‘Ho Pensato A Tutto In Un Momento, Ho Capito Come Cambia Il Vento’

Credo che ricorderò quest’estate per essermene goduta i temporali.

No, non è per giustificarmi per non aver rimediato in alcun modo al mio colorito pallido, ma sul serio alcune delle giornate di agosto che ho adorato di più sono state quelle di pioggia. Del caldo ne avevo avuto già abbastanza alla fine di luglio, mentre sui libri arrivavo al giro di boa di quest’altro percorso universitario, con temperature per le quali ‘studiare’ dovrebbe esser dichiarato proprio illegale. Così qualche pomeriggio fa, sotto lo sguardo allarmato della vicina di casa tutta presa a chiudere persiane e a raccogliere oggetti che potenzialmente potevano volar via, son rimasta sul balcone a sentire quel vento d’estate urlare contro il sole costringendolo alla resa dietro nuvole pesanti e nervose e osservavo il cielo, confuso dalla battaglia che si stava svolgendo, e si, inerme, perché in fondo non poteva assolutamente farci niente. Lasciare che le emozioni se la giochino da sole mentre tu stai lì ad osservare senza fiatare, fa si che poi si determini uno stato d’animo che sarà di tempesta o di sole, a seconda del vincitore. Rientrai quando ormai la pioggia si era fatta davvero troppo insistente e la vicina era già dentro da un bel po’.

Lo stato d’animo puoi influenzarlo ma il più delle volte ti sfugge di mano e dentro ti ritrovi un’ingovernabile bufera che rimette in discussione tutto, presente e passato. Guardo le foto di chi mi diceva -Aspetti che l’uomo della tua vita venga sotto casa con un mazzo di rose in mano sbucando così dal nulla?-, con addosso davvero soltanto l’estate, con buona pace delle intenzioni poetiche di Jovanotti e ricordo che l’idea di aspettare invece che l’uomo delle rose (no, non il pakistano) si trovasse a passare fuori ai bar dove andavamo di solito non mi entusiasmava tanto di più. Che poi non importa il come e il quando, sono solo stufa di stare a preoccuparmi di chi ha deciso invece di andarsene. E tu vai via, e magari pure per sempre, magari finisce tutto così e se ne vanno al diavolo tutte le belle storie sull’affinità e sui legami speciali e … basta, basta lo sai che è solo una tempesta e passerà, come tutte le altre, è uno stato d’animo e cambia, come cambia il vento. 

Ricorderò quest’estate anche per aver trascorso più tempo con i miei amici, tra qualche settimana abiterò ad una trentina di chilometri da qui che non sono tanti ma richiederanno un po’ d’organizzazione in più per vedersi. Credo che mi dispiaccia andar via per loro e per i ricordi, giacché ho vissuto sempre qui, per il resto non vedo l’ora di lasciare un posto che non ha più granché da offrire mentre mi attende una città vera anche se nemmeno è detto resterò a lungo pure lì. Ho condiviso spazi e risate con chi c’è davvero e ho imparato, o forse solo riscoperto, che qualche volta si può fare il tifo per il sole e quello si entusiasma e caccia via tutte le nubi dal cuore. Non è detto che farai splendere ogni giorno il sole ma si può andar molto vicini allo star bene, che poi altro non è che la voglia di sognare, innamorarsi e mettersi in gioco di nuovo. Forse per il momento solo di sognare. Che se non avrò più un altro amore come il nostro, io preferisco amarti ancora, di nascosto. 

 

20150801_183432

Foto personale, 1 agosto 2015

In corsivo ci sono alcune delle mie canzoni preferite di quel signore lì. E’ stato bellissimo esserci ed ascoltarlo dal vivo (per la seconda volta) nonostante il caldo e la fatica di un pomeriggio intero ad aspettare l’inizio del concerto.

“… Potessimo Trovare Altri Sinonimi Del Bene.”

