Soglia alta.

Story of Yaoyaomva

Il dottore si alza dallo sgabellino e sorridendo si avvicina al pc. Diciamo che non vado mai esattamente di buon umore dal dentista, ma avverto un particolare moto di intolleranza invadermi da capo a piedi quando mi dice che ha apprezzato la mia autoironia quando al suo annuncio che a breve avrebbe anestetizzato il nervo del mio dente irrimediabilmente cariato ho risposto mogiamente si, fa molto male, lo so. Come l’altra volta. Avrei voluto dirgli che ero rassegnata, non ironica, mentre cerco di placare la mia rivolta interna stringendo il fazzoletto di carta che ho tra le mani.

Guarda la radiografia al pc e sbarra gli occhi. Dice che non riesce a capire come io non provassi alcun dolore nonostante una carie così. L’intervento sul nervo si è reso necessario dopo un tentativo di curare la carie andato male, il dentista dice che prima o poi avrei provato un dolore lancinante ugualmente, ma in quel momento ne avevo altri di nervi a fior di pelle al pensiero che prima della cura mi sentivo praticamente bene.

Continua a guardare la radiografia indicandomi con il dito l’estensione del “danno”, quando mi dice che devo avere una soglia del dolore alta altrimenti il fenomeno non si spiegherebbe. Lì per lì dentro me la rivolta ha lasciato posto ad una timida soddisfazione, ma ho continuato a pensare a quella frase anche nei giorni seguenti.

Mi sono detta in generale quanti dolori si adattano, aderiscono così bene alle forme delle nostre vite e per quanto sembri banale dire che finiscono per farne parte in realtà accade che si danno loro altri nomi, spiegazioni, stanno lì sul mobile vicino al televisore, in borsa o addosso e mai se ne prende almeno uno da parte per chiedergli chi sei? Sul serio, da dove sei spuntato fuori? Poi qualcuno per caso li chiama con il loro nome, ci si rende conto che non è normale, per niente normale accettare quel tipo di parole o di comportamento o quella situazione o quel male fisico e allora iniziano gli sguardi di traverso, i sospetti e si inizia a pensare a come liberarsene senza però urtare la loro suscettibilità, piano piano, in silenzio, non sia mai che decidano di mettersi proprio di traverso e farci ancora più male.

Forse è perché in qualche modo siamo finiti per adattarci noi a loro, abbiamo spalmato le nostre abitudini, le nostre reazioni, le nostre scelte su di loro per non sentirne le durezze e non farci male, incastrandoci negli spazi che ci hanno concesso e costruendo lì le nostre giornate, fissando da lì i nostri obiettivi.

Insomma si dice che il dolore serve a proteggerci, quante volte però ci accontentiamo di restarci dentro più del tempo necessario a scampare il pericolo? E che succede se finiamo per alzare troppo quella soglia?

13 pensieri su “Soglia alta.

  1. garbata amica virtuale, quanta saggezza [nonostante la tua giovanissimissima età 🙂 ]

    andando avanti capirai che il dolore ha cause specifiche e che non c’è modo che questo si adatti a noi o noi a lui, si diviene un tutt’uno che non ha bisogno (e in qualche modo rifugge) etichette.

    indaga il dolore, capisci quando arriva, quali pensieri, parole, azioni lo fanno affiorare. capiscine la natura, soltanto così lo lascerai andare via. chi ci si crogiola, normalmente, non indaga. lo subisce. ma non si subisce il tutt’uno, come si potrebbe?

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      • posso essere d’accordo con te, ma a metà? 🙂

        “Fratelli, la terza verità e la cessazione della sofferenza. La comprensione della realtà della vita porta con sé la cessazione dell’angoscia e della pena, e dà nascita alla pace e alla gioia”.

        Ma, da sola, la comprensione non è sufficiente, perché “Fratelli, la quarta verità è la via che conduce alla cessazione della sofferenza. È il Nobile Ottuplice Sentiero, che vi ho or ora spiegato. Il Nobile Ottuplice Sentiero viene nutrito vivendo in presenza mentale. La presenza mentale conduce alla concentrazione e alla comprensione che libera dal dolore e dalla pena, porta alla pace e alla gioia. Io vi guiderò lungo questo sentiero di conoscenza”.

        La presenza mentale è un osso duro. Vuole il tuo sudore, almeno all’inizio.

        (Ah, i passaggi virgolettati non sono farina del mio sacco, ma di chögyam trungpa)

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      • Ah ma sono d’accordo con te. Però parlando con te e scavando più giù mi viene in mente un altro aspetto, ovvero che il dolore di solito non lo si lascia andare per senso di colpa nei confronti di qualcuno o del fatto stesso di sentirsi leggeri e felici…

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      • garbata amica virtuale, i sensi di colpa sono un aspetto cruciale, ma solo se ci credi. sono ciò che ti è stata inculcata da piccola, i “sei una delusione” di mamma e papà, la scarsa fiducia del(la) maestro(a) delle elementari, i rimproveri del prevosto di paese. i sensi di colpa sono ciò che ti hanno fatto credere di essere. e non dovrebbero riguardarti, ché come sei lo sai te.

        i rimorsi, quelli, son tutt’altra cosa. è il pentimento per ciò che hai fatto, per ciò che hai messo in scena ma, anche tutto questo mettere in scena, non ti qualifica per ciò che sei.

        il punto su cui ti invito a riflettere (ma non a darmi ragione, eh) è: come puoi provare amore per il tutto se non ami te stessa? ancora prima, come puoi trascendere il mero piano fisico se gli resti agganciato e lo giudichi?

        perdonati senza giudicarti, sii te stessa in ogni momento, esprimi amore. ‘fanculo tutto il resto.

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      • Ci rifletto e capisco che devo lavorarci, sull’amore per me stessa, sul perdono e sul giudizio… Anzi, devo proprio trascrivermi qualche passaggio di questi da qualche parte per rileggerli di tanto in tanto 🙂

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  2. una soglia troppo alta del dolore rischia di portare a una generica insensibilità.
    se per predisposizione o per scelta razionale percepiamo sempre meno il dolore, alla fine non sentiamo nemmeno le altre emozioni. Una vita anestetizzata è una vita piatta.
    ml

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  3. Sono totalmente d’accordo: spesso sono gli altri a farci notare delle situazioni che abbiamo volutamente minimizzato o ignorato perché non riuscivamo ad accettarle, oppure perché eravamo presi da così tante cose che abbiamo finito per non farci neanche più caso. Proprio per questo dobbiamo tenerci stretti quegli amici che hanno il coraggio di dirci ciò che pensano senza peli sulla lingua: uno di loro è più prezioso di 10 amici che si mordono la lingua per paura di litigare con noi.

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E Secondo Te . . . ?

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