Ciò che va e viene dai confini del nostro mondo.

Illustrator Yaoyao Ma Van As | Illustration | ARTWOONZ | Alone art, Girly  art, Animation art

Questa è stata una giornata di suoni di pioggia, di odore di chiuso degli addobbi rimasti per un anno nelle loro scatole e di sapore di tiramisù. Mi lascio avvolgere dalle luci colorate e va bene così. Ho voglia di godermi le cose belle e sognare e come ho letto da qualche parte, di creare il mio mondo, prima di morire in quello degli altri.

Perché forse ormai ci sono arrivata a cosa mi rende diversa e cosa mi rende simile. Sto addestrando il mio baricentro a non dichiararsi sempre colpevole e a non perdere la calma. Mi risulta ancora molto difficile quando ho a che fare con un impiegato Asl o comunale. L’ultima volta che uno di loro mi ha detto che le carte della pratica X non erano quelle giuste mi sono quasi messa a piangere. In piena pandemia, chiusa in casa e nessun sito aggiornato o numero di telefono attivo non potevo sapere quali fossero le carte giuste. L’inefficienza, la negligenza e l’incompetenza mi fanno letteralmente schifo, anche se detto da me che scrivo dal divano lanciando occhiate feroci di tanto in tanto a quel pezzo di scotch rimasto penzoloni sul mobile sembra che il problema sia qualche mia mania invece che qualcosa di serio. Eppure quando la guardia giurata si è rivolta con arroganza ad un uomo che chiedeva informazioni ho provato rabbia. Se qualcuno rispondesse a quel dannato telefono non disturberebbero te, pensavo. Mi sono resa conto però che se ne fai una questione personale puoi anche implodere di dispiacere, ma non cambi le cose.

E sono le emozioni e quella spiacevolissima sensazione di frustrazione ciò che muove gli haters, i leoni da tastiera o le persone che ti amavano ad insultarti, anche in anonimo. Poco tempo fa si è accesa una questione pseudo-femminista sui social in seguito a qualcosa accaduto in tv. Un programma Rai aveva inviato in onda un tutorial rivolto alle donne su come fare la spesa in maniera sexy. Si è alzato un coro di femministe indignate e offese, tanto che il programma, uno dei pochi ancora validi secondo me, è stato chiuso. Ho letto manifestazioni di rabbia assurde e mi accorgevo che nel leggerle mi stava venendo voglia di insultare loro a mia volta. Quando ho provato a spiegare la mia opinione ad una persona amica poco ci è mancato che mi processasse. Avevo qualche problema, io, se un tutorial su come una donna possa muoversi in modo sexy non mi offendeva. Non ero indignata perché secondo me aveva problemi chi quel tutorial l’aveva preso sul serio, ma soprattutto perché finché le donne etichettano un’altra donna come oggetto allora andiamo indietro pensando di andare avanti. La vera parità si avrà quando una donna Presidente o astronauta o Rettore universitario non farà notizia perché sarà assolutamente normale. Pochi giorni dopo è andata in onda una partita della nazionale femminile di calcio, commentata da giornaliste sportive, donne. Ed questo è il femminismo vuoto e insulso che si merita la maggior parte del genere femminile e mi dispiace molto.

Insomma, credo che avrò sempre una certa difficoltà a trovarmi d’accordo con buona parte del mondo. Una volta ho sentito dire che forse non è il corpo che contiene l’anima, ma è l’anima a contenere il corpo. Se così è davvero, allora forse non siamo così tanto fragili e in pericolo di disgregarci da un momento all’altro. Siamo molto più stabili e solidi di quanto pensiamo a patto però di prenderci cura di ciò che va e viene dai confini del nostro mondo.

Fuochi d’artificio.

foto personale 01.01.2019

Certo che siamo strani.

Lo so, non è una gran affermazione con cui iniziare l’anno e nemmeno il primo post del 2019. Però, ecco, mi è venuta così. Spontanea.
Faccio un passo indietro e vi spiego.