Un po’ di anni fa il mio professore di Geometria dell’università, mentre alcuni ragazzi ed io eravamo a ricevimento da lui nel suo ufficio per dei chiarimenti sui suoi esercizi, non ricordo bene perché, si riferì a noi come a delle meteore. In quanto tali avevamo incrociato le nostre scie e questo era il motivo per cui eravamo lì. Finito il corso, fatto l’esame, ognuno avrebbe continuato a viaggiare per conto proprio e quella breve magia sarebbe finita, la scia sparita al consumarsi dei piccoli frammenti di roccia ardenti.

Mi torna in mente quel momento ogni volta che mi capita di perdere qualcuno. Perdere nel senso che va via. Via, nel senso che non può o non gli interessa più far parte della mia vita.

L’idea che i rapporti tra le persone possano essere così labili mi spaventa. Faccio fatica a sopportarla. Eppure così come la similitudine delle meteore voleva far capire, le cose hanno una fine. I cerchi si chiudono e mettersi tra le due estremità provando ad impedir loro di congiungersi è soltanto un inutile sforzo. Una fatica immane e improduttiva e si rischia anzi di farsi molto male. Non c’è più nulla da dirsi e si interrompe per sempre quel flusso di pensieri e sentimenti che pur senza parole continuava a scorrere libero dall’una all’altra persona.

Mi è capitato di osservare diversi e bizzarri spettacoli di luce ultimamente. Alcune meteore fanno brevi virate per tornare su quella appena lasciata, bruciacchiandosi pure, altre continuano sistematicamente a mancarsi incrociando le rispettive scie su livelli sfalsati, altre ancora compiono percorsi che nel tempo diventano più simili ad orbite ellittiche poiché per anni non fanno che continuare a girare sempre intorno la stessa persona, aspettando di giungere al perigeo per depositare lì un po’ di nostalgia, prima di allontanarsi di nuovo. Ci sono meteore che si inseguono e non sempre si capisce se quella in testa stia scappando, alcune invece si danno il cambio alla guida, mentre una delle due riposa lasciandosi trascinare dalla scia dell’altra. Le più belle di tutte viaggiano in parallelo, indipendenti eppure abbastanza vicine da condividere il percorso e correggersi le traiettorie a vicenda quando serve, ben consapevoli che non esiste alcun epico traguardo chiamato per sempre, che pure mette timore, almeno quanto un incompreso mai più.

Il punto è che a me questa storia delle meteore mette solo tanta tristezza, così come le finte promesse e gli addii.

Voglio solo restare qui, in silenzio, a tracciare risposte con le dita sporche di cenere e capire come si fa a soffiarle via.

L’amore non esiste è un cliché di situazioni
tra due che non son buoni ad annusarsi come bestie
finché il muro di parole che hanno eretto
resterà ancora fra loro a rovinare tutto

L’amore non esiste è l’effetto prorompente
di dottrine moraliste sulle voglie della gente
è il più comodo rimedio alla paura
di non essere capaci a rimanere soli

L’amore non ha casa, non ha un’orbita terrestre
non risponde ai più banali meccanismi tra le forze,
è un assetto societario in conflitto d’interesse
l’amore non esiste… ma esistiamo io e te

e la nostra ribellione alla statistica
un’abbraccio per proteggerci dal vento
l’illusione di competere col tempo
Io non ho la religiosa accettazione della fine
potessimo trovare altri sinonimi del bene
l’amore non esiste, esistiamo io e te

L’amore se poi esiste è quest’idea di attaccamento
che ha l’uomo del mio tempo per le tante storie viste
non esiste fare i conti accontentarsi piano piano
di una vita mano nella mano
l’amore non esiste è un ingorgo della mente
di domande mal riposte e di risposte non convinte
vuoi tu prendere per sposo questa libera creatura
finché Dio l’avrà deciso o solamente finché dura?

