
Sono in fila per entrare al supermercato, intorno a me le persone indossano mascherine di vari tipi e chi non ce l’ha avvolge naso e bocca in una sciarpa di lana sotto i quasi venti gradi di un Marzo che cerca di fare il suo dovere nonostante tutto.
Esce una coppia di anziani, lui zoppica un po’, lei sembra affaticata, portano un paio di buste che sembrano poco pesanti. Una signora chiede ma come, voi uscite di casa, lei risponde che tanto in quarantena ci stanno sempre e la zittisce in fretta. Io che so cosa significa per qualcuno non poter uscire liberamente di casa annuisco tra me e me, mentre sento un paio di sensazioni perdere la strada e fare un pericoloso slalom per non scontrarsi.
La prima considerazione che ho appuntato mentalmente all’inizio di questa settimana è che all’italiano medio è stato chiesto praticamente di condurre per quindici giorni la vita di una persona anziana o disabile, ma anche di uno studente universitario sotto esame e ha quasi dato di matto, tra fughe, paranoie, crisi ed escamotage vari per riuscire lo stesso a mettere un piede fuori casa. Per non parlare del fatto che ci ha messo un po’ a capire che la quarantena andava fatta per proteggere se stesso.
Perfino la TV ha cambiato i palinsesti per poter intrattenere i bambini a casa da giorni, come se fossero delle bombe a mano con la sicura tolta, pronti ad esplodere al primo accenno di noia. Al quinto giorno di clausura sono iniziati i flash-mob per sentirci più vicini a gente di cui nemmeno sapevamo l’esistenza. La sensazione sui social era parliamo per due tre giorni di questa cosa poi la dimentichiamo e passiamo alla prossima come accade sempre e ho assistito pian piano alla conversione di tutti al solo e unico tema Coronavirus.
La prima volta che però ho sentito che davvero si tratta di un momento storico è stato sabato sera, quando mi sono affacciata al balcone e non c’era nessuno. Nessuno, né a piedi, né in auto. Il silenzio mi è piaciuto ma poi dopo pochi secondi ha iniziato ad inquietarmi. Mi sono ricordata di quando da piccola nei miei voli pindarici mentali mi chiedevo come sarebbe stato il mondo senza persone, come le strade sarebbero apparse più larghe e di lunghezza infinita, ma soprattutto mi chiedevo quanto potesse essere divertente andare in autostrada con la bicicletta. Per un istante è sembrato davvero che il mondo si fosse svuotato.
Con il passare dei giorni mi abituo a queste sensazioni, ma soprattutto inizia a piacermi l’estrema calma in fila dal fruttivendolo, i posso entrare, grazie, mi scusi nei piccoli negozi di alimentari, perché sto cercando di uscire a piedi e usufruire delle attività dei piccoli commercianti invece di recarmi nei grandi supermercati, con più gente e più rischio, almeno secondo me. Mi piace vedere le Istituzioni che lavorano sodo, i politici che non litigano. Mi piace l’idea che lo smart working oltre che ad evitare possibili contagi stia anche diminuendo traffico e inquinamento. Mi piace che la TV sia diventata di nuovo davvero servizio pubblico, che non inventa più frivolezze per intrattenere la gente, ma solo aiuta a capire, imparare, a fare da ponte con le Istituzioni di cui spero si possa tornare ad aver fiducia. Mi piacciono i Sindaci che si chiudono negli uffici, anche da soli, a lavorare, lavorare tanto. Mi piace che si sia placata l’ansia di andare, vedere, correre ovunque e mi piace l’idea che in qualche modo ho come del tempo regalato per me stessa, per rimettermi in piedi.
E se è vero che ogni malattia nasce da uno squilibrio degli individui con la realtà che li circonda come la medicina orientale ci insegna, allora tutto ciò significa che qualcosa deve cambiare necessariamente o forse, che questo momento storico ci cambierà, anche duramente e non accetterà se o ma o scuse per uscire lo stesso di casa o per non entrare e guardare dentro di sé.

