Candele e mongolfiere.

Il fatto è che sono un segno di aria, una Bilancia. Il segno della diplomazia, dell’armonia, che ricerca giustizia e bellezza nel mondo. Come se non bastasse, sono ascendente Leone, un segno di fuoco, che si contraddistingue per il coraggio, la sicurezza e una vanità infinita. Quindi se la giornata è buona il fuoco riscalda l’aria e come una mongolfiera elegante e imponente riesco a volare verso orizzonti infiniti, se va male mi capita qualcosa come vedere la fiamma di una candela platealmente spenta dall’aria che si fa agitata e resto al buio, a cercare a tentoni una torcia nell’anima.

Il secondo piano della Asl era completamente vuoto, ma sentivo dei rumori. Il dottor P sta al secondo piano, vada a vedere, mi aveva detto la guardia giurata sulle scale in assetto da combattimento, camicia fuori dai pantaloni, sudore percettibile, mani in avanti pronte a respingere gli attacchi di anziani esasperati. A vedere cosa, mi dico. Qui non c’è nessuno. Decido di seguire i rumori. Nell’ultima stanza trovo un uomo intento a fare pulizie. In genere mi spaventa rivolgere la parola a chiunque lì dentro: l’Asl della mia cittadina è come una sorta di castello stregato avvolto in una nebbia di rabbia, arroganza e strafottenza e tutti ne sembrano soggiogati e alla fine riescono ad intossicare anche te. Ehm buonasera, sto cercando il dottor P, sa se è arrivato? domando con voce sorridente che non so da dove mi esce dal momento che sono ansiosissima. L’uomo si gira verso di me. Spalle curve, pelato, occhi azzurri di cui uno soltanto sembra puntare nella mia direzione. Questo qui mi manda a quel paese, ho pensato. Stava per concludersi il conto alla rovescia nella mia testa quando posa il detergente spray nel carrellino, mi si avvicina e a mezza voce mi dice no, non ancora. Ma ho appena fatto la sua stanza con il tono di chi invece pensa di aver pronunciato qualcosa del tipo da un grande potere deriva una grande responsabilità. Mi dice di seguirlo. Gli sorrido da sotto alla mascherina riconoscente e pronunciando un grazie più allegro di quanto io lo sia in realtà.

Carte, burocrazie, mi mettono ansia. Non c’è nulla di preciso, controllabile, affidabile. Entra nella stanza del dottor P, ancora vuota. Nota che aveva dimenticato qualcosa e mormora che ha fatto bene a tornare. Mi mostra le sedie fuori in corridoio, dice che la gente in genere aspetta lì. Decido di restare in piedi, ho il terrore mi si attacchi addosso quella nebbia mangia emozioni. Dal foglio affisso fuori alla porta con gli orari per il disbrigo delle pratiche noto che sono cinque minuti in anticipo. Lo smartwatch ci tiene a confermarmi che sono agitata con una specie di misuratore di stress. Mi guardo i piedi nei sandali poco alti di cuoio marrone chiaro. Devo somigliare ad una tedesca in vacanza, con i pantaloni grigio chiaro alla caviglia, la camicetta color verde acqua, zainetto e occhiali da sole pure loro vintage come le scarpe. L’uomo esce dalla stanza e fa per allontanarsi quando arriva quello che sembra il dottore. Un tipo alto, capelli bianchi, rasato. L’uomo me lo indica, eccolo è lui e lo segue nella sua stanza a parlare di non so che. Nel frattempo arriva una donna, alta, abbronzata, capelli corti, chiede all’uomo se è possibile aprire i bagni, sembra una dottoressa anche lei. Mi passa davanti senza nemmeno guardarmi. L’uomo si mette a disposizione, prende le chiavi e la fa entrare, poi si gira verso di me e abbassandosi la mascherina mi fa una smorfia che vuol dire è una pesantona, mammamia. Io stavolta ridacchio davvero, non stento a crederlo dai modi e quando mi passa davanti per andare via lo ringrazio e credo non solo per le indicazioni.

