Il Mio Demian

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  La dj alla radio porse una domanda all’ascoltatrice al telefono, cogliendo la mia attenzione che fino a quel momento doveva essere stata altrove. Non ricordo a cosa pensavo prima, a parte il tizio che da dietro lampeggiava, ma ricordo abbastanza bene tutta la serie di riflessioni che presero a ronzarmi per la testa, finché non giunsi a destinazione.

E allora quand’è iniziato il vostro amore? 

  Sono certa che la tipa rispose qualcosa riguardo l’inizio della relazione con il suo uomo, ma non l’ascoltai per niente perché mi arenai sulle parole “iniziato” e “amore” convinta che fossero accostate in modo strano, che nella stessa frase facessero un po’ a botte, che non suonassero bene insieme. Adesso scrivendolo mi rendo conto di quanto questa sia solo una pignoleria, che tante volte si usano le parole in maniera che insieme rendano un concetto più generico e intuitivo, eppure quella stranezza mi attraeva e mi portava lontana dalle loro voci.
L’amore è davvero qualcosa che inizia? Esiste un giorno, un istante specifico in cui ci si sente innamorati? Direi che si, esiste ed è più o meno quando gli occhi si aprono un po’ di più e il cuore aggiunge battiti a quelli già schierati, ma è più una consapevolezza che un inizio. Non è che un momento prima non ne avessimo affatto dentro e quello dopo lo si sente guidare i passi, le parole.
  Sono i rapporti ad iniziare, come i viaggi, ma l’amore sa dedicarsi anche a giornate di sole, onde di un mare. Se non inizia, dunque, non finisce. Non si lascia uccidere, tormentare, smontare o ingannare. Sa proteggersi. Avrei potuto sbottonare mille corazze e spogliarti di altrettante paure e ancora non baciare la tua pelle davvero. Si lascerebbe accarezzare appena, un giorno e poi cercarsi un’altra casa, quello dopo. Vagherebbe per giorni in completa solitudine pur di trovare un nuovo arcobaleno dal quale tuffarsi. Anche sapendo di questa sua proverbiale costanza, mi son dovuta ripetere più di una volta che non si parte per scappare. Che scappando non esiste posto in cui poi si possa dire di arrivare. Credo di aver barato chiudendo questa convinzione in valigia pochi minuti prima di andare, per portarla con me, si, ma senza averla in continuazione tra i piedi. Avevo camminato sul fondo sconnesso di un fiume in secca e non avevo più idea di cosa significasse essere trasportati dall’acqua, galleggiare senza opporsi alla corrente, non ferirsi ad ogni passo. Mi sono chiesta come avrei potuto sentire ancora quella sensazione di libertà, di vita. In che modo quel fiume che non ha né inizio né fine avrebbe potuto investirmi ancora, anche soltanto per sentire il profumo del cielo e chiamare amica ogni nuvola che coprendo il sole bisbiglia tenerezze di un autunno anticipato, piuttosto che tristezza. Allora ho aperto un libro. Ho osservato a lungo persone che avevo intorno, l’affetto nelle mani, l’amore negli occhi, la solitudine nei passi e i sorrisi rivolti al sole. Non so come tutto ciò si legava al libro che leggevo o come quest’ultimo tirasse fuori da ogni immagine proprio ciò di cui avevo bisogno. E’ come se qualche volta dei libri non capitino tra le mani per caso. Hanno con sé risposte, spunti, idee nuove, idee che si collegano alle tue e le ampliano, le abbelliscono. Mi sono trovata in un turbinio di parole e sogni notturni, strette di mano e sguardi che superavano distanze di gran lunga maggiori di quanto sembrasse. Come quelle che per tanto tempo ho guardato, analizzato e combattuto per niente. E’ stato diverso e meno coinvolgente, ma affascinante come pochissime altre cose di cui sono stata circondata negli ultimi mesi.
  Sono i viaggi a finire, come i rapporti, ma l’amore siede accanto a te al ritorno e saltella tra foto e cartoline memorizzando dettagli, luci e proiettandosi a sua volta su cose ancora non dette, ancora non viste. Sento la testa piena di un mucchio di cose nuove adesso, frasi iniziate e da finire, pezzi di idee che aspettano di essere seguite. E’ un nuovo punto di partenza questo, un fermento, uno slancio in cui spero di trasformarmi, per viaggiare ancora.

 

10 pensieri su “Il Mio Demian

  1. Io che riconosco solo l’amore incondizionato come forma d’amore esistente non posso che trovarmi d’accordo con ciò che dici… l’amore è un sentimento e le regole che gli associamo non fanno altro che limitarlo, rinchiuderlo, ma è solamente una nostra mera illusione… contenerlo, spiegarlo, regolamentarlo è una follia dell’uomo che ha sempre la necessità di sentirsi superiore, al comando o in gestione degli eventi che lo circondano… quando capisce di non esserne in grado partono le alchimie mentali che cercano di convincere il proprio simile del contrario….

    l’amore andrebbe principalmente vissuto, senza bisogno spiegazioni da dare a nessun prossimo…

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    • Anche tentare di spiegarlo è un modo per viverlo secondo me (:

      Non so se questa frase è realmente di Siani, ma è bella e riassume tutto: “Tutti quanti dicono che l’amore fa male. Non è così. La solitudine fa male, il rifiuto fa male, perdere qualcuno fa male. L’amore è l’unica cosa in questo mondo che copre il dolore e ci fa sentire ancora meravigliosi.”

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      • Tentare di spiegarlo assolutamente si, aver la presunzione di poterci riuscire o di dare una spiegazione assoluta, molto meno… Un questo ci ritrovo i confini del non viverlo ma del subirne gli effetti… Ma siamo tutti uomini con i nostri difetti e le nostre imperfezioni in fondo… 🙂

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      • Si io credo che esista.. pensa al Tao, Yin e Yang…
        Allo stesso modo si può amare tanto quanto è probabile soffrire, se quel rapporto va male. E’ come se aprendo il proprio cuore si accetti un rischio. Effettivamente se uno non si mette in gioco mai significa che quel rischio non lo ammette e soffrirà anche meno.

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      • Si questo si, però credo non ci sia equilibrio assoluto, nel senso che certe vite non si bilanciano… E forse però si bilanciano tra loro… Chissà..

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      • Eh questo è un discorso più complicato… penso riguardi il karma che non conosco molto bene… lì però entrano in gioco un mare di altre variabili. Sulla tua ultima ipotesi, chissà forse …

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E Secondo Te . . . ?

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