Qualche giorno fa assistevo ad una discussione su Facebook a proposito dei fuochi d’artificio. Sono belli ma no al massimo pericolosi gli animali si spaventano non capite niente si tratta di arte,eccetera.
Qualcuno ad un certo punto ha riportato una tesi, in parte avvalorata da psicologi, in parte dal buonsenso. I fuochi d’artificio hanno colori, sfumature, scintillii praticamente unici, che durano pochi istanti, introvabili in natura, creati dalla combinazione di sostanze chimiche che la maggior parte delle persone che sta lì con il naso all’insù non conosce affatto, per non parlare dell’adrenalina causata dal botto a sorpresa, dal non sapere che colore apparirà l’istante successivo, ecco, per tutti questi motivi risultano affascinanti. Il motivo che però riunisce tutti questi e che rappresenta il fulcro della tesi è quello per cui i fuochi d’artificio piacciono così tanto perché la gente li percepisce come qualcosa che è al di fuori dal proprio controllo, specie perché solo pochi professionisti sono in grado di crearli e maneggiarli senza causare incidenti.

Fin qui nulla di strano, anzi, l’idea è davvero molto interessante e in effetti mi ci ritrovo pure. Sapete, dal balcone di casa mia, allo scoccare della mezzanotte, vedo un panorama di fuochi d’artificio vastissimo. Mi affascina, ma soprattutto mi piace perché è come se a chilometri di distanza stessi festeggiando con persone che non posso vedere e che non conosco, ma con cui condivido dei sentimenti di speranza e gioia da un lato e di paura per un futuro di cui non sappiamo nulla dall’altro. Specie per questo, personalmente ho sempre pensato che i giochi pirotecnici in qualche modo servissero ad esorcizzare il buio della notte di passaggio tra un anno e quello successivo.

E allora mi chiedo, perché lasciamo alla veloce combustione di innominabili e per noi incontrollabili composti chimici il compito di accompagnarci attraverso quei minuti di trepidazione e di piacevole ansia, mentre invece durante i giorni precedenti e successivi all’ultimo giorno dell’anno ci affanniamo sugli oroscopi, sulle liste dei buoni propositi, sulle statistiche e proiezioni fatte da chissà chi, il tutto per prevedere cosa ne sarà di noi nei mesi a venire?

Capite? E’ molto meno banale di quanto sembri. Si pensi pure al semplice tappo di spumante che ci piace far volare attraverso il salotto di casa. Può rompersi, non aprirsi in tempo e seguire le più disparate e pericolose traiettorie. Ci divertiamo nello stupirci del botto e delle curiose curvature che prenderà a causa della spinta data dai gas presenti nella bottiglia.

Insomma, nonostante Paolo Fox e nonostante tutto, l’imprevedibile condito da un pizzico di pericolo e qualche colpo di scena continuiamo a portarcelo dietro da secoli e continua a far parte delle nostre tradizioni.

Forse è un po’ come se trattassimo il futuro con la stessa moneta.
Forse perché l’imprevedibile, limitati nella nostra conoscenza a posteriori di ogni cosa che è parte dell’Universo, in fondo, ci è ormai familiare.
Forse siamo incoerenti e basta.
Forse, invece, da qualche parte nel nostro cuore, speriamo sempre e ancora in qualche forma magia.

Di indifferenze reali, con violenze sparse e intense precipitazioni di parole virtuali

indifferenza donna violenza web

L’altro giorno ho visto un video di una donna che in un treno prendeva a schiaffi e calci il suo fidanzato, mentre gli mostrava la foto di un’altra donna sullo smartphone e gli chiedeva se fosse quella la tipa con cui la tradisce. Lui le prendeva senza tentare grossi gsti di difesa e rispondeva ovviamente di no.

Sono rimasta interdetta.

Insomma, forse fa meno effetto di un uomo che picchia una donna.

Forse la ragazza non aveva tutta questa forza e i ceffoni non erano poi così dolorosi.

Tuttavia, è violenza anche questa.

Mi sono ricordata delle volte che ho visto schiaffi volare nei supermercati verso bambini irrequieti da genitori spazientiti. E nessuno mai che si sia azzardato ad intervenire. Nemmeno io.

E’ come se questo genere di cose pur avvenendo in pubblico trasporti immediatamente i soggetti in questione in una sfera totalmente personale e privata. Perché tu non sai, non devi impicciarti, così sono abituati, eccetera. 

