ComeDiari #19: Il tempo dimenticato

Ci sono alcune cose che scrivo solo per me. Perché non le ritengo adatte al blog, perché non avrebbero alcun senso nel filo del discorso che uno cerca di mantenere. A volte non le scrivo nemmeno e allora rimangono come pensieri ingabbiati che a tratti diventano feroci, altre volte apatici e rassegnati. Altre volte mi nascondo dietro le metafore perché la realtà mi sembra priva di magia, ma è come far prendere a quel che ho dentro solo un’ora d’aria senza liberarlo davvero.
Vorrei poter riuscire a dire che ho paura.
Vorrei poter riuscire a dire che non credo più in un sacco di cose. E che a volte il mondo mi sembra irrimediabilmente un pericolo continuo, che mi piacerebbe vivere da sola, non sentire il rumore dell’insoddisfazione e del malessere degli altri, perché non lo voglio, non l’ho chiesto, perché mi distoglie da me stessa a tal punto che ancora non so chi sono e cosa voglio.
Non credo nella politica, non credo nella democrazia, la religione è perfino più inutilmente complicata. Gli unici progressi che la società può fare sono quelli che in qualche modo generano soldi. Ho paura di essere in difetto con qualche stupida regola burocratica, ho paura di perdere quello per cui ho lavorato. Ho paura di dimenticare di essere stata brava e di meritare quello che ho ottenuto. Ho paura di dimenticare di essere stata brava e che posso esserlo di nuovo e non per piacere a qualcuno, ma perché lo sono e basta.
Vorrei star qui e prendere ogni trauma, ogni automatismo e raccontarlo, smontarlo e renderlo innocuo, impotente e fare le cose con consapevolezza, perché così voglio essere. Voglio sapere chi sono. Non voglio diventare qualcosa che non mi piace. Non voglio più sentirmi in colpa, rimandare la mia vita a quando i problemi spariranno, solo una settimana, solo un’altra ancora e alla fine non ricordavo nemmeno più come se ne era andato il tempo. Ho passato giorni a ricostruire gli ultimi anni guardando le foto sul cellulare, perché a me sembrava solo di essermi risvegliata senza memoria dopo un viaggio attraverso un buco nero.
Vorrei riuscire a raccontare del panico, quando qualcosa mi ha ricordato un momento orribile e all’improvviso non c’era più l’aria e non c’era più il futuro.
Vorrei poter parlare di me senza avere paura di sembrare sbagliata o di star facendo qualcosa di sbagliato.
Voglio ricominciare da quello in cui credo, dai i ritmi della natura che un fiore mi ha insegnato, da quelli della Luna e delle stagioni. Dal profumo di una torta o del pane caldo. Voglio uscire dal gioco umano di creare drammi e poi perdere il doppio del tempo per trovarne le soluzioni, che se ci pensate è follia. Il corpo ha una sua intelligenza, ma nessuno lo ascolta perché la mente ci distrae continuamente cercando il piacere. Vorrei ricordare tutto, tutto, perché il tempo vola ma solo perché abbiamo poca memoria e dimentichiamo la maggior parte dei giorni che ci lasciamo alle spalle. Il tempo non è perso, è dimenticato.

12 pensieri su “ComeDiari #19: Il tempo dimenticato

  1. i tuoi brani hanno di bello che non lasciano mai indifferenti, perchè fai scorrere vita nelle parole.
    Leggo e dissento, leggo e condivido, leggo e comprendo, leggo e non mi spiego. E non ha importanza la valenza positiva o negativa di quello che provo, l’importante è che io lo provi. Dici che scrivi solo per te e pur capendo cosa intendi dire (un bisogno di chiarezza verso te stessa) non mi trovi d’accordo perchè proprio in questi casi traspare il ruolo del lettore, anche silenzioso, che diventa ascolto, sponda, specchio, confronto e magari conforto.
    Qui hai detto molto (e bene), mi piacciono le ammissioni di paura che sono già uno sconfiggere in parte la paura, mi piacciono le contraddizioni che sono il segno bello delle emozioni che ti smuovono dentro, mi piacciono quei condizionali che per una volta non hanno il valore dell’impotenza ma l’utile doppiofondo di affermare senza dire.
    Sorrido al rifiuto delle metafore che per me invece sono pane quotidiano, ma ciascuno ha il proprio modo di esprimersi, l’importante che lo faccia bene.
    🙂
    ml

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  2. bada che non criticavo la tua scelta di scrittura “personale”, ma semmai l’affermazione “…scrivo solo per me”. Non è solo per te che che scrivi, ma anche per essere ascoltata. La dichiarazione pubblica che “io ho paura, io sono così, io vorrei” acquista un valore e una oggettivazione diverse e più significative che se l’avessi scritta su un pezzo di carta e chiusa in un cassetto.
    🙂