Osservo il dottore che si mette il camice e con una lentezza infinita sistema le sue cose per prepararsi a ricevere i pazienti. Cioè me, perché non c’è nessun altro. Nell’attesa mi guardo intorno. Mi rendo conto che la battaglia tra la candela e la mongolfiera sta andando a favore della seconda. Raddrizzo la schiena, sistemo gli occhiali sulla testa. Scrollo un po’ di ansia dalle spalle. Temo un no signorina, non è possibile, non posso aiutarla. Eppure sento un vento che si alza e inizia a farmi staccare un po’ da terra. Fingo per un attimo che in quel camice ci siano altri volti più gentili e sorrido. Immagino i muri tetri che in un racconto potrebbero fare da metafora a qualche stato d’animo e diventare del tutto innocui. Il dottore mi fa cenno di entrare.
Quando vado via scendo le scale veloce, contenta di aver fatto in fretta e con la speranza di non aver perso solo tempo. Sento un piccolo vuoto d’aria nel petto, esco sulla strada. Capita mi dico, quando la paura è più alta dell’ostacolo tanto da coprirlo del tutto e nasconderne l’entità e ci si lancia a saltare da un po’ troppo in alto.

Avanzi di pensieri della domenica sera

la mia primula

Per quanto io possa interrogarmi sulla questione, ormai sono certa che una risposta univoca non esiste.
La domenica è quel giorno della settimana che mangi. Punto. Senza se e senza ma. Mangi. Qualsiasi cosa ti capiti a tiro.
A colazione c’era la torta alle arance del weekend, che a stamattina era arrivata per miracolo. Pranzo, vabé quello è un delitto premeditato. Il radicchio in frigo aspettava il suo turno da qualche giorno. Una cottura al vapore, una frullata con noci, pistacchi, olio, aglio e formaggio spalmabile, un’unione con pancetta e cipolla che nel frattempo sfrigolavano in padella. Un lancio di fusilli integrali e dadini di mozzarella. E la dieta l’abbiamo uccisa. Prima, tra un’aggiustatina di sale qua e di olio là, ho preso un po’ di pizza avanzata che avevo fatto ieri sera per inaugurare il ruoto che ho preso per cuocere al microonde. Chiamiamolo aperitivo.
Alle 17 sembrava l’ora di uno spuntino e quel che era rimasto della pizza è andato. Alle 17:30 si decide per una tisana alla melissa che si è tirata dietro tra le sue fila un biscottino al cioccolato. A cena di solito si fanno fuori gli avanzi. Se non ci sono quelli, il fatto diventa pericoloso: la domenica sera non si cucina nulla di canonico, al massimo ci si infila in qualche esperimento culinario. Tipo, la settimana scorsa, son venute fuori delle crepes di farina di castagne che hanno dato il meglio di sé con i wurstel e non con la marmellata.

Ha aspettato il primo giorno di sole di tutto l’inverno per sbocciare.

Quando l’ho portata a casa aveva un solo fiore sciupato. Gli altri boccioli erano tutti a testa in giù. Non mi sembrava un buon segno. Poi sono venute piogge fortissime e una decina di giorni di freddo gelido.
La vera questione che avevo per la testa oggi riguardava la libertà. Spesso si pensa che quando quella o quell’altra situazione finirà, allora finalmente ci si sentirà liberi. Allora mi ci sono proiettata mentalmente, a quel momento. Mi sono seduta a terra vicino alla primula. Ho sentito il sole sul viso e il vento leggero e ancora freddo sulle braccia. Non ho visto nulla di diverso. Nel senso, non c’era quel che mi aspettavo. Non c’era nulla. Perché le cose non accadono quando smette di fare freddo. La libertà non è un interruttore. A volte si confonde la mancanza di libertà con la mancanza di un progetto. Insomma, siamo sicuri di sapere cos’è che è bloccato, cos’è che vorremmo realizzare mentre quel qualcuno o qualcosa ce lo impedisce? Oggi mi sono accorta che stavo aspettando niente. Quelli che avevo in testa erano avanzi di qualcosa che non esiste più o che pensavo esistesse, perché viveva in un’idea di mancanza. E invece quel che ci sarà è quel che c’è già adesso. Perché nessuna pioggia di solito inaridisce un desiderio.

La Notte di Natale

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Prima parte, La Notte di Halloween.

