Sai quand’è che una storia non la racconti più?
Penso sia nel momento in cui ti accorgi che ne hai perso l’essenza, il fulcro intorno al quale ruotavano i ricordi e i fatti, rattoppati in qualche punto da scene immaginate e qualche opinione. Allora non ne vale nemmeno più la pena sprecare la fantasia, ce ne vorrebbe tanta, troppa, per combattere i grigiori mattutini di certi cieli che vogliono solo esser lasciati in pace così come sono, nella loro ignavia.
Una storia non si racconta più quando i personaggi si sbiadiscono a tal punto che non sai nemmeno più chi sono, o meglio quel che sai basta giusto a definirne lo scheletro per farli restare in piedi. Ti accorgi che l’indifferenza ha divorato la voglia di scoprire e il tempo ha assegnato loro, d’ufficio, un modo d’essere pur di liberare la scrivania da scartoffie impolverate. Sono rimasti nello scatolo frammenti dei loro pensieri che a fatica riesci a rimettere insieme. Del cuore ricordi il battito ma ti manca il petto su cui poggiare l’orecchio ancora una volta. Non c’è più il maglione, non c’è più la pelle e il suono è solo quello registrato dalla tua mente. Nemmeno io sono più la stessa e sto cercando di ricordare com’ero mentre dovrei invece impegnarmi a capire chi sono. Io che mi ritrovo a raccontare storie più grandi di me e poi mi ci perdo dentro. Ho smarrito i desideri lì dove i confini del raggiungibile sono sottili e si possono ancora modellare. Che sia un fine o una necessità non lo so più, ma li spingo sempre oltre.
La società non lascia più in eredità un posto, o almeno uno soltanto, per ognuno di noi cosicché finiamo per avere poche radici e tantissimi rami, lunghi e ricchi di foglie. Che tipo di albero è questo, penserai. Non lo so e l’identità ha a che fare un po’ anche con questo. Sulle teste abbiamo tutti lo stesso cielo grigio e tra le mani un mucchio di fantasia. Qualcuno, spaventato, va a barattarla con deserti di regole e l’illusione di appartenere a qualcosa. L’odio diventa una soluzione allo smarrimento e alla paura, assegna un nome, un fucile e uno scopo che, chissà, appare più giusto e gratificante del sentire di essere un nessuno qualunque, a casa propria. Quando è morto dicono l’abbiano ritrovato con le radici ormai avvizzite circondato da più foglie di quelle che i suoi rami potevano sostenere. Porca miseria dico io, davvero valevano tanto quelle maledette foglie? Non diventeranno medaglie al valore, ma marciranno come i loro nomi nella memoria di una storia che nessuno racconterà più.
Penso avessero la mia età più o meno e oggi io sono ancora qui a chiedermi chi sono. Loro, ormai, non possono farlo più.