Domande di sicurezza in caso di smarrimento della comprensione

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Domanda di sicurezza in caso di smarrimento della password. Clicco sul menù a tendina, scorro una ad una tutte le opzioni e mi soffermo su: nome del tuo amico di infanzia. Mi sembra l’unica domanda a cui potrei rispondere anche tra vent’anni. La seleziono e scrivo il nome della bambina con cui giocavo a far finta di saper scrivere delle lettere lunghissime indirizzate a chissà chi.

Oggi mi fermo a parlare con una conoscente. Suo marito è uno dei facchini che sollevano e portano in processione i famosi gigli, torri altissime fatte perlopiù di legno, protagoniste di feste di paese molto sentite dalle mie parti. Mi racconta della volta che si è sentito male perché dovevano essere presenti ad una cerimonia di famiglia e per questo lui non aveva potuto partecipare alla festa e svolgere il suo compito. Continua a ripetermi se non ci sei dentro non puoi capire. Era completamente in crisi. E’ una passione troppo forte, una fede. Io mi sforzo di capire ma mi rendo conto di non riuscirci. Riesco a paragonarlo al massimo alla volta che non riuscii a partire con la mia squadra di scacchi per un campionato ad Alghero per un problema grave e ci rimasi malissimo.

Insomma mi rendo conto che ci sono cose che davvero non si possono capire. Non si può, in nessun modo.

Mentre lei parla mi torna alla mente la mia amica di infanzia. Suo padre era un facchino. Aveva una gobba rossa e bruttissima tra il collo e la spalla sinistra. Ero piccola e mi faceva davvero impressione. Non capivo. Non riuscivo assolutamente a capire perché una persona dovesse farsi seriamente male per una delle cose, a detta sua, più belle della sua vita. Mi misi in testa che fosse una festa stupida e basta.

Ancora oggi lo penso, nonostante la tipa continui a raccontarmi con passione come si svolge, in cosa consiste, di quanto è importante quella festa anche per lei.

La mia empatia vede passare quel fiume di parole e resta impassibile, immobile. Di solito si tuffa a capofitto senza nemmeno avere il mio permesso nelle emozioni degli altri, ma stavolta no. Approfitto di questa lucidità emotiva alla quale non sono abituata per riflettere sul fatto che davvero, ma davvero certe volte non ci si può mettere nei panni di qualcuno e capire cosa sta provando.

Così come non posso capire perché un tipo che conoscevo da due giorni ha iniziato ad insultarmi dopo avergli detto che ero occupata e non potevo sentirlo al telefono. E’ schizzato perché ha pensato che la mia fosse una scusa. Inutili i tentativi di dirgli che sbagliava, anche se una cosa era vera, lui non mi interessava poi così tanto.

Perché una persona -e anch’io l’ho fatto- reagisce male, più male di quanto dovrebbe, a parole, gesti e silenzi che non le piacciono?

Mi turba la questione. Si perché di solito si lascia perdere e in fondo quella beata, sottile ignoranza mette una distanza tra noi e quella reazione, ci solleva da qualsiasi presunto obbligo e ci fa proseguire per la nostra strada indisturbati. E’ cosi che si fa. Io però non ci sono quasi mai riuscita. Quel senso di ignoranza l’ho sempre rifiutato e deriso anche quando l’ho provato.

Infatti non riesco a non chiedermi se davvero ci si può fregiare di non essere riusciti a capire per poter tranquillamente voltare le spalle e andar via, come se fosse un’assoluzione, un alibi, una chance nel caso si smarrisca la comprensione o se invece si tratta comunque di una triste e inesorabile sconfitta, una piccola grande guerra persa con se stessi.

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immagine dal film ‘Bright Star’ sulla vita del poeta John Keats

L’Uomo Dei Sogni (Non Miei)

Out in the fields - crilleb50 deviantart

Out in the fields – crilleb50 deviantart

Qualche notte fa ho sognato Brad Pitt.

Lo so, niente di eccezionale, specie se si pensa a quante donne capita di incontrare nei propri sogni l’uomo perfetto e che nella realtà non esiste o perlomeno è irraggiungibile. Non è niente di eccezionale in riferimento al fatto che in genere nei sogni vanno a realizzarsi cose altamente improbabili, che desideriamo o temiamo segretamente e che durante la notte si mettono in tiro, ripetono il copione e si mettono in scena, come se da qualche parte dietro ai nostri occhi ci fosse una casa cinematografica in crisi, in cui si riciclano battute da momenti vissuti davvero e gli attori si presentano in outfit dal dubbio gusto, risultanti da una mescolanza di stili e capi provenienti dagli armadi di tutta la gente che hai incontrato nella tua vita, mentre a te fanno indossare quella camicia orribile che avevi comprato a 13 anni e il cielo soltanto sa dove si trova adesso. Inside Out docet

Quindi il fatto non sarebbe eccezionale, se non fosse per un piccolo particolare: a me Brad Pitt non è mai piaciuto.