Ho fame. Ho le dita congelate. E questa dannata serratura si è bloccata.
Si sta facendo buio ed è saltata la luce. Mi guardo intorno per cercare qualcosa in camera mia che possa aiutarmi. Mannaggia tutto.
Prendo il cacciavite dal cassetto della scrivania e inizio a smontare la serratura. Sono entrata qui per incartare un po’ di regali di nascosto. Tra poco sarà la Mezzanotte. Questa porta raramente viene chiusa a chiave. Forse per questo si è bloccata. Butto un occhio al balcone. La luce naturale scarseggia. Non ricordo come fosse il tempo fuori quando sono entrata, ma adesso l’aria sembra spessa e bianca. Ho provato a chiamare aiuto quando ho scoperto di esser rimasta chiusa in camera mia, ma nessuno mi ha risposto. Non è possibile che non mi abbiano sentita. Quando la corrente elettrica è andata via è calato il silenzio. Porca miseria. Ho freddo e non riesco a fare forza, lo scrocco è a forma di uncino e si è incastrato. Tiro un calcio alla porta. Provo a bussare e a chiamare di nuovo. Solo il vento tenta una timida risposta.
Mi avvicino al balcone. Le lucine blu e rosse che decorano i balconi del palazzo di fronte sono sfocate. Vado a cercare il telefonino. Nessun messaggio. Per un attimo mi manca il respiro quando mi rendo conto che questa Vigilia lui non scriverà. Mi guardo intorno, ma stavolta cerco con gli occhi un appiglio. Non è colpa mia. In fondo non ci ha messo molto a dimenticarmi. Tra il poco e il niente, voleva che scegliessi per il niente, è evidente. Non posso vacillare adesso. Mi siedo sul ciglio del letto. Gli occhi finiscono di nuovo sulle luci di Natale oltre i vetri appannati della mia stanza. Le imploro di restare lì. Di non andarsene. Almeno loro. Solo un momento, ancora. Finisco automaticamente tra i messaggi di un anno fa. Questo però è rimasto senza mittente.
“C’era qualcosa che volevi stasera. Se ti sbrighi sei ancora in tempo. La notte è appena iniziata”. Qualsiasi persona sana di mente seguirebbe le indicazioni provenienti da messaggi anonimi ricevuti durante la notte di Halloween, come no. Non ricordo nulla di quella notte, solo che presi ad inseguire risate di bambini nella nebbia. Mi risvegliai il giorno dopo nel mio letto. Sul telefono trovai un suo buongiorno. È ancora lì. Era il suo solito modo di rispondere senza rispondere. Sbuffai, ma un calore piacevole come al solito si diffuse dalla mano al cuore. Eppure, chissà, quella volta svanì in fretta. Un po’ come la paura di guardare attraverso la nebbia. Il vento annuisce lasciando oscillare le luci sfocate. Mi alzo. Torno velocemente verso la porta. Tiro forte. La porta si apre. L’albero di Natale in corridoio è acceso. Sento rumori di bicchieri, risate, profumi dolci, una luce calda abbraccia tutto il salone. Questa volta penso che la ricorderò, la magia.

Dieci anni!

No dico, ma ci rendiamo conto?

Questo blog è un vecchietto del web! Dieci anni in rete non sono pochi…

Ma bisogna festeggiare!

Come festeggia un blog?

Mmm.

Ci devo pensare.

Intanto grazie grazie grazie di essere qui. È davvero un posto prezioso per me.

♥️

Dentro, la luce.

Quest’anno ho addobbato casa più del solito. In particolare mi sono dedicata alle luci. Una serie di quelle minuscole a led alimentate a batteria, un proiettore di fiocchi di neve e altri due che mandano in loop sul soffitto del corridoio cuori e puntini rossi e verdi. Avevo preso un tubo di luci per il balcone che però con l’ultima forte tempesta si è fulminato e allora oggi sono andata al negozio vicino casa e il ragazzo indiano che si trova nel reparto luci mi ha sopportata per circa mezz’ora mentre facevo domande su queste e quelle altre serie di lampadine riguardo lunghezza, qualità, tipo di uso. Ho fissato a lungo degli alberi di luci che purtroppo ho scoperto essere solo da interno e una renna della grandezza di un dalmata fatta di un tubo di led dorati. Alla fine ho scelto due serie di luci a led a cascata e una piccola renna di plastica a batterie. L’indiano deve avermi ripetuto almeno tre volte che non è da esterno, ma l’ho avvolta nella plastica e fissata alla ringhiera del balcone meglio che potevo.

Ho cercato di mettere intorno a me quello che ho dentro, nonostante tutto il buio che ho vissuto quest’anno. Non credevo me ne fosse rimasta di luce, almeno così, ecco, adesso, ma come ho sicuramente detto altre volte qui, il Natale serve proprio a questo. E’ proprio qualcosa che ci serve. Non ci si rifiuta di festeggiare perché “adesso si sta male e forse l’anno prossimo andrà meglio”. Insomma cosa meglio di una luce che si accende nel freddo e nel vento e nella pioggia di questi giorni può darci la forza di andare avanti? Basta una candela, sapete, soltanto una candela per farsi calore nell’anima. Io forse quest’anno ne ho presa qualcuna in più e non vedo l’ora di sentirmi al sicuro, domani sera, tra le mie luci e nei pochi abbracci rimasti. E aspetterò Babbo Natale, lo spirito natalizio apparire come un sorriso sui volti delle persone che amo, guarderò le saracinesche dei negozi chiudersi assaporando l’ultimo minuto di lavoro frenetico che è il momento più bello di tutta la Vigilia, mi dedicherò a cucinare le cose buone che finora ho imparato a fare e sarà Natale, silenzioso, dolce, in punta di piedi, Natale.