Sicuramente, siamo giudici migliori quando ci troviamo dietro ad una tastiera.

Ieri assistevo ad un litigio in un gruppo Facebook che dovrebbe essere di aiuto ai cittadini nel segnalare e risolvere problemi della mia città. L’autore del post dava dell’ignorante a chiunque si opponesse alla sua tesi, che più a cercare di trovare una soluzione al problema, serviva semplicemente ad insultare il Sindaco per le sue mancanze. Come lui ogni giorno tanti utenti fanno allo stesso modo. Si lamentano e poi litigano con chiunque osa rispondere qualcosa di logico e razionale.

Dal momento che ne avevo lette troppe, sono intervenuta cercando di spiegare la differenza tra un gruppo di segnalazione ed uno di propaganda politica. In più ho lanciato l’idea di creare un gruppo seriamente moderato dagli amministratori in maniera da non diventare un altro monnezzaio di insulti e lamentele di cittadini frustrati. In pochi hanno risposto favorevolmente. La vice-bullo del gruppo mi si è attaccata ai sensi sbagliati di ciò che dicevo con un’ottusità triste e ridicola.

Tempo fa se la presero con il Sindaco per le cacche dei cani sparse sulle strade e nemmeno una parola verso i loro concittadini incivili. Anche li mi ci attaccai, ma servì a poco.

Intanto però mi chiedo ancora cosa avrei dovuto fare se mi fossi trovata in persona di fronte alla scena della fidanzata gelosa. Se avessero litigato a casa loro nessuno l’avrebbe mai saputo e pace. La dimensione pubblica, però, essendo appunto pubblica, ci tira davvero sempre in causa? Il limite forse sta nell’intensità della violenza e in ciò che potrebbe diventare ‘denunciabile’ perché viola in qualche modo la legge. Il che significa stare a guardare, fino ad un certo punto, per non beccarle a tua volta.

Questo insomma per dire che c’è seriamente qualcosa che non va se litighiamo con gli estranei sul web e per strada no. Se filmiamo l’accaduto e poi lo commentiamo al sicuro da dietro ad un pc.

Paure, Zucche e Riflessioni di uno Strano Halloween

Ieri mattina il terremoto mi ha svegliata. Nonostante io abiti molto lontano dai paesi che si trovano intorno all’epicentro sono saltata giù dal letto e ho acceso il televisore in preda all’ansia di sapere da dove arrivasse la scossa e cosa stesse accadendo lì. Ogni tanto mi gira ancora la testa e dico tra me e me figuriamoci le persone di lì.

 In qualche strano modo il nostro corpo registra le paure, come per tenerti pronto a reagire nel caso dovesse succedere ancora quella cosa che ti ha spaventato tanto. Me ne sono capitate di diversi tipi in questi anni e alle volte quelle sensazioni tornano tutte insieme e ci resto incastrata dentro, incapace di liberarmi. Si dice che la paura -e non l’odio, come di norma si pensa- sia il contrario dell’amore. Dove c’è paura non c’è amore e questo spiega quella sensazione di gelo nella testa.

Oggi è Halloween.

Halloween non è altro che la vigilia di Ognissanti e del due Novembre. E’ il momento dell’anno in cui si saluta l’estate, le foglie si addormentano sull’asfalto bagnato dalla pioggia, iniziano le giornate più corte e fredde, ci si interroga sulla morte, qualsiasi cosa essa sia e sul buio. Si esorcizza la paura usando dei simboli, come quelle candele finte che facciamo accendere sulle tombe dei nostri cari, i fiori che appassiranno in fretta. Ci si riscalda le mani con le noccioline e le castagne calde all’uscita dei cimiteri. Si compra il torrone e altri dolci tradizionali di questo periodo. Si preparano caramelle da regalare ai bimbi che bussano alle porte, si accende qualche candela anche in casa. Ci si riscalda l’anima un po’ come si può.

Questo è Halloween. O Samhain. O Ricorrenze dei Morti.

Sono i giorni in cui ci si ricorda che con la luce si può cacciar via qualche ombra dal cuore.