Eh no.

Per di più nel mio sogno si è presentato in versione piacione con almeno venticinque anni in meno, capelli tirati indietro con la gelatina a parte un ciuffo che gli ricadeva sulla fronte, sottogiacca con scollo a v e collana stile Marines. Insomma, un Brad Pitt anni ’90: potrei perfino ammettere che sia più attraente adesso. Per puro caso si trovava in vacanza in Italia nello stesso posto in cui da poco ero arrivata anch’io. Lui non conosceva bene l’italiano per cui mi aveva chiesto di accompagnarlo a fare delle commissioni, tra cui comprare dei fiori (!) per decorare il suo bungalow che gli sembrava un po’ triste e io, evidentemente, non avevo granché di meglio da fare. Immagino che a questo punto siate delusi perché dalle premesse sembrava si trattasse di ben altro tipo di sogno, ma credo che se non fosse stato proprio assurdo al mattino non lo avrei nemmeno ricordato.

Più delle immagini e delle parole, quel che resta di un sogno è la sensazione. Quella che nel frastuono creato da tutte le altre durante il giorno finisce per perdersi perché non è abbastanza limpida e forte da invaderti e costringerti a porti delle domande anche abbastanza serie. Sapersi fare le domande giuste è fondamentale. Condiziona fortemente quella che poi diventa la nostra personalissima ricerca delle relative risposte e la questione oggi è più delicata di quanto sembra. Intorno abbiamo mucchi di risposte. Centinaia di aforismi, perle di saggezza che ci scorrono dinanzi agli occhi ogni giorno aprendo facebook o qualsiasi altro social. Nei supermercati ci sono decine di risposte a bisogni che non sapevamo nemmeno di avere. Distinguere quelle che davvero ci servono dalle altre è difficile, la maggior parte delle risposte a nostra disposizione sta lì perché l’abbiamo trovata, ma non cercata.

Così il mio subconscio ha dovuto tirar fuori un personaggio di cui non mi è mai importato decisamente nulla e creare una situazione davvero assurda per attirare la mia attenzione nel caos emotivo in cui mi sono ritrovata ultimamente. Si perché la sensazione che ho provato, al mattino, è stata quella di aver trascorso del ‘tempo’ con una specie di amico, una persona piacevole e familiare, per cui, al di là di tutte le possibili interpretazioni che avrei potuto dare a questo sogno, la sua assurdità l’ho sentita forte come uno schiaffo in faccia. Un sogno mi ha riportata alla realtà, quella degli esami di coscienza e del silenzio, dell’ascoltarsi e del capire profondamente le proprie sensazioni e sentimenti, delle vere motivazioni che ci sono dietro a gesti e parole. Mi sono resa conto di quanto avessi bisogno di revisionare la mia rotta, perché il vento sembra a favore e le acque sono tranquille, eppure, per diverso tempo mi sono comportata soltanto come se mi trovassi in mezzo ad una terribile tempesta.

Tutto Ciò Che Volevo Farti Capire

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Foto personale 8 agosto 2015

Quel che volevo farti capire ho provato mille e mille volte a scriverlo e a dirlo a parole e a silenzi, com’era più opportuno.

Quel che volevo farti capire non l’hai capito perché non mi hai mai ascoltata davvero.

Quel che volevo farti capire era che per una buona volta avresti dovuto aprire le orecchie e chiudere la mente, cosicché le parole prendessero la strada giusta, finalmente.

Quel che volevo farti capire era che non avevo bisogno di nulla se non di te, così com’eri.

Quel che volevo farti capire era che non avrei mai tollerato mi trattassi così. Per paura di rovinare tutto alla fine tutto si è rovinato, ecco.

Quel che volevo farti capire è che non c’era alcun fottutissimo bisogno di tirar fuori tutte quelle spine e pungermi, per costringermi ad allontanarmi.

Quel che volevo farti capire è che non ti avrei mai odiato soltanto perché tu me l’avevi chiesto.

Quel che volevo farti capire era che, dove meno te l’aspetti, poi nasce un fiore.

Quel che volevo farti capire era che non c’è niente, niente al mondo di più bello e che somiglia all’amore e alla fiducia e all’amicizia e all’esserci l’un per l’altra, alla meraviglia del trovarsi e del tenersi nelle reciproche vite, niente di più vero, reale, autentico e che io andrò sempre e comunque alla ricerca di quel fiore, non importa quanto impegno tu ci abbia messo per cacciarmi via da te. Questa sono io: ma tu non hai voluto capirlo.