Ma esistiamo io e te
e la nostra ribellione alla statistica
un abbraccio per proteggerci dal vento
l’illusione di competere col tempo
e non c’è letteratura che ci sappia raccontare
i numeri da soli non riescono a spiegare
l’amore non esiste, esistiamo io e te

Gioco – La Musica Del (Più o Meno) Buonumore

Grazie ad Erik che mi ha nominata per questo tag musicale ideato da Gloria (ghbmemories.wordpress.com), a cui ho deciso di partecipare perché in effetti mi sono resa conto che non ho mai parlato di musica così in generale ed è solo in questi giorni che mi ci sto riavvicinando, dopo un lungo periodo durante il quale avevo abbandonato le cuffiette del mio mp3.

Dunque, il gioco consiste nello scegliere 5 brani che rappresentino emozioni e stati d’animo positivi e spiegare le motivazioni di tali scelte.

Facendo un po’ mente locale ho notato che tutto ciò che so sulla musica è legato non solo ad emozioni e periodi della mia vita, ma anche a delle persone. Sono pochi gli artisti e i brani che ho conosciuto da sola, la maggior parte li ho scoperti grazie ad altri, che poi di solito sono (e sono state) persone importanti per me. Spesso mi è capitato anche di non ascoltare più un genere o un brano perché si erano allontanate da me e poi nel tempo li ho fatti miei di nuovo, lasciando andare il resto. Così impegnandomi a far pace con il mondo ultimamente mi sono riconciliata finalmente anche con la mia musica preferita. Ecco i cinque brani che ho selezionato…

1.  Save Tonight – Eagle Eye Cherry

Di questa canzone sono innamorata, qualunque motivo riesco a trovare per spiegarne il perché è sempre riduttivo. In particolare amo il video, in cui pian piano si scopre che è il cantante stesso l’attore di ogni personaggio il che mi ha sempre fatto pensare alla legge dell’attrazione e al modo in cui gli eventi si incatenano tra loro per far si che ci troviamo sempre esattamente dove dobbiamo essere. L’ho conosciuta, così come la maggior parte delle canzoni che conosco, grazie a mio fratello e mi ricorda i tempi in cui guardavamo MTV insieme mentre facevamo i compiti per il liceo e lui già ne sapeva molto più di me riguardo la storia del rock. Ancora non mi sono messa in pari.

2. The Best Damn Thing – Avril Lavigne

Avril è una delle poche cantanti che ho scoperto da sola e ci sono praticamente cresciuta insieme, fin da quando avevo undici o dodici anni. Ogni sua canzone è importante per me e visto che non sapevo quale scegliere, ho pensato di riportare qui quella che ha ispirato il nome di questo blog 🙂

3. Love Song – Sara Bareilles

Ho riportato questa canzone qui perché è la sua più famosa e una delle mie preferite. Ho conosciuto Sara Bareilles grazie al mio amico Zeph che si è pentito ormai di avermi passato i link con le sue canzoni giacché non smetto ancora di ringraziarlo, ma lei è davvero fantastica e tante altre sue canzoni mi hanno aiutata a superare momenti difficili…

4. Because the Night – Patti Smith, Bruce Springsteen, U2

Signori, alla quarta canzone il gioco si è fatto duro per me. Nel senso che non so davvero più scegliere. Ce ne sarebbero tante, da quelle che ascolto quando sono triste, ad altre che mi ricordano momenti vari… Poi ho pensato che ci volesse qualcosa di classico e di .. forte. Una di quelle che fanno scoppiare le vene. Because the Night è una delle mie canzoni preferite da sempre, ma non mi decido mai su quale versione cantata da chi. Allora ho trovato questa in cui ci sono i due suoi più grandi interpreti e gli U2. Beh, meglio di così! Da brividi.