Attraverso quel punto

Insomma, non lo so.

Non lo so come si fa.

Guardo questa pagina bianca e mi dico, non lo so.

Come si fa a guardarsi dentro e tirare dalle trame dell’anima qualcosa che abbia vagamente senso dopo, ecco.

Dopo la morte.

Tipo, come funziona adesso quella cosa per cui ad un certo punto mi fermo e mi metto a scrivere una o due ore durante la giornata? Ammesso che ci riesca, guardando il mondo, cosa ci vedo adesso? Servono tutt’altri perché e percome a sorreggere la realtà, adesso.

Mi sembra dissacrante legarmi con le parole alle mie sensazioni, come se mi cucissi ad una realtà che ora so può svanire da un momento all’altro.
Perché forse l’unica domanda alla quale vorrei risposta è dove sei adesso, cosa stai facendo? E la risposta non appartiene a questi spazi e a questo tempo. Mi sembra altrettanto stupido costruirci intorno castelli di parole che non arriveranno mai nemmeno a sfiorare il cielo.

Se tutto cambia affinché non cambi nulla, allora dovrei riconoscere sempre un punto in mezzo al tutto che è sempre lo stesso, qualsiasi cosa accade. Lo stesso punto da cui si nasce e si muore. Quello attraverso il quale tu mi hai portata due volte, quello per cui passa quel filo che ti ho promesso sarebbe rimasto sempre uguale e sempre nostro.

E mi sento come nata di nuovo in una nuova consapevolezza del mondo.

Oggi specchiandomi nella postazione del parrucchiere mi son vista finalmente trentenne e ho dovuto lottare con una lacrima che stava per sfilare proprio lì davanti a tutti. E ho capito che volermi bene è un modo per continuare ad avere cura di te.

E’ stato come cercare di trattenere l’acqua con le mani.

E se la vita può andar via così, prima di aver finito di fare tante cose, prima di aprire quella scatola di cioccolatini o aver indossato quel vestito nuovo, prima di aver festeggiato o lavorato o pianto per quelle altre battaglie, allora che stiamo a fare qui? Insomma, deve continuare da qualche altra parte. Devi esser saltata in un’altra realtà. Una in cui non esiste il tempo o lo spazio o magari tutti e due. Si perché questo spazio-tempo deve avere dei confini molto più sottili di quelli che immaginavo, anzi, che non immaginavo. No, perché uno non ci pensa mai alla morte. Non sta né sulla lista della spesa, né su quella dei documenti da presentare per il 730, né tra le possibili destinazioni di una vacanza e nemmeno tra gli annunci di lavoro. Invece fa parte della vita e ho come la sensazione, forte, che risieda lì un qualche profondo senso di libertà, felicità e di vita.



Il principe azzurro è svenuto

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Ero sulla bacheca di WordPress in procinto di cliccare su Scrivi e far comparire questo foglio bianco che suo malgrado finisce ogni volta per raccogliere in forma più o meno ordinata le mille cose che ho per la testa, quando l’occhio è caduto sullo spazio sotto alle statistiche nel quale ci sono le frasi digitate nei motori di ricerca che hanno condotto eventuali avventori del web nel mio blog.

Di cose strane se ne leggono spesso e altrettanto spesso mi chiedo quali attinenze Google possa aver trovato tra quelle parole e i miei articoli.

Questa volta però, insomma, è stato diverso.

Uno legge una cosa del genere e non può certo restare indifferente. No?

Qualcuno è arrivato nel mio blog dopo aver digitato questa frase: il principe azzurro è svenuto.

Capirete che quel che avevo in mente di scrivere prima di leggere questa frase è passato immediatamente in secondo piano e ho iniziato a pormi un mucchio di domande.

Mi sono anche un po’ preoccupata, ecco.

Prima di tutto, quale principe azzurro? Il pretendente di Biancaneve o quello di Cenerentola? Forse si intende invece quello che ha risvegliato la Bella Addormentata nel Bosco? Qualcuno dei principi delle storie più moderne? Chissà.

E poi mi chiedo, dove? Dove è successo? Lottava contro un drago? Si è impressionato per qualcosa? Un calo di pressione? Magari non aveva mangiato abbastanza. Può capitare. Io stavo per svenire qualche settimana fa dopo aver fatto un prelievo di sangue. Non che mi sia impressionata – ok, forse un poco sì -, ma è stato per la fame. Ero a digiuno dalla sera prima. Quindi potrei capire.