Chi Sei, Charlie?

L’altro giorno ho visto una vignetta, c’era un Maometto visibilmente preoccupato seduto sul lettino dello psicologo che si chiedeva com’è che gli altri profeti hanno followers con più senso dell’umorismo e lui no.

La cosa che preoccupa me, invece, è l’enorme confusione che regna tra tutti noi che siamo stati spettatori di quel che è successo. Da chi ha sentito gli spari fino a tutti quelli che come me hanno appreso il fatto ad esempio alla radio, tra una canzone e l’altra, tornando a casa a fine giornata. Tutti d’accordo sul non si uccide, specie chi è disarmato. Poi però le opinioni viaggiano su sensazioni diverse.

C’è che così, d’istinto, in tanti si sentono Charlie, come se di fondo fosse stata ucciso il potere, anche potenziale, di ognuno a dire ciò che vuole su chiunque. Da qui c’è il comunque non lo farei oppure satira si, ma non si offende. 

Chi stabilisce se una cosa è offensiva o meno? Chi decide se chi si offende lo fa a ragione o a torto?

Poi, guardando bene, in controluce, c’è pure il voglio sia la libertà di esprimermi che quella di offendermi. Sarebbe lo stesso dire che una religione è più rispettabile di un’altra. Siamo proprio sicuri che se ad esser preso di mira fosse il cattolicesimo, la Curia non avrebbe proprio, ma proprio niente niente da ridire?

C’è chi pensa che il problema sia il terrorismo e non la religione perché non tutti gli islamici sono criminali, altri per cui si, non sono tutti criminali ma alcuni sono integralisti e quindi è pure peggio. E’ vero che tutti i terroristi sono estremisti o che tutti gli estremisti pur non essendo terroristi cercano in un modo o nell’altro di imporre la propria cultura emarginando gli occidentali, alla faccia dell’integrazione?

Qualche voce d’altro canto afferma io non sono Charlie, che c’ho il mutuo da pagare, guardiamoci bene in faccia per favore. Sul web, sotto al viso di un poliziotto ucciso compare la frase si però io sono morto per difendere la libertà d’espressione di chi prendeva in giro la mia stessa religione. Poi magari da chissà quale aldilà starà imprecando perché quello gli è toccato e basta, che aveva mutuo e famiglia pure lui.

Una cosa soltanto ho capito, ed è che questi attentati hanno spogliato miriadi di false convinzioni e tutti nudi, adesso, si corre qua e là per provare a ripararsi dietro le poche spiegazioni rimaste in piedi, dopo uno scossone del genere. E’ questo che mi par di vedere. Confusione pazzesca. Quel senso di smarrimento e disillusione nei confronti di politica, religione e società occidentali che ha portato alcuni in Europa ad arruolarsi tra le fila di guerre sante. A me tutto questo fa spavento.

M’è preso quasi da piangere guardando tutte quelle matite alzate al cielo, ma se sono o no Charlie sinceramente non lo so. E non so nemmeno se sono una follower con più senso dell’umorismo d’altri, che alla fine il livello di fastidio lo percepiamo tutti ad altezze diverse. Diverse come le emozioni che questa storia ha suscitato in ognuno, come le religioni, come le convinzioni, come le culture, come i confini tra libertà e rispetto…

Davvero, ma come si trova un metro di giudizio unico in tanta diversità?

Vorrei riprendere dall’inizio tutto, e capire sul serio Charlie chi è.

Lettera, A Proposito Di Fiocchi Di Neve

First_Snow_by_thienbao

Ti sei mai innamorata di un fiocco di neve? Se si, sai cosa significa sentire il cuore perfettamente lucido e la testa incosciente. Incosciente nel senso di sconsiderata. Viva, scattante, entusiasta, ma sconsiderata. Allora sai anche come funziona più o meno. E’ pur sempre un fiocco di neve. Viene giù svolazzando tra gli altri, ma più luminoso, più elegante, diverso, speciale. Curva sui tuoi capelli per sfiorarti la punta del naso e arriva leggero tra le tue mani. Al contatto si scioglie. Anche se sei rimasta al freddo ad aspettarlo le mani sono comunque più calde. Fossi stata tu lì, o un’altra o altre dieci persone, non avrebbe fatto differenza. Sarebbe accaduto lo stesso. E’ nella sua natura di fiocco di neve. Appare dal nulla, originale e unico e poi va a confondersi nella massa dove finiscono tutti, una volta concluso il proprio volo. Impossibile distinguerlo più, in tutto quel bianco. Converrai con me che è difficile dire cosa sia giusto e cos’altro sbagliato. E’ giusto forse amare, soffrire o giudicare? E’ più sbagliato credere, lo è un po’ meno dimenticare?
Ricordi cosa mi disse quel tipo al telefono una volta? L’importante è che il film sia finito e che tutti siano usciti più o meno soddisfatti dal cinema. Mi arrabbiai da morire, ne parlai a lungo. Scaricò dalle proprie spalle ogni viltà e la responsabilità dell’essere stato un pessimo attore. O molto bravo forse. Dipende, perchè si tende ad odiare chi si comporta male nel film senza pensare che quella è esattamente la reazione che importava suscitare. Come se l’eroe, il protagonista sia poi necessariamente uno stinco di santo per davvero.