5. Poison Love – Claseria

Questa l’ho scelta perché è l’ultimissima scoperta che ho fatto e la adoro. E’ la colonna sonora della scena finale del film La Teoria del Tutto, basato sulla storia dell’astrofisico Stephen Hawking. Al cinema ho dovuto mettercela tutta per non finire rovinosamente in lacrime, tanto che mi emozionai… Bellissimo film e melodia stupenda. Anche il video è interessante, una ragazza si innamora di colui che rappresenta la Morte, ma ricambiata scopre che ovviamente qualunque cosa lui tocca muore o invecchia in fretta per cui non possono amarsi. Lei pensa che l’unico modo per stare insieme è lasciarsi morire. Lui nel frattempo decide di lasciare a qualcun altro il proprio ruolo pur di raggiungerla, ma il finale della storia è lasciato all’immaginazione…

Le regole prevedono adesso che nomini altri 5 blog per far proseguire il gioco. Sono curiosa di leggervi, se vi va 🙂

pantufl90.wordpress.com

http://iansaiin.com/

https://tuttoilmondoateatro.wordpress.com/

https://venereisterica.wordpress.com/

https://dovebatteilcuore.wordpress.com/

Listen To The Man (E Non Il Vicino)

Mi sa che in questo blog manca della musica da un pezzo.
E, una canzone come questa, che fa un po’ lo stesso effetto di quando si spalanca una finestra per far entrare dell’aria nuova, dei pensieri freschi, dei sorrisi leggeri.

E poi chissenefrega se Vettel viene in Ferrari. Ce ne faremo una ragione. Come di tante altre cose, del resto. L’importante è non cadere nella trappola, non credere che amare sia un mancarsi all’infinito, che il vicino avrà da martellare per tutto il benedetto periodo d’esami e questa canzone non se ne andrà più dalle cuffiette che sto usando per sopportarlo.

Porca miseria. Un po’ d’allegria, please.

 

You don’t have to be there, babe
You don’t have to be scared, babe
You don’t need a plan of what you wanna do
Won’t you listen to the man that’s loving you?

 

Ps: quello a sinistra è Gandalf.

 

 

 

Di Canzoni, Incubi E Riflessioni Da Ora Tarda

Credi che sia così coi nostri sogni e i nostri incubi, Martin?
Dobbiamo continuare ad alimentarli perché restino in vita?

[John Nash – A Beautiful Mind]

 

Da piccola avevo paura di una canzone. Strano, assurdo, ridicolo, si, ma vero. Avevo otto anni circa e più o meno a metà della seconda o terza traccia del cd, un cantautore italiano, niente di strano, scoppiai a piangere. Ne avevo una paura irrazionale, inspiegabile. Smuoveva qualcosa in me che mi faceva profondamente orrore. Non avevo associato alcun brutto ricordo o sensazione, niente di niente, non ricordavo nemmeno più le parole, solo la musica, e la trovavo terrificante. La cosa ancor peggiore, poi, è stata che per anni non ho avuto la minima intenzione di affrontare la cosa. Stava lì, semplicemente. Era diventata una paura da compagnia. Come se un bambino si affezionasse al mostro chiuso nell’armadio di fronte al proprio letto, a patto che se ne stia lì buono senza fiatare e soprattutto non se ne vada via lasciando al proprio posto un vuoto ancora più estraneo.

Un bel giorno può accadere che qualcuno o qualcosa sfondi la porta dietro la quale abbiamo nascosto ogni nostra fragilità e fermi davanti ad essa le vediamo vorticare, come foglie che danzano con l’autunno, ma cadute chissà quanto tempo prima. Increduli di fronte all’evidenza che forti non siamo vorremmo soltanto che quel qualcuno o qualcosa tornasse immediatamente indietro ad aiutarci a fissare qualche asse di legno perché se la loro assenza fa male sembra sia ancora più dolorosa l’idea di farcela ugualmente da soli, come se bastarsi avesse un po’ il sapore di una condanna. Per tanto tempo mi sono chiesta se questo fosse un desiderio ovvio o solo un’idea irrazionale, una di quelle a cui soltanto la testa che l’ha generata da’ credito e pure più del dovuto. Ho visto porte sfondate in cuori che credevo più tosti del mio, trasformati in buchi neri che attiravano ogni negatività, soffrendo tanto, troppo, di parole e comportamenti che pensavano e pensano ancora di non meritare affatto.

