
Negli ultimi mesi ho letto tantissimi articoli di psicologia.
Sentivo dentro qualcosa che sbuffava e imprecava distraendomi e bloccandomi, credo non sapesse quali domande mettersi addosso per mettere piede fuori dalla mia testa e la vedevo star lì ore e ore allo specchio a provarsi parole su parole perché non si piaceva mai.
Avere delle domande belle, forti e sicure di sé invece è già un gran bel punto di partenza. Poi la curiosità fa il resto. Ecco perché spesso e volentieri mi sono trovata sul web in cerca di spiegazioni, di nomi. Un concetto tirava l’altro e per ogni risposta mi appuntavo mentalmente altre due o tre cose da ricercare.
Ho capito verso quali pericolose deviazioni mi avevano spinta le circostanze. Ho capito quali conseguenze avevano avuto su di me i dolori e le sofferenze degli altri. Avevo fatto miei limiti e problemi di altri. Pian piano ho preso a pulire la mente e il cuore, ma pulire davvero, con acqua e stracci, a rimuovere strati di credenze, paure che nemmeno sapevo se fossero davvero mie. Vedevo riaffiorare desideri, colori e voglia di fare.
Ci è voluto tempo, si. Quel che è stato il presente, il quotidiano per tanti anni era diventato un bagaglio e anche molto pesante da dover sistemare da qualche parte prima di riprendere il viaggio. Ovviamente l’ho capito dopo. All’inizio mi sentivo anche in colpa perché continuavo a trascurare i miei impegni e a non fare grandi passi avanti.
Tra tutte ce n’è una di domanda che continua a mettersi di traverso sulla mia strada, mi ferma affinché le dia attenzione. Quando si vede qualcuno soffrire, in tutti i modi, e poi morire si apre una porta su un abisso, si salta su un diverso livello di percezione della vita. Intanto però gli impegni che hai lasciato sulla scrivania si sono impolverati e ti stanno aspettando. Formule, definizioni, centinaia di pagine di roba che non ti aiuteranno a trovare un senso a quel che è successo e che all’improvviso trovi incredibilmente inutili e stupide, a meno che, ovviamente, tu non sia ancora una studentessa che vive tra casa, università, amici e nient’altro. Come si torna sulla Terra, come ci si infila di nuovo nella normalità? Come si ritrova la speranza nel futuro? Ci riesco se riesco a non pensarci. Però non è una risposta.
Insomma oggi si può imparare tanto su se stessi. Mia madre o mia nonna di certo non avevano i mezzi ma nemmeno ci avrebbero mai pensato a fare introspezione, a leggere di Io, Es e Super-Io, di sindromi, interiorizzazioni, personalità e precarietà emotiva. Lo trovo estremamente importante. E’ una grande opportunità per non cascare negli stessi meccanismi, comportamenti autosabotanti e vivere con più consapevolezza e protagonismo la propria vita.
Abbiamo più mezzi a disposizione per trovare delle risposte. Non è detto che questo ci porti ad essere più felici, ma più consapevoli sì. E comunque tornare indietro non si può!
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Ecco però ci aiuta ad andare avanti 🙂
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mentre preparavo l’esame di patologia medica, più studiavo le malattie e più mi sentivo addosso i sintomi delle malattie più disparate, un colpo di tosse era l’avvisaglia di una tubercolosi, un foruncoletto l’incipit della lebbra e così via a ritrovarmi tutto quello che leggevo.
questo per dire che è giusto fare introspezione, approfondire, purchè questo aiuti a conoscere ed evitare atteggiamenti dannosi e non faccia invece entrare in un avvitamento ipocondriaco su sè stessi.
ml
O.T. la sacher che compare nella foto a lato l’hai fatta tu o la hai solo mangiata? in ogni caso, mmhm che invidia
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A differenza dei sintomi, del dolore fisico, quello psicologico tante volte non lo si riconosce. Comportamenti e credenze che crediamo giuste, normali, magari ci stanno facendo danni. E non vediamo nemmeno quelli. Anzi spesso dei sintomi fisici sono l’ultimo baluardo dell’organismo per farci notare che stiamo soffrendo per qualcosa accaduto nel passato e che abbiamo inconsciamente rimosso. Tutti i dolori e tutte le ferite non affrontate scavano dentro fino a renderci autosabotanti. Prima bisogna riconoscerlo, poi capire le cause e poi magari farci qualcosa. Se non ci si guarda davvero non si vede nulla ed è la magia che ha fatto la nostra mente per sopravvivere ( come un bambino che incolpa se stesso per la negligenza dei genitori e gli sembra giusto così).
