Non si calpestano le aiuole, no. Ma sul bordo tutto intorno certo che si può salire. Salire e camminarci su seguendo tutto il contorno mettendo un piede davanti l’altro cautamente perchè a stento c’è spazio perfino per poggiare una scarpa di un numero nella media come la mia. E soprattutto, bisogna mantenere l’equilibrio. Camminare e regolare la velocità del passo e bilanciare il corpo e ondeggiare con le braccia e anche con le mani casomai ci si sentisse particolarmente estroversi in quel momento, con lo sguardo basso e attento ad ogni piccolo movimento, e tener conto di aver sulle spalle un zaino non proprio leggero o una borsetta che ti fa pendere un po’ da un lato soltanto. E poi c’è la direzione in cui soffia il vento e l’altezza dei tacchi e l’eventualità di scivolare se ha appena piovuto, no mentre piove e con l’ombrello aperto in stile funambolo non ho ancora provato, la presenza di sconnessioni oppure ostacoli sul bordo stesso, qualche ramo che sporge o dell’erba lasciata crescere a modo suo. Poi c’è un pensiero felice che abbraccia il tuo baricentro e non lo lascia andare più e ti fa andare dritta e sicura o un gioco tra te e te, se arrivo fino alla fine senza cadere posso divorare tutta la cioccolata che trovo quando arrivo a casa, poi arrivi e te ne dimentichi ma intanto nessuno dei due piedi è finito in fallo.
Così segui il bordo, il contorno, confine tra l’aiuola sulla sinistra e la strada sulla destra. In bilico, in equilibrio, qualche passo pochi centimetri più su. E’ quello spazio che non è aiuola che non si può calpestare e non è strada che non si può cambiare. Proprio lì in mezzo che divide verde e grigio, al centro tra un non si può e il qui però mi annoio.
Hai mai preso un confine e lasciato che diventasse spazio nella testa? Che si allargasse abbastanza da poterci passeggiare comodamente su? Con lo sguardo che tiene in equilibrio i pensieri spaziando da un punto all’altro soffermandosi qualche volta su albe e bei capelli non prima di aver provato a cercarsi in uno specchio per trovarsi un po’ di spazi vuoti più avanti e troppe volte su parole sospese in aria, come nuvole che non hanno voglia di venir giù a bagnarti il viso. Trovi un non si può che di solito viene chiamato ostinazione e la linea dalla quale non potevi finir altro che cadere quasi, divideva lei dalla speranza.
Tra speranza e ostinazione. Quasi caduta perchè la linea diventava sempre più stretta ed era sempre più difficile mantenere l’equilibrio. Sei andata avanti più che potevi, tenendo duro guardando da un lato e dall’altro per essere sicura di procedere il più dritta possibile, aggrappandoti a tutti i desideri e i pensieri felici che trovavi sul percorso, ma c’è poi quel maledetto punto sul quale perfino il miglior equilibrista del mondo si rende conto che esistono spazi dai quali non può far altro che andare. In bilico sul quasi niente vorresti solo urlare che sei stanca e vuota e che non dovrebbero chiederti di fingere e sorridere ed essere allegra pronta brillante e ben truccata, ben vestita con gli occhi un po’ più aperti in modo che possano lasciar scappare via la tristezza che trattieni a tutti i costi invece, tra le palpebre.
E le urla si scontrano con l’eco del battito che risuona in una stanza in cui il cuore è rimasto solo.
Hai mai preso uno spazio nella testa e lasciato che ridiventasse confine? Io si, e ho paura che dovrò restare da un lato soltanto per sempre e non poterci salire sopra mai più.