Per quanto effettivamente sia un desiderio ovvio quello di voler avere accanto qualcuno che ci passi chiodi e martello per far quello che da soli ci siamo stufati di fare, è anche vero che la maggior parte delle idee irrazionali son tutte figlie di una sola dannatissima cosa. Non accettarsi. Non accettare di essere più complessi, più sensibili, di avere delle debolezze che si sono aggiunte in corsa e che non avevamo portato con noi fin dall’inizio del viaggio. Non avevo mai detto a me stessa prima io sono anche questo. Io sono anche ciò che ho paura di affrontare. Pensavo che il lasciar vivere quieto il mostro nell’armadio avrebbe preservato ciò che sono e mi piace essere. Invece, al contrario, chi mi vuole bene (o spero) mi stava facendo notare che proprio così stavo diventando tutt’altro.

La storia della canzone è finita un pomeriggio di qualche anno fa sgombro di pensieri superflui con me armata di cuffiette e si, diciamo, un po’ di coraggio. Qualche secondo dopo aver premuto play scoprii che alla rassegnazione si stava sostituendo la curiosità. La rimandai almeno altre tre o quattro volte. Capii cosa mi spaventava. Mi ci misurai come un pugile fa con l’avversario che teme di più. Adesso, ecco, non è diventata esattamente parte di qualche mia playlist. Io però avevo vinto una sfida e sentii di apprezzarmi.

E d’accordo si, che non si sappia troppo in giro, apprezzai un pochino, ma proprio un po’, anche lei.

E Poi E’ Colpa Sua, Se Non Ti So Dimenticare

“A cosa serve la scienza,
a che serve il sapere
se la donna che voglio
non la posso nemmeno volere
È strano sai, ti stupirei,
mostrandoti le mie ossessioni.

E la palla dei sogni,
ma ne vogliamo parlare?
la verità è che i sogni sono immagini riflesse,
sono specchio d’acqua immobile e svaniscono
provandoli a toccare

Perché è colpa di Wagner
se il giorno che ti ho vista
ho preso la mia vita
e l’ho lanciata alla conquista,

com’è colpa di Dante
se resterò in silenzio
intanto che accompagni allegramente
la mia anima all’inferno.

Ti voglio bene, ma
non posso stare qui
Ti voglio bene, ma capiscimi
Capiscimi … “

Almeno Credo Sia Così

Quando si apre il proprio cuore è inevitabile che ne escano anche paure e insicurezze. Ne dovrebbe venir fuori il conoscersi, il guardarsi davvero senza difese. Per gran parte di tratta di intuizione, sensibilità. Per un’altra parte, pur importante, di confronto. Almeno ci provo.

 

penvriend

 

“Io non lo so
quanto tempo abbiamo
quanto ne rimane
io non lo so
chi c’è dall’altra parte
non lo so per certo
se ogni nuvola è diversa
so che nessuno è come te

io non lo so
se è così sottile
il filo che ci tiene
io non lo so
che cosa manca ancora
io non lo so
se sono dentro o fuori
se mi metto in pari
so che ogni lacrima è diversa
so che nessuno è come te

sono sempre i sogni a dare forma al mondo
sono sempre i sogni a fare la realtà
sono sempre i sogni a dare forma al mondo
e sogna chi ti dice che non è così

e sogna chi non crede che sia tutto qui …”