Cos’è che importa allora? L’illusione o più la disillusione magari, che in fondo è solo l’illudersi d’altro?

Ad esempio, guardando un film coinvolgente, ti capita mai di piangere? Di lasciare entrare la storia a tal punto dentro te da prenderti ed emozionarti tanto? Quelle lacrime ti sembrano meno vere, soltanto perché si tratta di un film? Io penso di no. E dunque che fai allora, dai la colpa agli attori? Quelli sono andati a casa già da un pezzo, a fare i fatti loro. A te è rimasto il cuore stretto in una morsa invece. Biasimi te stessa? Li maledici, gli scrivi una bella lettera Ah grazie tante e adesso del mio cuore a pezzi cosa ne faccio secondo voi? 

Forse alla fine quel che conta è ciò che siamo dentro e cosa siamo in grado di dare. Ciò che è nella nostra natura.

Come lo è in quella di un fiocco di neve sparire per sempre.

Credo che cercherò di scaldarmi le mani adesso, con i ricordi più belli.

[picture: First Snow by thienbao, Deviantart]

*… Semplice, Ma Non Troppo …*

Ecco, tanto per cambiare, riflettevo. Troppe cose che non riesco a capire. Troppe domande. Nessun senso di pace interiore, energia cosmica e/o pensiero minimamente zen che mi tenga ferma in un solo posto, che plachi la confusione o la distragga con qualche gioco di prestigio. Che la tenga buona per un po’ per darmi modo di dedicarmi anche ad altro. Che mi faccia star bene abbastanza da far trascorrere almeno una giornata senza che controlli di continuo l’ora. Come se avessi paura di perdere qualche risposta che magari potrebbe passare proprio in quel minuto, a bordo di quel vento che le foglie trovano divertente, ma i miei pensieri no.

Mi sono ritrovata a parlare con dei perfetti sconosciuti dei dubbi che ho, presi a caso tra tutti quelli che aspettavano con me il passare di qualche parola risolutiva, che fosse convincente abbastanza da portare i passi verso un’altra fermata, quella successiva di solito. Si perchè ne vedo diversi a volte che invece scelgono di tornare indietro trascinati da curiosità che il passato tende sempre a nascondere tra i cassetti della cucina come una persona anziana spaventata dall’idea che nessuno vada più a trovarla nell’ansia di dover correre tutti in avanti, chissà dove. Che, nel dubbio, ‘avanti’ è giusto, fa tanto pensiero positivo. Ho provato a parlare con loro, a far domande, nella possibilità che qualche risposta l’avessero beccata già prima di me, ma invano. Hanno compreso e condiviso ciò che avevo da dire ma poi sembrava non ne sapessero più di me. Le ho salutate e sono andata avanti per conto mio ancora guardandomi intorno. Nel caso arrivasse un’indicazione qualsiasi. Mura di altre case raccontavano di ciò che è stato, ma non hanno saputo dirmi se quello fosse il posto giusto dove restare e se si, per quanto tempo. Così come vorrei sapere quanto tempo bisogna restare in una certezza prima che diventi pregiudizio.

Esistono confini nella comprensione? Cioè, arriva un punto in cui c’è da pensare ti ho compreso fin troppo adesso vorrei essere compresa io come se si trattasse di un senso unico alternato, oppure è un qualcosa che viene dallo stesso posto dal quale viene l’amore che vive dell’esser dato soltanto? Ho perso il conto delle tempeste nelle quali sono finita insieme a persone che ho qui intorno che invece di risposte cercavano in ogni modo di togliersi le responsabilità delle proprie scelte. Chiamano incomprensione ciò che io ho imparato ad identificare come vittimismo. Allora poi nel bel mezzo di una tempesta ci sono finita da sola, questa volta non in senso metaforico, il mio spavento è finito prima di lei e mi sono resa conto che ogni cosa che accade al di fuori di noi, dietro ai nostri occhi può diventare tutt’altro.