La Sacher l’ho fatta io! Ad onore di cronaca ci andava più marmellata, ma è stata la prima volta che l’ho fatta e ho avuto paura diventasse troppo dolce.
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naturalmente hai ragione, il tuo è un discorso equilibrato. volevo solo metterti sull’avviso di non addossarti colpe e “deviazioni” psicologiche che sicuramente non hai.
(complimenti! io sono per il doppio strato di marmellata d’albicocche)
un sorriso
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Certo, bisogna andarci con gli occhi della curiosità e della scoperta, è un viaggio che ho fatto nei miei pensieri, nei miei ricordi (anche quelli che pensavo fossero persi). Ovviamente nulla sostituisce un consulto da un professionista, però ecco tutto è nato dalla curiosità di trovare delle risposte (e delle domande) e per questo l’ho presa come un viaggio, sono andata alla ricerca di quella me che avevo perso mentre mi occupavo di tutto tranne che di lei. Gli articoli, la psicologia mi hanno aiutata a scoprire “posti” dove andare a cercare.
La torta era doppio strato si, ma la marmellata era poca, ho sottovalutato il fatto che sarebbe stata assorbita dal resto. La rifarò!
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Post semplicemente meraviglioso. Sono sempre più orgoglioso di essere da tempo un tuo follower.
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Caspita grazie grazie grazie di cuore 🙂
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Grazie a te per la risposta! Colgo l’occasione per dirti che ho appena pubblicato un nuovo post, in cui racconto un aneddoto molto significativo della mia infanzia… spero che ti piaccia! 🙂
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Vengo a trovarti 🙂
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Ovviamente non so dare una riposta alla tua duplice domanda finale, ma di fatto posso darti il mio punto di vista, ciò che mi rispondo quando mi imbatto in quelle domande…
come si fa??
beh, applicando un ragionamento logico, praticamente matematico, che può apparire troppo banale per essere considerato ma che con un pizzico di cinismo applicato alla realtà dei fatti e alla storia della nostra esistenza, cioè…
si parte da una base egoistica, cioè noi e la nostra vita, per definire con assoluta certezza che non si può tornare indietro da quello che è successo ma al tempo stesso, se quello che è successo fa questo effetto su di noi significa che prima di quel momento, di quel periodo ce ne sono stati tanti altri di polarità opposta che hanno fatto si che ora noi ci sentiamo o ci siamo sentiti male.
Spesso ci preoccupiamo e spaventiamo del dolore, ancor di più se parliamo di quello emotivo però di fatto questo esiste unicamente perchè è esistito il suo opposto… tutto quello che rende tale quel dolore ha origine nel suo sentimento più opposto e tutto quello che quel sentimento ha rappresentato per noi andrà a morire, a svanire solo quando lo faremo anche noi… certamente è ovvio che ciò che non c’è più non torna e non si evolve, ma lo è altrettanto che non scompare, almeno fino a quando non lo faremo anche noi.
Noi viviamo al presente e siamo proiettati al futuro perchè così va il tempo ma se i giorni non fossero giorni e le ore ore, i mesi mesi, la nostra percezione del potere delle emozioni sarebbe diversa; si torna alla “normalità” si ritrova la speranza “nel futuro” perchè è il miglior modo per vivere e incontrare emozioni, perchè se c’è una sola possibilità di realizzare qualcosa è questa, perchè se non lo si fa il rischio è di vivere ogni giorno uguale all’altro e non provare più nessun tipo di dolore e io credo che alla fine sia molto peggio che soffrire per aver vissuto delle emozioni, di aver delle persone, dei momenti, dei luoghi, delle sensazioni da poter ricordare che a volte faranno inevitabilmente male ma molte altre saranno le cose che più di ogni altra daranno un senso e un valore alla nostra storia, alla nostra vita..
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Ciao Erik, sai oggi mi è balenato un pensiero, così, velocissimo, aveva a che fare con il futuro e con la voglia di esprimere se stessi. Se in qualche modo si sente quella spinta a voler ‘essere’ esprimersi distinguersi in qualche modo allora c’è un domani, un dopodomani e così via. Come dici tu la possibilità di realizzare qualcosa.
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Condivido Bianca, quando ero ragazzino e pensavo a tutti quelli che tendono sempre a demolire i sogni definendoli irraggiungibili o stupidi, salvo poi sostenere il concetto di progetto… Spesso si tratta solo di diverse interpretazioni di uno stesso concetto… A volte lo si chiama desiderio… L’essenza però non cambia, realizzare qualcosa di proprio è vivere…
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Giusto 🙂
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