*… Patrizia …*

Quando parecchi post fa scrissi che una volta realizzato un sogno ci si sente come fermi in un posto da cui si può guardare alle proprie spalle e allo stesso tempo dare una sbirciata in avanti e parlavo di una nuova rotta da tracciare, non credevo sarebbe stato poi così difficile perfino il reperire carta e penna e idee e voglia. Pensavo sarebbe stato tutto più naturale, più automatico, più semplice. Invece mi sento come se fossi bloccata in un porto e ogni volta che provo ad uscir fuori c’è una tempesta terribile e per evitare di distruggere la barca e finire in mare, da sola, perché intanto la ciurma ha fatto ammutinamento, pure, resto all’interno, ad aspettare che esca il sole.
Senza contare che lì, nel porto, mentre aspetto con la faccia imbronciata, non con le braccia conserte perché morirei di noia, ma facendo tutto fuorché ciò che vorrei davvero, non riesco più a capire chi mi sta intorno. Sembra abbiano iniziato tutti a parlare arabo. E io mi son persa pure il traduttore. Vedo solo un andirivieni di persone, organizzate in gruppi o da sole. Vedo passare qualcuno dei miei marinai che fa comunella con altri che non conosco. Li guardo e mi sento un’estranea. E mi sono scocciata anche di corrergli dietro cercando di afferrare una o due parole che magari traduco male. Da quel poco che capisco, però, sembra che tutti conoscano verità ed etichette alle quali credono ciecamente o fanno soltanto finta di crederci. Bisogna pur credere in qualcosa. Qualcuno ha dei progetti che per quanto prevedano percorsi talmente contorti che mi viene mal di testa soltanto ad ascoltar loro parlarne, gli permettono di sorridere almeno un attimo prima di addormentarsi la sera a letto. Penso che saranno anche fatti suoi, ma dovrebbe smetterla di andare in giro guardando gli altri come se avesse trovato la ricetta della felicità cazzi tuoi se fai diversamente perché poi a me non sembra che per il resto della giornata la sua faccia sia migliore della mia. Certe volte mentre riparo assi di legno o faccio l’inventario delle provviste rimaste qualcuno viene a dirmi che non importa quando sia terribile la tempesta, l’importante è buttarsi. Che non fa niente se dopo mezzo metro un’onda ti sommerge o una potente folata di vento ti spezza l’albero maestro. L’importante è che ci hai provato.
Per me non farebbe una piega se non fosse che la scelta dell’opzione buttiamoci-tanto-possiamo-sempre-tornarcene-a-nuoto sia condizionata non tanto dalla propria volontà ma dagli sguardi di chi ti sta intorno che si sta chiedendo che cazzo stai aspettando mentre non si rendono conto di esser ciechi nei confronti della tua tempesta quanto tu lo sei nei confronti della loro. E sono stufa di chi sorride per far si che gli si sorrida di rimando ma solo alla presenza di terzi che lo notino. Il mio sorriso si è incastrato tra un treno della vita e un ballo della felicità trovati su whatsapp l’altro giorno e la sera dopo ho fatto fatica a tenere a bada il mio cuore che saltellava allegro per un paio di ritornelli ascoltati mentre la tv era distrattamente accesa sul festival di Sanremo, proprio mentre notavo che il pronunciare critiche nei suoi confronti è diventato un sport nazionale quanto lo è il lancio delle frecciatine al di fuori di un campionato di tiro con l’arco. Notavo che non me ne fregava niente perché ogni critica non fa che auto-ingigantirsi come quei cereali che mangiano i pezzi di cioccolata che gli corrono intorno solo per far più paura alle altre.

Mi sono chiesta allora che ci faccio tra persone che non riesco più a comprendere. Qual è il mio posto tra tutti questi riferimenti che non mi arricchiscono più, che non trovo più positivi, che non mi spingono ad essere migliore. Che non mi ispirano a tracciare la mia rotta. So che non è nemmeno saggio fuggire da ciò che non piace sentire, ma allo stesso tempo bisogna saper prendere provvedimenti se in qualche modo finisce per ucciderti dentro. Allora avevo pensato di andare via. Anche solo di uscire dal porto e mantenermi non troppo distante dalla costa, solo in direzione di un porto nuovo, dove si respira meglio. Non verso il mare aperto, che mi aspetta si, ma sono certa che di me non se ne farebbe niente se non fossi almeno un po’ entusiasta di avventurarmici. E pensavo che dovrei lasciare la mia barca per prenderne una più piccola con la quale spostarmi più agevolmente.

Poi ho pensato che quella barca è la mia vita. Che abbiamo condiviso tanto insieme, abbiamo fatto mille percorsi e ci sono cresciuta. Contiene tutto ciò che di più bello e brutto e stupido ed emozionante ho incontrato negli ultimi anni. E supererà anche questa. Magari le cambio un po’ look, chissà. Che si fottano tutti. Andremo insieme verso nuovi porti, verso il mare, verso chi conta davvero. Di sicurezze non ne ho nemmeno io, ma credo che il posto giusto lo si trova restando almeno coerenti con se stessi.