Luce che è amore.

Amore che è il contrario della paura.

Avevo pensato di scrivere questo post con tutt’altro mood. Questa mattina ero sulla mia pagina Facebook ad iniziare a condividere quel mood quando mi sono resa conto che senza pagare una qualche inserzione nessuno mai si sarebbe accorto della sua esistenza e m’è presa una certa tristezza. Cercare di sopravvivere su Facebook con il solo spirito di condivisione è come partire per una guerra con in borsa soltanto un libro di poesie. T’ammazzano. Allora sono tornata qua. Ho iniziato a scrivere. ‘Che uno deve anche chiedersi per quale motivo fa le cose.

A me piace raccontare. Condividere. Conoscere le storie delle persone. Filtrare la realtà con l’immaginazione. Io sono fatta per stare sui blog. Per bisbigliare deliri, esultare per quella goccia di pioggia scesa giù dal finestrino prima di tutte le altre, per coccolarmi in un treno con le idee che, magari, poi diventano articoli.

Ne ho scritto uno riguardo Halloween e una delle sue tradizioni più antiche e affascinanti, quella di ricordare la leggenda di Jack O’ Lantern, intagliando zucche da illuminare al calar del sole, per il GuestPost di Ottobre su Principesse Colorate che vi invito a leggere.

Quest’anno la mia zucca non è ancora pronta ma più o meno avrà questo aspetto qui.

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Paura, eh?

MyBestDamnThings Alla Scoperta Di Facebook

girandola+viaggio+sostenibile+camminare+scrivere+mondo+terra+pulita

Non avevo mai avuto una pagina su facebook e l’idea diciamo mi incuriosiva e, quand’è così, non posso far altro che assecondarmi. Allora qualche giorno fa mi sono decisa ad aprirne una relativa a questo blog. Per di più sentivo l’esigenza di rompere un po’ il guscio di WordPress e creare un collegamento tra questo blog, quello che scrivo e “l’esterno”, anche se da ciò non ho aspettative, non so se e a cosa potrà servire, se sarà un qualcosa che sentirò troppo estraneo alla mia idea di blog o sarà utile. Tuttalpiù, ecco, potrà star lì senza fare alcuna differenza.

Poi, giusto perché il tempismo si diverte proprio a prendermi in giro ormai, ieri mattina ho scoperto quest’articolo: “L’esperimento di Facebook. Ecco cosa accade se metti mi piace a tutto.” e devo dire mi ha aperto gli occhi su alcuni dei peggiori difetti di questo social network, proprio adesso che mi ero buttata in una nuova avventura che lo riguardava.

Per chi si annoia a leggere l’articolo, in pratica l’esperimento consisteva nel mettere ‘mi piace’ a tutti i post che apparivano in bacheca e a quelli automaticamente suggeriti, indistintamente dal loro contenuto piacevole o meno (a meno che non si trattasse di una vera mancanza di buongusto) per capire come il meccanismo che suggerisce pagine e link avrebbe reagito. Il risultato, collegandosi da cellulare,  è stato veder sparire del tutto i post dei propri amici trovandosi la bacheca piena solo e soltanto di pubblicità, mostrando solo quei link in grado di generare profitto. Al diavolo tutto il resto.

L’altra cosa che è stata notata e che mi ha colpita ancora di più è che questo meccanismo fa si che le persone si chiudano in “bolle” all’interno delle quali tutto gli è congeniale. Certo non serviva una ricerca a capirlo, diciamo che ci avevamo fatto caso già un po’ tutti. La stessa cosa quando si acquista un prodotto su Amazon: per aumentare i profitti il sito suggerisce prodotti simili. Quando si fa una ricerca su Google dopo un po’ appare quella cosa cercata ovunque. Questo, per quanto possa risultare utile, alla lunga diventa una specie di prigione. Come dice l’articolo, si finisce per “barricarsi nelle proprie convinzioni” giacché non si viene più in contatto con qualcosa di diverso da quel che abbiamo già cercato o apprezzato o acquistato.