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  3. Hai toccato un tema (anzi più di uno) a cui sono molto legato, diciamo che in parte ho subito e in parte affrontato nella mia vita, il tempo dimenticato…
    per un sacco di anni ho tenuto tutto dentro, avevo deciso di non parlare di non condividere le mie sensazioni ed i miei pensieri perchè per qualche ragione (assurda probabilmente) pensavo di poter decidere tutto, cosa pensare, cosa dire ma soprattutto cosa pensavano gli altri e cosa potevano dire gli altri, mi nascondevo dietro il pensiero che non volevo essere compatito perchè pensavo che in ogni caso la compassione sia sempre un gesto dovuto più che sentito. [questo lo collego al tuo ” a volte non scrivo nemmeno”].
    Poi c’è stata la fase di credere in qualcosa in cui credere e quindi di “muovermi” solo in quella direzione, valeva la pena vivere solo per le cose in cui credevo veramente… non ho mai capito, onestamente, se quelle individuate siano tali o solo messe li per bisogno di credere di credere (non è un errore) in qualcosa.
    Seguì il grande rapporto conflittuale con l’economia che come un caterpillar passava sopra, davanti ad ogni cosa, persona principio.
    E così ho iniziato a pensare di costruire il mio futuro guardando solamente avanti, arrivando perfino a dimenticare (o ad essere talmente convinto di poterlo fare da crederci a tal punto da trasformarlo in realtà) tantissime parti del mio passato, facendo divenire la dimenticanza una routine da utilizzare alla necessità di avere una qualsiasi forma d’alibi. Qui, su questo punto ancora oggi, credo di aver fatto dei danni alla mia mente.
    Tu hai scritto questo:
    “Voglio sapere chi sono. Non voglio diventare qualcosa che non mi piace”
    e ricordo perfettamente l’attimo nel mio passato (nonostante quanto scritto appena sopra) in cui ho fatto la stessa considerazione, oggi non so se posso dire di averla soddisfatta ma posso sicuramente affermare che la vedo ancora come una delle priorità massime della vita, fosse anche irraggiungibile.
    La parte finale del tuo post è meravigliosa..

    Il mio corpo mi sta parlando ma non ho ancora capito cosa voglia dirmi, la realtà è che probabilmente ho paura di scoprirlo.
    dici che:
    “dimentichiamo la maggior parte dei giorni che ci lasciamo alle spalle”
    e a questo proposito c’è una citazione che si è scolpita a fondo nella mia mente che credo non riuscirò mai a dimenticare, Luciano De Crescenzo dice che:
    “La lunghezza effettiva della vita è data dal numero di giorni diversi che un individuo riesce a vivere. Quelli uguali non contano”
    e…. alla fine io credo che possa avere maledettamente ragione…

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    • Ciao Erik, ti ringrazio moltissimo per aver condiviso i tuoi pensieri che fanno sembrare meno folle questo post che ho buttato giù in pochissimo tempo, che all’inizio non volevo nemmeno pubblicare perché come dicevi tu si può scegliere di andare dritti guardando solo a ciò in cui si crede, decidendo cosa dire e cosa pensare e come apparire. Però non funziona a lungo perché accadono cose totalmente fuori dal proprio controllo e sembra che alla fine tutti dobbiamo essere “resilienti”, ovvero essere capaci di mettere in campo strategie di sopravvivenza per superare gli eventi. Allora ricostruiamo, uno il senso di sopravvivenza si che ce l’ha, a parte l’ansia e la paura, quando qualcosa di te è in pericolo la strategia è inconscia e ce la fai, sopravvivi. Poi attraversi una fase di shock durante la quale vai avanti per inerzia e sempre inconsciamente metti in atto una serie di azioni che (scoprirai dopo) servono a tenerti lontano dal pericolo. Ed è lì che sei “diventato” e inizi a chiederti se hai quello che vuoi davvero, se sei la persona che volevi essere. Allora devi ricostruire tutto quel tempo passato e capisci che non puoi vivere con i paraocchi perché potrà accadere di nuovo, un evento improvviso che ti scombina di nuovo e di nuovo sei ansia, paura, vorresti che il mondo fosse fatto solo di quelle poche cose che ti rassicurano.
      Ovviamente non può essere così. L’unica “cosa” che ti può rassicurare sei tu. Sapere che comunque ce l’hai fatta, credere nelle tue capacità e che ce la farai ancora. Tu, in questo momento, nel presente e basta.

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  4. Ringrazio tantissimo anche io.
    Stupendo il post, ma fantastici anche i commenti, che sono come sottomondi che aprono ulteriori viaggi per me.
    Io sono più contorta, peggio, non so nemmeno se si possa dire così: non ho paura di dire che ho paura. Ma ho paura di dire tutto il resto.
    Ho paura di dire chi sono, ho paura di spiegare perché ho paura.
    Come se potesse esistere un “ho paura e basta” che finisce dove inizia tutto l’intricato paradosso vivente che sono.
    Vi esprimo sincera gratitudine per i preziosi pensieri che avete condiviso.

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    • Keep è stupendo che non solo il post ti abbia interessata, ma i commenti, questo è davvero lo scopo del blog, dell’essere qui…
      Capisco cosa dici e questo post fu difficile davvero per me, per la prima volta ho buttato fuori il cosa mi fa paura senza usare metafore. Però aggiungi anche tu un pezzo del discorso, manca il dire chi sono e spiegare il perché. Ed è ancora più difficile perché magari nemmeno si hanno le idee chiare su quello eppure sarebbe la chiave per capire tutto il resto e magari smettere di avere paura! E se pure sai chi sei e il perché, è difficile dirlo, ed è un po’ quello che ho provato a fare nell’ultimo post… Grazie a te per esserci 🙂

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