E io vorrei solo essere così come mi piace essere, niente di più.

 

*… Secrets …*

Sarà pure che resterò una tremenda imbranata per il resto della mia vita. E magari resterà sempre un certo fuso orario tra le cose da dire e i momenti giusti per farlo. E sarà sempre un ritorno al mio mondo, sfasato delle volte, con troppa logica in un angolo e troppo poca in un altro, con le contraddizioni e i difetti e gli angoli smussati male, la polvere lasciata accumulare su qualche libro e tremila post-it su cui ne segno altri da comprare, film da vedere, playlist da comporre e ricevute di tasse pagate da scaricare in qualche benedetto modo, biglietti del cinema che conservo sennò dimentico pure i film già visti, brochure di posti da vedere e gli appunti che mi aspettano con pazienza ogni dannata volta che mi scoppia la testa di troppe altre inutili cose a cui pensare, più che a loro. E continuerò a vedermi un giorno in un paio di orecchini di perle, un altro in guanti da motociclista o in vecchie scarpe poco da donna. Un giorno anche in tutte e tre le cose messe insieme. E mi capiterà ancora di bere da bicchieri vuoti, mentre sovrappensiero, sopravvaluto la capacità dell’acqua di materializzarcisi all’interno senza aiuti esterni. Compilerò sempre liste di cose da fare lasciandole poi a marcire da qualche parte, dedicandomi poi a tutt’altro, come se scrivendole magicamente le dessi il dono di portarsi a termine da sole. Il problema vero sarà sempre che tutto questo lasciato così è soltanto rumore. Stupido e inutile. E invece ha in sé un potere meraviglioso. Lo so. Perchè poi non importa proprio nient’altro, quando arriva il tempo in cui ogni singola cosa trova il suo posto, come un gruppo di orchestranti confusi che non sanno dove sedersi per iniziare a suonare. A me non importa davvero niente di più, finchè mi capiterà ancora di voltarmi e accorgermi che ci sarà lì qualcuno e nello stesso momento che quel tutto sta diventando musica, una musica bellissima, la musica vorrei che fosse. 

Questa è la canzone, Secrets, degli One Republic.

*… CronacaDiUnBroncio …*

E d’accordo, immagino che non sia poi così tremendo. Dopo aver scoperto che l’influenza s’è portata via otto giorni che potevano esser sicuramente spesi meglio, due chili e un altro tono di colore dal viso, che in realtà il professore non aveva intenzione di tenermi in ostaggio al dipartimento ma semplicemente aveva già pranzato, lui, mentre io fino alle quattro non ho desiderato altro che divorare lui, le tavole del progetto, matite e scrivanie e che no, non mi stava prendendo in giro quando finalmente pensavo di poter andare via chiedendomi di calcolare l’area di terra da scavare per realizzare la strada in trincea soltanto per farmi notare che mi ero dimenticata di segnare un paio di misure sulla carta millimetrata. Dopo aver capito che con un po’ di impegno non è poi così vano sperare di riuscire a tornare a casa nonostante la sera prima avessi appreso dal tg che su 130 soltanto 20 sono i treni ancora in grado di portartici, tenuto conto che con te ogni giorno ci sperano altri 99.999 pendolari nell’arco di un’intera giornata.
Non è poi così tremendo scoprire, una volta arrivata a casa, che la canzone che avevo beccato alla radio, al mattino e continuato a canticchiare fino a sera, fosse poi dei Tiromancino. Che adesso pubblico un po’ in barba al titolo del mio blog, perchè ho un conto in sospeso con quel gruppo da quando anni fa imparai a memoria senza volerlo il ritornello di Per me è importante che non mi piaceva e non mi piacevano nemmeno loro. Un po’ come accade con la Pausini, di cui impari a memoria i testi senza mai averla ascoltata intenzionalmente. Per me è un complotto.
Nemmeno il video è male però.