di portarsi a termine da sole. Il problema vero sarà sempre che tutto questo lasciato così è soltanto rumore. Stupido e inutile. E invece ha in sé un potere meraviglioso. Lo so. Perchè poi non importa proprio nient’altro, quando arriva il tempo in cui ogni singola cosa trova il suo posto, come un gruppo di orchestranti confusi che non sanno dove sedersi per iniziare a suonare. A me non importa davvero niente di più, finchè mi capiterà ancora di voltarmi e accorgermi che ci sarà lì qualcuno e nello stesso momento che quel tutto sta diventando musica, una musica bellissima, la musica vorrei che fosse. 

Questa è la canzone, Secrets, degli One Republic.

*… CronacaDiUnBroncio …*

E d’accordo, immagino che non sia poi così tremendo. Dopo aver scoperto che l’influenza s’è portata via otto giorni che potevano esser sicuramente spesi meglio, due chili e un altro tono di colore dal viso, che in realtà il professore non aveva intenzione di tenermi in ostaggio al dipartimento ma semplicemente aveva già pranzato, lui, mentre io fino alle quattro non ho desiderato altro che divorare lui, le tavole del progetto, matite e scrivanie e che no, non mi stava prendendo in giro quando finalmente pensavo di poter andare via chiedendomi di calcolare l’area di terra da scavare per realizzare la strada in trincea soltanto per farmi notare che mi ero dimenticata di segnare un paio di misure sulla carta millimetrata. Dopo aver capito che con un po’ di impegno non è poi così vano sperare di riuscire a tornare a casa nonostante la sera prima avessi appreso dal tg che su 130 soltanto 20 sono i treni ancora in grado di portartici, tenuto conto che con te ogni giorno ci sperano altri 99.999 pendolari nell’arco di un’intera giornata.
Non è poi così tremendo scoprire, una volta arrivata a casa, che la canzone che avevo beccato alla radio, al mattino e continuato a canticchiare fino a sera, fosse poi dei Tiromancino. Che adesso pubblico un po’ in barba al titolo del mio blog, perchè ho un conto in sospeso con quel gruppo da quando anni fa imparai a memoria senza volerlo il ritornello di Per me è importante che non mi piaceva e non mi piacevano nemmeno loro. Un po’ come accade con la Pausini, di cui impari a memoria i testi senza mai averla ascoltata intenzionalmente. Per me è un complotto.
Nemmeno il video è male però.