Allora mi sono chiesta se in un social che, ovviamente, solo in apparenza sembra voler favorire i contatti umani facendo si che si possa condividere ogni momento della propria vita senza più perdersi di vista, mentre in realtà funziona attraverso un meccanismo di profitti nel quale il valore scambiato dalle varie parti siamo noi utenti, davvero non finisca per scoraggiare la curiosità per il diverso, per l’estraneo, per ciò che non appartiene alla nostra “bolla”.

Questa cosa mi ha lasciata perplessa anche a proposito del battesimo della mia pagina facebook. Mi sono chiesta se è questo che voglio creare, se un po’ avrò a che fare con questi meccanismi che servono ad accrescere il “ranking” di un prodotto, un servizio e, sembra, sempre meno riescono a connettere le persone e i loro interessi.

Ci ho riflettuto un po’ su… L’unica cosa che so per certo è che prima o poi nelle bolle l’aria finisce e il bisogno di guardarsi intorno alla ricerca di altro, di qualcosa di nuovo e interessante nasce per forza. Inoltre credo nell’enorme potere della curiosità. Credo che al di là di tutto sia quella che deve spingerci oltre i nostri limiti e confini, oltre le nostre convinzioni e barriere. La capacità di mantenerci critici e curiosi deve essere coltivata e nessun social deve finire per plasmarci e definire il nostro campo d’azione, al fine poi di ricordarci semplicemente quali sono i biscotti con cui adoriamo far colazione al mattino. Inoltre diventare elastici e aperti nei confronti del diverso e dell’inaspettato penso sia ormai quasi d’obbligo visto quel che ci succede intorno.

Vi invito a dare un’occhiata alla mia pagina, che magari vi trovate ancora in tempo per l’aperitivo di benvenuto 😀 Spero diventi un valido supporto al blog, senza troppe pretese, insieme al solito spirito con cui mi son sempre trovata a condividere e confrontarmi con chiunque in questi anni si è trovato a passare di qua 😉

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Gli Aggiornamenti Del Garante: WordPress, Pensaci Tu

In questi ultimi giorni ho continuato a fare ricerche e a leggere aggiornamenti riguardo la Cookie Law e come promesso condivido con voi le ultime novità, sempre con l’intento che più ci informiamo e ci diamo una mano tra bloggers, prima ne veniamo a capo e ci tranquillizziamo tutti.

Questa volta gli aggiornamenti e i chiarimenti provengono dal Garante. Riporto il link dell’intervista fatta da Wired in cui viene specificato che saranno tenuti d’occhio i siti che si occupano di commercio online e che usano la pubblicità “personalizzata” in base all’utente che sta visitando il sito. Il vero problema, i cookies assolutamente fuorilegge infatti sono quelli di profilazione.

Il punto dell’intervista poco chiaro e che ci riguarda tuttavia è questo:

A questo punto sorge la domanda: come facciamo a sapere se abbiamo cookie di profilazione? Il dubbio può venire se abbiamo attivato widget social, per la condivisione degli articoli. “Se sono semplici link di rimando ai siti social, nessun problema. Non ci sono cookie di profilazione. Sta poi al gestore del sito sapere se invece i widget mandano cookie di profilazione all’utente”.

Allora da quel che si legge dal sito del Garante, sappiamo che:

Può accadere anche che una pagina web contenga cookie provenienti da altri siti e contenuti in vari elementi ospitati sulla pagina stessa, come ad esempio banner pubblicitari, immagini, video, ecc.. Parliamo, in questi casi, dei cosiddetti cookie terze parti, che di solito sono utilizzati a fini di profilazione.

Quindi se nei nostri blog abbiamo pulsanti di condivisione, video, qualunque cosa che rimandi a siti esterni e non sono semplici link (come quelli che ho messo per gli articoli prima) viene allora utilizzato questo tipo di cookies ai quali, secondo la legge, l’utente deve acconsentire prima di continuare la navigazione nel sito. Ci troviamo così punto e a capo, sappiamo ormai bene che WordPress.com non ci consente di mettere codici che consentono di programmare i bottoni del banner in base alla scelta dell’utente.

Per quanto riguarda i cookies di terze parti la soluzione già c’è per noi ed è quella di indicare nell’informativa che il blog usa cookies di terze parti dicendo da quali siti provengono (ad esempio io ho indicato solo Youtube visto che inserisco solo video da lì) e mettendo il link alla privacy policy di quel sito.