Quindi è vero che le persone possono fare delle scelte e che queste in qualche modo possono far male agli altri. E’ anche vero però che il ferirsi o meno quando arrivano troppo vicine dipende molto da se stessi. Allora se il tutto si riduce ad una dimensione così personale, così compresa nei confini della propria testa, io credo che la questione diventi com’è che io vorrei essere. E’ ovvio che qui io rifletto soltanto e non è detto che sia tutto così facile, anzi. Si reagisce d’istinto il più delle volte. So che non voglio diventare diversa da ciò che sono per colpa di altri che hanno deciso di andare avanti per la propria strada armati fino ai denti pronti a prendersela perfino con chi non potrebbe mai fargli del male, come me. E se occorre difendersi, come si può capire? E così ogni cosa va in frantumi. Le tempeste distruggono.

Intanto che aspetto risposte, immagino. Io immagino che esista una specie di equilibrio nel quale certe cose come l’amore e la comprensione trovino essenza e vita nell’esser date mentre si rinnovano per ripartire con più forza quando vengono accolte e ricevute. Niente di platonico o a senso unico. Non si pretendono, non si chiedono e meno ancora, si elemosinano. Piuttosto, se tutto ciò nasce spontaneamente allora le persone intorno a sé sono quelle giuste, per una chiacchierata sotto ad una pensilina o perfino, magari, per viaggiare un po’ insieme. E cavolo, quanto ho da imparare ancora.

*… Ginny …*

Quella volta che mi chiedesti per gioco chi sarei voluta essere tra Hermione e Ginny, io risposi senza dubbio che avrei scelto la prima. Non trovavo ci fosse niente di meglio che essere la migliore amica di Harry, intelligente, astuta e decisamente più carina. E pensai che ne avremmo discusso, certa l’avresti scelta anche tu. Eravamo fatte della stessa pasta, in fondo, nonostante tu sfidassi le aspettative nei tuoi confronti, io me stessa. Tu scegliesti Ginny, invece. La  sua fidanzata. Secchiona ti ci sentivi già troppo, per desiderare di esserlo anche in un mondo inventato. Invece di farmi qualche domanda, tra me e me cantai vittoria per aver conquistato il posto al quale ambivo di più senza troppi sforzi. –La fidanzata, roba da femminucce– pensai. E poi alla fine son stati bravi ad illuderti che saresti potuta esserlo davvero. E ti hanno usata. Io soffrivo da morire nel vederti intrappolata tra le loro bugie senza poter far niente. Perché mi avevi allontanata tu. Che poi allontanata è dir poco. Da un giorno all’altro mi buttasti via come fossi la brutta copia di un compito appena ricopiato in bella. Quando trovai il coraggio di parlarti mi rispondesti –Boh, niente, sai le persone cambiano, le situazioni cambiano e a me nemmeno piacciono i cambiamenti-. Quasi volessi scusarti del fatto che all’improvviso di me non te ne fregava più niente. Non riconobbi la tua voce. Tirai contro il muro un tuo regalo e vidi in quanti pezzi era finita la fiducia che avevo in te. Capii che non ti avrei più disturbata e da allora non sappiamo più nulla l’una dell’altra. E’ solo che ogni tanto ripenso alla tua risposta. Non ebbi molto da risponderti al momento. Volevo solo che non te ne andassi via. Tanti anni fa.