Insomma signori, qui un principe azzurro è svenuto. E’ un fatto decisamente strano e cavolo, non riesco a non pensarci.

Non è stato ucciso in un duello. Non si è perso nel bosco. Non ha rischiato la vita attraversando il regno sul suo cavallo affrontando mille pericoli.

E’ svenuto.

Così.

Chissà dove.

E chissà perché.

Nemmeno si tratta della parodia in cui oggi spesso ci si imbatte a proposito degli uomini. In quel caso sarebbe stato non esiste più il principe azzurro. Non esiste, capite? Non “è svenuto”.

Mi chiedo se forse c’è qualche fiaba degli ultimi tempi nella quale si narra di un principe che sviene e di cui non so nulla. Ho provato a mia volta a cercare il principe azzurro è svenuto su Google e non ho trovato notizie interessanti. Nemmeno tra le Immagini c’è nulla che raffiguri un principe svenuto.

Insomma, non so più cosa pensare. Non riesco ad immaginare cosa stesse cercando la persona che ha digitato quella frase. Di sicuro qui nel mio blog non ci sono tracce di principi svenuti. Ho scritto di principi azzurri incapaci, inesistenti, sopravvalutati, ma svenuti no.

Per favore, chi sa qualcosa, parli. Devo risolvere questo mistero.

E tu che sei arrivato qui cercando principi svenuti, casomai dovessi ripassare, fammi sapere come è andata.

Grazie.

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Il silenzio e il foglio bianco

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Un foglio bianco a me, un foglio bianco a lei. Una matita ciascuna.

Dai fai un disegno. Ne faccio uno anch’io e poi decidiamo qual è il più bello.

Panico.

Ero davanti ad un foglio bianco e mi è presa l’ansia.

Volevo spiegarle che il foglio mi sembrava perfetto così, bianco, e che non c’era nessun bisogno di sporcarlo. Ho sbirciato sul suo foglio. Aveva iniziato con un sole dai raggi ondulati e con il cielo. Era già al prato verde.

Non hai disegnato ancora niente? Guarda che io sono già avanti.

Guardavo la matita e il foglio. Una farfalla? No, banale. Fiori? Ancora peggio. Aiuto! Fantasia, dove diavolo ti sei cacciata? Ti sembra il momento di fare l’esistenzialista? Serve un disegno e serve adesso. Diamoci una mossa. Un disegno. E allora. Su. 

Guarda che poi devi anche colorarlo.

Al centro del suo foglio era apparsa una specie di caverna. Ah no. Uno, due, tre… Ah no, ecco, ha troppi strati. Un arcobaleno. Porca miseria. Ero rimasta indietro. Mi sentivo pessima. Eppure è come tutte le volte che non riesco ad interrompere il silenzio o come quando mi piace ascoltare solo i rumori che vengono dalla strada. Le voci, i clacson. Il mio preferito però resta sempre quello della pioggia. Meglio ancora se è un temporale. Mi fa stare bene. Nessuna melodia o canzone vale la pena di interrompere quel suono cadenzato e imperfetto che nessuno ha scritto e nessuno sa come finisce e nessuno mai potrà ripetere uguale. Perché dipende dall’intensità della pioggia, dalla grandezza delle gocce d’acqua, dagli ostacoli che incontrano cadendo e dall’inclinazione con cui li colpiscono. In mancanza di pioggia c’è sempre il silenzio che racchiude tutte le melodie, come la luce bianca che è composta da tutti i colori dell’arcobaleno. E cavolo la musica alle volte è così tremendamente banale. Sai già come inizia, sai già come finisce.

E vorrei spiegarle che è solo da poco che ci ho fatto pace e poi sarà la volta dei fogli bianchi. Una cosa alla volta.

La musica mi ha spiegato che se interrompo il silenzio non è vero che poi succede qualcosa di brutto. E tu, foglio bianco, sai cosa vorrei che mi dicessi? Che i miei sogni non si frantumano se non penso solo e soltanto a come realizzarli.   

All’arcobaleno mancavano giusto un paio di colori e poi sarebbe stato completo. Ho sorriso. Mentre ero lì a pensare è apparsa sul mio foglio una ragazza dai capelli foltissimi seduta a gambe incrociate sul suo divano e con una tazza fumante in mano. Un gatto dormiva beato sul tappeto davanti ai suoi piedi.

Alla fine ho disegnato il silenzio, su un foglio bianco.

