Elogio del selfie

Oggi, scorrendo le bacheche di alcuni social, mi chiedevo se davvero stiamo vivendo uno dei periodi più vanesi della storia dell’umanità, dal momento che vengono pubblicati con una continuità impressionante selfie di ogni tipo e da ogni parte del mondo.

Noi utilizzatori della fotocamera interna dei nostri cellulari siamo davvero così tanto vanitosi? E’ giusto bollare la questione in questi termini e basta? Creare nostri autoritratti è davvero qualcosa di così superficiale, così da millennial ed egoriferito?

Siamo diventati semplicemente dei cultori dell’io o c’è dell’altro?

Ecco, io credo di si. Sento ci sia da spezzare qualche lancia a favore di questi selfie.

Parlo a chi almeno una volta nella vita ha provato quella sensazione di completo smarrimento e terrore che nasce dal trovarsi l’obiettivo di una macchina fotografica puntato addosso. Sensazione che si trasfigura attraverso il processo di acquisizione dell’immagine dell’apparecchio fotografico in smorfie terribili, sorrisi tirati, espressioni spaurite o totalmente inespressive.

Nel tempo ho capito che molto dipende da chi ci sta fotografando. In qualche modo finiamo per apparire nel modo in cui quella persona ci vede davvero. E non sempre quel che ne viene fuori è un feedback positivo.

Un’altra buona parte della fotografia dipende da cosa noi pensiamo di noi stessi. Una percezione che può cambiare nel corso della vita ma anche della giornata. Su questa parte qui si può lavorare, certo, nel corso della vita ma spesso della giornata.

Ma sull’altra? Non abbiamo gran margine di decisione. Non tutti abbiamo tra parenti e amici dei fotografi professionisti, di quelli che flirtano con le modelle attraverso la loro Reflex e le decine di obiettivi costosissimi ad essa anessi. Al massimo ci è capitato uno zio che ci ha inquadrate dal basso verso l’alto, un’amica che ha chirurgicamente scovato un rotolino sul fianco che non ti eri mai vista in vita tua, per non parlare delle foto in cui abbiamo gli occhi chiusi, le luci a sfavore o il trucco sbavato.

Allora, se la fotografia in fondo è un’arte, un modo di esprimere sentimenti, emozioni e il proprio modo di vedere il mondo, in un quadro di questo genere, abbastanza deprimente, credo che il selfie ci abbia salvati. Siamo finalmente riusciti ad eliminare il terzo incomodo tra noi e l’obiettivo.

Non dobbiamo pregar nessuno di fotografarci a raffica finché non viene la foto giusta. Dipende solo dalla nostra pazienza e testardaggine. Nessun imbarazzo per le foto in cui siamo orribili, tanto basta cancellarle subito e nessuno le guarderà mai. Possiamo scegliere luci, posa, luogo preferito senza dover spiegare nulla a nessuno. Possiamo osservarci nello schermo senza alcun tipo di condizionamento e imparare a piacere a noi stessi prima che a chiunque altro. A guardarci bene dopo un po’ riusciamo perfino a scovare i nostri stessi pensieri in una ruga di espressione, nel lato verso il quale incliniamo la testa e nell’angolo che assumono i nostri occhi che tuttavia continuano ad essere lo specchio della nostra anima.

E sapete, c’è qualcosa di molto intimo e personale in questo. Quella piccola finestra sul nostro mondo interiore, nel momento dello scatto, resta a nostra disposizione soltanto e non alla mercé di qualcuno che nemmeno ci conosce poi così bene.

Così mentre ci osserviamo ben bene prima di scattare la foto, possiamo perfino scegliere.

Scegliere di mostrare quella tristezza o trasformarla in allegria, di lanciare una corda ad un qualsiasi altro sentimento che può così risalire dai punti più nascosti e profondi di quell’abisso interiore, protetto da sguardi indiscreti e quindi libero di essere se stesso. Il selfie in qualche modo ci ha restituito la libertà di esprimerci e mostrarci al meglio di noi stessi -o al peggio, ma consapevolmente, forse- purché, ecco, non si trasformi sul serio in una sorta di culto della propria immagine fine a se stesso.

Che io credo che la vanità non sia un difetto, anzi. Quest’epoca è piena di spunti e sproni a rimettere noi stessi al centro della nostra vita. Tutti i vari qui e ora, l’attenzione a ciò che mangiamo, il fitness, i divorzi brevi. Possiamo davvero costruire la nostra vita praticamente su noi stessi e basta. E in un attimo la vanità diventa narcisismo.
Quindi, attenzione.

26 pensieri su “Elogio del selfie

  1. La fotografia, come la scrittura, è una delle arti più democratiche che ci siano. Soprattutto ai nostri giorni. Non solo cellulari a ormai anche le reflex: una volta erano per pochi mentre oggi hanno quasi soppiantato le compatte. Spesso la vanità è più del fotografo (che crede di saper fare chissà che foto) più che del soggetto. Se ti va, sulle derive di questa vanità, ho tutta una sezione di articoli del mio blog con l’hastag pvd o piccole veline domestiche.

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  2. Concettualmente, credo che sia tutto legato a quella forma di “relativismo” di cui si parla in questi anni.
    Ci si sente slegati dalla realtà e dalle forme culturali che ci propone (religione compresa) e l’io diventa il centro del nostro mondo.
    Tutto viene relativizzato a noi stessi, e la nostra persona diventa il centro del nostro stesso universo.
    La persona diventa autosufficiente, i legami affettivi si allentano o diventano meno importanti, l’apparire diventa più importante dell’essere, e la manifestazione di noi stessi diviene di primaria importanza.
    Il selfie diventa testimonianza di noi stessi, di ciò che materialmente facciamo o di dove ci troviamo, per farlo sapere al mondo che esiste attorno a noi.

    Oggi sono filosofico.
    🙂

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  3. confesso che ho sempre avuto in uggia i selfie altrui, ma questa tua difesa, anzi elogio, mi solletica, forse mi affascina.
    per non parlare della vanità, che rivaluti con parole accattivanti che mi trovano d’accordo.
    d’altronde i miei pochi selfie stanno lì, tra vanità e narcisismo, a testimoniare il raggiungimento di una cima, la conquista di piccole imprese senza importanza.
    ml

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  4. Un cacciavite può essere usato per molti scopi, così il celluare per un selfie. E’ bene è male? Credo non ci sia una risposta, ma considerazioni personali. Un po’ di egocentrismo esiste? Certo. Che farne? Be’ purché non diventi malattia, niente. C’è chi si “selfa” chiappe, six-pack, ponte delle anche, piedi… e chi si selfa vicino al pericolo rischiando la vita… come sempre c’è modo è modo, e non fa male a nessuno (ok, quello che si fa travolgere dal treno magari sì).

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  5. Detta così, il selfie diventa un modo per ritrovare quella serenità che spesso perdiamo dietro ai canoni propinati dai mass media. Fino a quando sono fatti per capire quanto belli noi siamo, è tutto ok. Ma se diventa un modo per collezionare like ed essere i primi sui social. Allora no. Allora diventa puro egoismo, se non egocentrismo.

    PS. Mai fatta un selfie. Dici che sono validi quelli della macchinetta automatica per la carta d’identita?

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    • Diciamo che ho cercato di ampliare un po’ il discorso che di solito è limitato a selfie=vanità
      Può essere, sì, un modo per trovare una certa serenità con se stessi e la propria immagine.
      Non so rispondere alla tua domanda 😀 In teoria, si, potrebbe definirsi un selfie… ahaha

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