Le situazioni possono cambiare, si. Le persone non cambiano invece. Le persone si conoscono. Se non ti ho più riconosciuta è solo perché non ti conoscevo abbastanza, non ti conoscevo a fondo. Non è vero che da un giorno all’altro si cambiano caratteri ed interessi. Non ci si comporta da perfetti estranei all’improvviso. Dipende tutto dalla luce che ci illumina. Al suo variare, si appare diversi. Si brilla diversamente, fuggono via ombre, se ne creano delle altre. E non credo si possa identificare il crescere, l’evolversi, con il cambiare. Le prime due cose avvengono così lentamente da non giustificare comportamenti all’improvviso così diversi da quelli ai quali ci si abitua. Nemmeno tu conoscevi me. Sapevi per cosa mi arrabbio o per cosa provo orrore, o come reagisco ad una sconfitta, con quale colore di capelli non sarei mai voluta nascere? Avresti saputo leggere ansia o imbarazzo o dolore sul mio volto? Sapevi che ti odiavo quando mi costringevi a giocare a scacchi a memoria? Sapevi qualcosa di me che non conoscevo neanch’io? E per di più sono certa anche del fatto che le persone non si cambiano. E’ stupido credere che sia possibile. E non è nemmeno giusto. Non ci si sveglia una mattina iniziando ad essere diversi da se stessi. E se capita, non dura. Se si diventa diversi è perché ci si sente ispirati a farlo, al massimo. Può capitare di vedere in un altro qualcosa che ci manca, qualcosa che ci completa e sentire quella spinta fortissima a voler rendersi una persona migliore. Esistono persone di cui basta la sola presenza per riuscire a vedersi speciali e unici. Persone che ti fanno stare bene. E potresti esplodere di vita quando ci sei accanto. Quando la tua anima le è accanto abbastanza. Quella distanza non può che restare costante se manca la volontà di conoscersi. E in quella specie di cortile interno si alzano muri che, certo, si possono perfino abbellire con piante rampicanti, ma sempre muri restano. Che non hanno nemmeno un mattoncino fuori posto per permettersi di scambiare qualche parola di tanto in tanto. Si resta ai due lati diversi di troppe domande, troppi dubbi, troppe cose non dette, non capite. Senza comunicare poi, accade una cosa strana. Non ci si parla eppure si cerca di capire ugualmente. Di comprendere cosa accade. Darsi una spiegazione. Allora si inizia a fare qualche passo indietro. Ci si allontana come quando si vuole scattare una fotografia ad un panorama molto ampio. Per cogliere quante più cose è possibile. Si riesce anche nell’impresa, si, ma la distanza diventa man mano sempre più grande. Si va letteralmente e inesorabilmente via.

E chissà, mi chiedevo, anche, tra le altre cose, sapevi almeno che avrei scelto di essere io Ginny, fosse stato per farti felice?

*… Believe …*

Mi sono seriamente preoccupata quando questa mattina perfino il vasetto di Nutella mi ha guardata allargando le braccia e scuotendo la testa come per dire questa volta te la piangi da sola.

La questione è che non fa che allungarsi la lista delle persone che mi mancano da morire, questo Natale. E per la prima volta nella mia vita ho pensato, si lo ammetto, questo sarà un Natale di merda. Non ho un bel niente da festeggiare. Fanculo allo spirito delle feste. Fanculo a tutto. E mentre cercavo di metter pace nella mia testa tra i sostenitori dello scappare via il più lontano possibile da qui e quelli del restare sotto le coperte con la speranza di scomparire tutti insieme per sempre, è arrivato nel bel mezzo della zuffa un altro tipo, dall’aria furba, dall’aria di chi ne sa una più del diavolo ed effettivamente mi andava di sentire anche la sua opinione.

Non è che un trucco. Un’illusione. Ci cascano sempre tutti. E questa volta ci sono cascata pure io. In pieno.

In breve la questione è che più stai morendo dentro, più ne hai bisogno. Del Natale. 

Più soffri per le persone che ami e più ti ci dovresti aggrappare. Ne dovresti approfittare per tenerti su sperando che le corde riescano a reggerti almeno finchè non sarai in grado di raggiungere di nuovo il ciglio della roccia, per tenerti da sola. Tanto da lassù se ti va bene qualcuno c’è, ma non è detto possa aiutarti perchè non può capire o sta lottando come te, ma per fatti suoi.

E allora ho pensato col cazzo che ci casco.

Questa cosa, forse, l’avevo capita già ieri. Quando per strada mi son ritrovata di fronte un Babbo Natale un po’ sciupatello e con un accento che di certo non era del nord, che mi porgeva un foglio e una penna. E un abete enorme su cui attaccare il foglio con su scritta una stronzata qualunque, in cambio di un’offerta.

E allora ho deciso che, ancora una volta, mi sarei tenuta stretta ciò in cui credo e ho sempre creduto, nonostante tutto.

Tutto quello che mi è sembrato di capire, ieri, penso di averlo riassunto lì.

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*… And Put Up Your Head …*

 

“Ma finalmente capiva quello che Silente aveva cercato di dirgli. Era, si disse, la differenza fra l’essere trascinato nell’arena ad affrontare una battaglia mortale e scendere nell’arena a testa alta. Forse qualcuno avrebbe detto che non era una gran scelta, ma Silente sapeva – e lo so anch’io – pensò Harry con uno slancio di feroce orgoglio – e lo sapevano anche i miei genitori – che c’era tutta la differenza del mondo.”

[J.K.Rowling – Harry Potter e il Principe Mezzosangue]

*… Strangers Like Me …*

Una cosa che davvero non sopporto sono i giudizi superficiali. Quando così, alla leggera, si spara a zero su qualcuno o qualcosa senza nemmeno approfondirne la conoscenza. Anche di un minimo. Il più delle volte si tratta di una sorta di trappola, nella quale non è difficile cadere, anche per la sottoscritta. Ma almeno provo a tenere a freno la lingua e ad odiarmi profondamente quando una certa apparenza fa si che scattino nella mente considerazioni affrettate e fuori luogo.