 

La fata che intervistò l’unicorno: l’Intervista, parte 2

[continua da La fata che intervistò l’unicorno  ,  L’Incontro e L’intervista-parte 1]

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-Beh adesso allora capisco che tipo di spasimanti hai! Senti un po’… Tu sei un unicorno social. In particolare utilizzi Instagram. Perché? Insomma, perché la gente dovrebbe seguire un unicorno?

-Non ti passi neanche un secondo per la testa, mia dolce bipede, che possa fare la fine di quegli stramaledetti fenicotteri rosa di questa estate. Io non sono una moda!
Sono social solo perché i tempi lo richiedono. Non dimentichiamoci che sono portatore di verità e non conta il mezzo quanto il messaggio. Ma quanti riescono ad accedere a quest’ultimo? Potrei sembrare schivo , saccente, permaloso, superbo, presuntuoso…
Ma così disse anche la volpe che non era riuscita a raggiungere l’uva.

Gaetano accavalla –si può dire, sì? Anche se è un unicorno?– le gambe e posa il suo bicchiere vuoto sul tavolino. Io mi alzo e a grandi passi giro per il grande salone poco ammobiliato guardandomi intorno.

-Senti Gaetano, secondo me qualcuno lì fuori scuote ancora la testa. Facciamo così. Io di solito quando devo convincere qualcuno che credo davvero in una cosa, ne parlo male. Eh si. Parlo dei suoi difetti. Niente di più reale. Chi ti vende la perfezione di solito vuole imbrogliarti. Dicci il tuo difetto più grande e un motivo per cui le persone non dovrebbero seguirti affatto. 

-Non dovrebbero seguirmi e non lo fanno perché hanno paura di guardarsi dentro. Di abbandonare la grotta delle loro illusioni… Difetti? Che significa?

-Giustamente. Dai, proponimi un viaggio. Qui su due piedi, adesso.

-Penso lei non sappia volare signorina… Oppure si? Perché in tal caso le proporrei un viaggio sul lato oscuro della Luna…

-Mmh ho capito che ti piacciono le citazioni. Vin Diesel in The Fast and the Furious dice che vive la sua vita un quarto di miglia alla volta. E tu? Quanto vai veloce?

-Spazio e tempo sono assiomi creati dall’uomo. Io non ho vincoli. Non dico di essere immortale, non fraintenda… Semplicemente non sento scorrere su di me il tempo…saprebbe dirmi quanti anni ho?

-A occhio e croce diciamo…  Beh, no. No. Effettivamente non saprei.

La smetto di gironzolare e mi siedo di nuovo sul pouf. Con la coda dell’occhio vedo che il bicchiere di Gaetano è di nuovo pieno. M.. Ma come ha fatto? Se io sono sempre stata qui e lui.. Vabé. Osservo i suoi occhi. Ad un tratto è come se fossi anni luce lontana da lui e allo stesso tempo praticamente tra le sue braccia. E’ questo l’effetto che fa il mito infuso nella realtà? Sprigiona un profumo familiare ed estraneo insieme e mi accorgo solo ora che quello di bagnoschiuma ormai è svanito. Come il Bourbon dal mio bicchiere. Ops.

-Quand’è che invece rallenti, ti fermi..? 

-Mi fermo quando vedo violenza. Violenza gratuita. L’uomo è capace di troppo male. Non è come gli altri animali che se attaccano lo fanno per necessità o autodifesa…
Tutto assume dei contorni troppo sanguinolenti. Lì mi fermo e piango. Si dice che le nostre lacrime bevute dalla terra abbiano il potere di far rinascere a vita nuova.

-Sono d’accordo. Ti è mai capitato che fosse la vita a fermarti? E come hai reagito quella volta? 

-Quando ho perso mio padre. Centinaia di anni fa… Provi a fare un salto al Metropolitan di New York. Mia madre ha tessuto col suo crine gli arazzi che voi umani definite “La caccia dell’unicorno”. Beh… Quello era mio padre… E mia madre è morta di crepacuore…Serve aggiunga altro?

Rivolgo di nuovo lo sguardo all’arazzo alla sua sinistra. Allora l’unicorno raffigurato è… Cavolo. Avverto un brivido che mi ricorda la sensazione di spavento e incanto che l’immagine mi aveva suscitato all’inizio.

-Cos’è che ti ispira? 

-L’amore. L’amore è l’unica cosa che può donare vita eterna…

-Scopriti, Gaetano. Qual.. No! No, insomma… Oh! Dicevo… Mostraci come sei.. Dentro. Una paura, un incubo. Cosa turba i sogni di un unicorno?

