
L’altoparlante nel parcheggio del centro commerciale gracchia una canzone di Natale e per un momento non sono lì per gli ultimi acquisti prima delle feste, ma sono appena scesa da un treno fermo alla stazione di un paese di montagna imbiancato dalla neve, semideserto perché è tardi e la maggior parte delle persone è già rientrata al calduccio delle proprie case. Tiro giù la valigia e mi incammino in compagnia di quella melodia che si fa più lontana ad ogni passo e delle luci dei lampioni e delle luminarie natalizie fioche per la nebbia scesa dopo l’abbondante nevicata. Prendo le scale mobili e le immagini svaniscono tra le luci forti e il via vai fitto di persone intorno a me.
Al rientro l’ascensore si blocca tra il secondo e il terzo piano per l’ennesima volta e penso tra me e me che non vale più nemmeno quella vecchia citazione che l’unica cosa che va secondo i piani è l’ascensore. Per arrivare al terzo ormai più della metà delle volte devo salire prima fino al quarto piano, poi scendere. In realtà potrei anche fare quell’unico piano a piedi, ma è una questione di principio, specie quando sono carica di buste della spesa. In qualche modo voglio scendere al terzo così come dovrebbe essere. Le prime volte mi attaccavo al pulsante di allarme impaurita e il portiere richiamava l’ascensore al piano terra. Adesso invece quel piano secondo-e-tre-quarti mi sta simpatico. Su cinque piani è proprio lì che deve incepparsi e qualche volta mi perdo ad immaginare che deve esserci un motivo e che magari lì in mezzo ci sia l’ingresso nascosto di un qualche universo parallelo.
Mentre svuoto le buste un nasino curioso viene ad indagare tra i vari prodotti alla ricerca dei croccantini. Guardo la mia gattina e mi rendo conto che siamo terribilmente complicati. Abbiamo bisogno di un mucchio di cose che per lei hanno solo odori strani e sgradevoli. A lei non servono tanti tipi di cibo, detergenti, utensili. Ad un gatto, ecco, non serve immaginare. Ancor meno serve una cosa come il Natale. Al mio piace l’Albero ma solo perché può nascondercisi sotto e le luci proiettate sul soffitto che lo incantano per minuti interi non riuscendosi a spiegare di cosa si tratta.
A gambe incrociate sul divano il pomeriggio di Natale mi dico che se le potessi spiegare questa festa le direi di osservare i silenzi, le luci, quelle di casa o del paesino di montagna innevato o del mondo misterioso dietro la porta dell’ascensore e non fare distinzione tra ciò che sembra e ciò che è e allora avrebbe già riscaldato il buio e starebbe lì tutto il senso, senza bisogno di cercarne un altro.