Anni fa ero al bar di fronte alla mia scuola con mia madre. Eravamo in fila davanti al bancone per ordinare e dietro di me c’era un’altra ragazzina che a stento conoscevo. Ad un certo punto, con aria allucinata mi disse -Ma tua madre è straniera??-.
Perplessa, la guardai. Cercavo in qualche maniera di capire com’è che fosse arrivata a quella brillante deduzione. Non che ci fosse qualcosa di male o di strano in un’affermazione del genere, ma ero curiosa di sapere in che modo potesse apparire tale, visto che l’idea non mi aveva mai sfiorata minimamente. Le dissi allora -Perchè, scusa?- e lei, che sembrava ignara del fatto che mia madre intanto seppur di spalle stava ascoltando l’improbabile conversazione, si affrettò a dire che poichè biondissima, carnagione e occhi chiari e inoltre non spiccicava parola, non poteva che essere straniera. Elementare, Watson. La rassicurai sul fatto che fosse nata e cresciuta in Italia, ma non contenta aggiunse -Davvero?- al che risposi -Si cara, penso che se non fosse stato così l’avrei certamente saputo-. Immagino che se ne fece una ragione, visto che ordinammo e andammo via senza dire altro.
Quella però non fu l’unica volta che capitò una cosa del genere. Qualche tempo dopo, infatti, ci trovavamo da Tezenis a fare shopping. Si avvicinò una signora che, senza accorgersi che mia madre stesse di spalle e immersa ad esaminare delle taglie, chiese -Scusi, ma secondo lei questo è un pigiama?-. Non pervenì risposta e io che vidi la scena da poco lontano notai che proprio non aveva sentito la signora. La quale imbarazzata concluse -Ah si vede che è straniera, non mi ha capita.-. Mi guardò per cercare conferma della sua considerazione. Io non riuscii a dir nulla prima di scoppiare a ridere e mentre mia madre si stava voltando attirata dal movimento, la signora andò via contrariata. Le raccontai velocemente cos’era accaduto e finimmo a ridere di nuovo.
In seguito a questi due episodi iniziammo a rassegnarci. Già parlai della volta in cui una mia amica ed io fummo scambiate per polacche da un signore anziano in un pullman. Addirittura mia madre mi racconta che quando incontra donne dell’est nei mezzi pubblici nota espressioni di sollievo sui loro volti. Come se si rilassassero nel vedere una presunta conterranea.

C’è una donna dell’est che vive ormai da anni nel nostro paesino che sente un particolare feeling con mia madre. E’ una bella donna, alta, bionda, che ce la mette tutta per integrarsi e sentirsi del posto. Vorrei dirle che è una vita che ci provo io che son nata soltanto a 40 km di distanza, ma tralasciamo. In particolare quando vede mia madre, che sia al supermercato o nella sala d’aspetto del medico, diventa pure più spigliata, come se avesse vicina un’alleata. Anche se più che alleata è semplicemente aperta e di modi gentili, come con chiunque altro. Un giorno mi feci raccontare la storia di questa signora. Una storia che tutti hanno sentito almeno una volta. Quella classica. Venne in Italia da ragazza, trovò lavoro come colf in una famiglia della quale dopo anni fece proprio parte, perchè la coppia si separò e iniziò una relazione tra lei e il capofamiglia. Qui nasce uno dei giudizi più superficiali che si sentono dire in giro. Le donne dell’est sono delle rovina-famiglie. Arrivano belle, sempre in tiro e sensuali a conquistare (per rubarne i soldi, ovvio) l’uomo di turno scontento della propria relazione coniugale. Per cui vengono additate e allontanate dalle donne italiane che si sentono offese dalla loro presenza. Io non nego che ci siano anche casi del genere. Dall’altro lato però io vedo tante, tante donne italiane che non aiutano la situazione per niente.

Per non farla tragica, vorrei solo ricordare un punto del monologo di un comico, che al momento non ricordo chi è, che diceva più o meno così: “Le mogli se la prendono sempre con i mariti. Non c’è niente da fare. Quando lui torna la sera a casa dopo una giornata di duro lavoro, stanco, distrutto, che a stento trascina i piedi a terra per camminare e prova a dire -Non ce la faccio più, sono esausto, oggi il lavoro è stato pesante- lei risponde sempre -Eeeeh tu sei stanco? E che hai fatto? Sei solo andato a lavoro. La MIA giornata è stata pesante. Da stamattina ho fatto i letti, ho spazzato, fatto i panni, stirato, lavato a terra, fatto la spesa, presi i bambini a scuola, cucinato, lavato i piatti, spolverato e mo ti sto preparando pure la cena. Io nun c’à facc’ cchiù. Io ho lavorato. E mi vieni a dire pure che sei stanco. Guarda qua come sto combinata io! E la giornata ancora non è finita! E poi tu non fai mai niente in casa!-“.