-I miei sogni in realtà sono salti nel tempo. Rivivo le gesta dei miei antenati. Faccio mie le loro passioni e la mia paura è quella di morire della loro morte ad ogni risveglio.

-E invece qual è il tuo sogno?

-L’età avanza e sento la necessità di dover lasciare un segno del mio passaggio nel vostro mondo. Forse è il caso che inizi a cercare la mia futura ex moglie, madre dei miei… Dodici cuccioli? Pare che come numero abbia portato bene in passato…

-Gaetano e questo invece cos’è? E’ un sogno o è la realtà? 

Mi guarda negli occhi per un tempo che non so definire. Lo osservo anch’io. Ad un tratto mi accorgo che non sto aspettando una sua risposta, ma solo che quest’ultima pian piano affiori da me, stavolta.

Finiamo per ridere. Poi si congeda portando con sé il bicchiere di nuovo vuoto e sparisce alla destra del salone, nella penombra.

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Arazzo medioevale appartenente al ciclo “Caccia all’unicorno” – Metropolitan Museum of Art, New York

Se volete sapere di più su Gaetano, insomma conoscerlo meglio, lui è su Instagram come gaetanounicornonapoletano, OPPURE lo trovate QUI –> Gaetano Unicorno Napoletano
Per info e curiosità scrivete nei commenti 🙂 

 

La fata che intervistò l’unicorno: l’Intervista, parte 1

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[continua da La fata che intervistò l’unicorno  e  La fata che intervistò l’unicorno: L’Incontro]

Con la coda dell’occhio noto un altro arazzo alla sinistra della finta libreria. E’ in stile medioevale e raffigura un unicorno circondato da persone armate. Un tempo antico. La paura dell’uomo davanti a ciò che è diverso. Quell’immagine è spaventosa e attraente. Insomma fa un certo effetto. Come se non fosse già tutto abbastanza misterioso, oltre che fuori le righe. La voce di Gaetano riporta la mia attenzione su di lui.

-Bourbon anche per te.

Poggia un altro bicchiere di liquore ambrato sul tavolino. Ma che c’ha i bicchieri già pronti? 

-Io in realtà preferirei un caffè, ma pure l’acqua va ben..

-Solo liquore pregiato nel mio tempio. Sapori di paradiso. Profumo di… donna.

-Quella è di Al Pacino.

-No tesoro. Parlavo del tuo…

-GAETANO, dunque.

-Dai su, presentati come si deve. I miei lettori a questo punto o mi hanno presa per pazza o sono lì in attesa, curiosi di sapere chi sei.

-Io sono Gaetano, Unicorno Napoletano. Sono sempre esistito. Erano i vostri occhi non pronti ad accettarmi. Sono sempre stato al fianco dei miei bipedi preferiti.

Punta lo sguardo nel vuoto.

-Iscrizioni rupestri … Animali strani. Il nostro rapporto con la comunità umana è sempre stato molto.. stretto. In molti sensi. Purtroppo.

-Da dove vieni? Ti prego non dirmi seconda stella a destra e poi dritto fino al mattino che ti mollo qua e…

-Non sei andata poi così tanto lontana…
In origine galoppavo nell’infinito spazio-tempo. Poi è nata la luce e il mio corpo ha preso forma. E’ nato il fuoco e mi è stata insufflata l’anima. E il suono …  mmh. Non era che il rumore dei miei zoccoli.
Sono la nota stonata dell’armonia originaria del cosmo, quella suonata dalle stelle quando collidono. Poi è stata la volta del corno… Su per giù quando si è formata la Terra.

-Facci capire. Sei un po’ come Tarzan al contrario? Sei finito nella giungla urbana mentre eri ancora in fasce e poi sei stato allevato da esseri decisamente diversi da te?

-Io sono un umano, ma con qualcosa in più. Tradizionale ed emblematico simbolo di saggezza, l’unicorno nell’immaginario cristiano poteva essere addomesticato solo da una vergine, simbolo di purezza … ma oggi non ci sono più le vergini di una volta!

-Beh ma un unicorno cos’è che fa tutto il santo giorno?

-Io divoro cultura e cammino spesso tra la gente. Mi avvicino alle anime in pena. Cerco di riportarle in vita prima che sia troppo tardi…

-E sei sicuro sicuro di essere l’ultimo unicorno sulla Terra? E se ce ne fossero altri oltre a te? Nemmeno una.. femmina?

-Sono l’ultimo esemplare di unicorno maschio italiano. Sono in contatto con alcune comunità di unicorni in giro per il mondo. Più volte mi hanno chiesto di raggiungerli ma il mio posto è qui…
Ahimé femmine no. Non in Italia. Al momento grazie ai social sono entrato in contatto con una unicorno inglese. Niente male, ma il suo british humor, credimi, fa appassire ogni mia velleità.