Ed è così che sembriamo anche da fuori, trasandate e isteriche. Questo mi fa arrabbiare, perchè appunto ho avuto modo di capire di cosa sono capaci superficialità e ottusità. Generano incomprensione, scontentezza e pregiudizio. E una facilità spaventosa nel dare la colpa allo straniero, piuttosto che a se stessi. Come se ci fosse bisogno della bionda-fatale per far finire un matrimonio, in queste condizioni, senza considerare che basterebbe anche un’altra italiana messa un po’ meglio.

E invece no. E’ colpa della colf. E, da qualche anno, è colpa dei cinesi se l’economia italiana va a rotoli. Relazioni causa-effetto da brividi. Non è che, per dire, i cinesi trovino terreno fertile per i loro affari in un Paese dove l’economia fa schifo di suo? E nel frattempo, io continuo a vedere gente ipocrita pronta ad additare il diverso come una minaccia. Ipocrita perchè quella minaccia un istante prima le fa comodo, quello dopo ne sparla tremendamente. L’altro giorno entrai in un negozio d’abbigliamento cinese. Non mi faccio alcun problema, soprattutto da quando ho scoperto che la mia adorata felpa Ferrari ha un bel Made In China stampato sull’etichetta. Presi una graziosa maglia a stampe floreali e mi avvicinai alla cassa. C’erano due signore avanti con l’età davanti a me che tentavano in ogni modo di tirare sul prezzo di ciò che stavano acquistando. Dietro al bancone una giovane cinese con aria smarrita. Ripeteva come un disco rotto che la merce era già in saldo e non poteva fare ulteriori sconti. Quel po’ di italiano che sapeva l’aveva già esaurito da qualche minuto. Le signore continuavano ad insistere e lei non sapeva più come farglielo capire. Era imbarazzata e spaesata. Mi sentii male per lei. Chi diavolo ha il diritto di pensare anche solo per un istante che persone come lei si divertino a vivere in un Paese di cui non capiscono lingua, usi e costumi e non amerebbero mille volte di più guadagnarsi quei pochi soldi tra la propria gente? Se fosse stata un’italiana al primo NO avrebbero desistito subito. E’ italiana, magari ha figli da sfamare a casa e sta lavorando sodo. Quella lì è straniera, invece, è venuta qui solo per prendersi i nostri soldi, è giusto metterla in croce più del solito. E’ così che si ragiona. Almeno avessero un minimo di coerenza. Se disprezzi tanto, non venirci proprio. Mentre pensavo a queste cose e ad una maniera per farglielo capire senza essere troppo scortese la cinese mi notò. Capì che a causa loro stavo aspettando da un po’ e il fatto che le stessi guardando la mise in ulteriore imbarazzo. Decise allora di mettere le signore in stand-by da un lato del bancone e far pagare prima me. Fece in modo che ne guadagnassimo entrambe. Io mi sbrigavo, lei prendeva tempo e si toglieva un paio di occhi di dosso. Infatti dovetti andar via e mentre uscivo sentivo le signore finalmente capitolare.

Chissà quante volte le sarà successo. Chissà quanti sguardi accusatori la bionda deve sopportare ogni giorno. E ci sarebbe un elenco infinito da fare. Chi può giurare che un giorno non potrà trovarsi nei loro panni in un Paese sconosciuto a fare un lavoro che non gli piace con il pensiero rivolto costantemente ai propri sogni, sempre che ce ne siano ancora? Chiunque può apparire straniero agli occhi di una qualunque altra persona. Non è così difficile. E non lo sarebbe nemmeno mordersi la lingua una volta in più e dire una stronzata in meno. Perchè per una volta si potrebbe guardare negli occhi chi si ha di fronte e vederci del dolore. Un’ombra sul viso, che scappa via veloce mentre una finta espressione spavalda prende il suo posto.
Nell’esser pronti a riconoscere che anche noi siamo degli stranieri per loro che non sono nati qui, ci scommetto che ne potremmo guadagnarci tutti.

Un sorriso.

“Voglio sapere, puoi farmi capire?
Io voglio sapere di questi stranieri come me

Dimmi di più, per favore fammi capire
C’è qualcosa di familiare in questi stranieri come me…”