Ti è mai capitato di perdere la testa -di unicorno, ndr- per femmine di altre, ecco, diciamo così… Specie? 

Mediamente mi innamoro dalle quindici alle venticinque volte al giorno. La leggenda narra che i miei antenati, per quanto focosi e passionali, usavano addormentarsi sul grembo di una vergine.
Ecco, il problema è che io non riesco a prendere sonno… E non perché soffra di insonnia quanto piuttosto per il mio amore per la.. patata. In sincerità penso che sia quanto di peggio inventato dal vostro Dio. Mi spiego. Non è possibile starle lontano. Per quanto paffuta, barbuta essa sia, non si può fare a meno di venerare tanta perfezione.
Da lì nasciamo e… lì vogliamo far ritorno ogni qualvolta ci sentiamo soli. E indifesi…

-E al contrario? Mai avuto spasimanti? Del tipo tu sei l’ultimo unicorno italiano e io mi prenderò cura di te?

-Le femmine della razza umana sono una cosa incredibile. L’unica cosa al mondo che ancora non sono riuscito a decifrare. E’ capitato spesso che si proponessero di donarsi a me per la sopravvivenza della mia specie… Ma così, per spirito di sacrificio? Continuo a chiedermelo.

-Sinceramente anch’io. Parliamo di cose serie, Gaetano. Viviamo in un’epoca in cui gli uomini hanno paura delle donne e le donne hanno paura degli uomini. Emancipazione male interpretata da un lato, residui di maschilismo bieco ed ignorante dall’altro. Tu cosa ne pensi?

Le donne urlano all’emancipazione e quando ce l’hanno tutto quello che di meglio riescono a fare è risultare una copia sbiadita dei difetti degli uomini. Ma dico… Dove sono finite la dolcezza e l’amor cortese?
Dove è finito il maschio italiano? MI SI RIZZA IL PELO QUANDO li vedo più depilati di una lolita e poi si affannano a  mostrarsi violenti per farsi rispettare. Non concepisco l’idea di gelosia e possesso. Sembra una lotta alla sopravvivenza della loro specie ma non considerano che per riuscirci devono appunto smettere di lottare. Insomma, di cercare un modo per prevaricare sull’altro.

-Mi sembra interessante. Sai l’anno scorso la parola più cercata e di cui si è più discusso è stata “resilienza”. Quest’anno invece sembra sia “empatia”. Mi piacerebbe sapere cosa ne pensi, cosa significano queste parole per te.

-Resilienza? Sono un essere superiore… La mia testa e il mio cuore sono di unicorno, il mio corpo, la mia carne, di umano. Ad ogni battito per me si accende una sfida di sopravvivenza tra le due specie. La lotta genera dolore…
Empatia… Deriva da ‘emo-pathos’ e per me è una maledizione. Gli uomini ci hanno sempre dato la caccia per i nostri corni, per il nostro latte e il nostro sangue, spingendoci ben oltre le soglie di estinzione. Mi sono sempre sempre sentito ospite. La mia diversità ha fortemente attratto ed altrettante volte allontanato. Le persone si avvicinano per curiosità senza mai fermarsi a chiedere cosa ho da raccontare…

-Sei un personaggio mitologico, epico. Con quale dio greco organizzeresti un party sul monte Olimpo?

-Ancora credi a queste cazzate? Gli dei dell’Olimpo non esistono… Tutti sono potenzialmente esseri divini. Solo che pochi lo sanno.

-Ah beh mi hai stupita! Non mi aspettavo una risposta del genere. Una cosa che proprio ti fa girare i.., ehm, gli arcobaleni?

Le puttanelle sapientone. Loro mi fanno davvero girare gli arcobaleni.

-Allora adesso mi odierai… – mi viene da ridere, ma mi sforzo di rimaner seria. -Per dire che qualcosa è impossibile dico sempre una cosa tipo “Si guarda, sta passando un unicorno!”. Per un unicorno invece cosa è impossibile?!

-“Uh guarda. Una donna che dice una cosa sensata…”

-Adesso si spiega che spasimanti hai! Sei forte. Senti un po’… Tu sei un unicorno social. In particolare utilizzi Instagram. Perché? Insomma, perché la gente dovrebbe seguire un unicorno?

Continua …

 

Se vi va di seguirlo, Gaetano è su Instagram come gaetanounicornonapoletano, OPPURE lo trovate QUI –> Gaetano Unicorno Napoletano
Per info e curiosità scrivete nei commenti 🙂 

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