L’aggiornamento delle linee guida da parte del Garante di ieri credo possa tranquillizzarci ancora di più in merito, indicando che a noi utilizzatori di piattaforme pre-configurate, deve essere fornito lo strumento adatto per gestire i cookies e i widgets in maniera da mettersi in riga con le disposizioni legislative. Vi riporto il punto 3 dell’aggiornamento e il link al testo completo:

3. Uso di piattaforme che installano cookie

In alcune richieste è stato evidenziato il fatto che è difficile apportare le modifiche necessarie a dare attuazione alla normativa in materia di cookie alle piattaforme da molti utilizzate per la realizzazione di siti web e contenenti già al loro interno strumenti, talora pre-configurati, per la gestione dei cookie o dei widgets.

Al riguardo, la consapevolezza dei vincoli tecnologici esistenti ha portato il Garante a indicare il termine di dodici mesi per attuare le indicazioni contenute nel provvedimento dell’8 maggio 2014 onde consentire una compiuta attuazione degli obblighi normativi. Si ritiene che tale obiettivo, in considerazione della vasta platea di utilizzatori e sviluppatori di piattaforme (molte delle quali open source), possa essere raggiunto mediante l’applicazione di strumenti di c.d. privacy-by-design realizzati sulla piattaforme medesime e messi a disposizione degli utilizzatori e gestori di siti.

Tali interventi dovranno essere volti a permettere il più ampio margine possibile di azione da parte degli utilizzatori sull’installazione dei cookie, consentendo loro di inibire l’installazione di quelli a loro non necessari, e in ogni caso dovranno prevedere opzioni di default che subordinino l’installazione dei cookie non tecnici alla manifestazione del consenso preventivo nelle forme semplificate previste dal Provvedimento.

 Quindi, ancora una volta, non possiamo farci proprio niente noi, se non WordPress stesso. Leggendo anche il forum di supporto della piattaforma ho capito che ci stanno lavorando, ma non è una cosa tanto facile sia per il lavoro da fare in sé che per diverse controversie legislative di livello internazionale che ne stanno uscendo fuori.

Staremo ancora a vedere …

Chi Sei, Charlie?

L’altro giorno ho visto una vignetta, c’era un Maometto visibilmente preoccupato seduto sul lettino dello psicologo che si chiedeva com’è che gli altri profeti hanno followers con più senso dell’umorismo e lui no.

La cosa che preoccupa me, invece, è l’enorme confusione che regna tra tutti noi che siamo stati spettatori di quel che è successo. Da chi ha sentito gli spari fino a tutti quelli che come me hanno appreso il fatto ad esempio alla radio, tra una canzone e l’altra, tornando a casa a fine giornata. Tutti d’accordo sul non si uccide, specie chi è disarmato. Poi però le opinioni viaggiano su sensazioni diverse.

C’è che così, d’istinto, in tanti si sentono Charlie, come se di fondo fosse stata ucciso il potere, anche potenziale, di ognuno a dire ciò che vuole su chiunque. Da qui c’è il comunque non lo farei oppure satira si, ma non si offende. 

Chi stabilisce se una cosa è offensiva o meno? Chi decide se chi si offende lo fa a ragione o a torto?

Poi, guardando bene, in controluce, c’è pure il voglio sia la libertà di esprimermi che quella di offendermi. Sarebbe lo stesso dire che una religione è più rispettabile di un’altra. Siamo proprio sicuri che se ad esser preso di mira fosse il cattolicesimo, la Curia non avrebbe proprio, ma proprio niente niente da ridire?

C’è chi pensa che il problema sia il terrorismo e non la religione perché non tutti gli islamici sono criminali, altri per cui si, non sono tutti criminali ma alcuni sono integralisti e quindi è pure peggio. E’ vero che tutti i terroristi sono estremisti o che tutti gli estremisti pur non essendo terroristi cercano in un modo o nell’altro di imporre la propria cultura emarginando gli occidentali, alla faccia dell’integrazione?

Qualche voce d’altro canto afferma io non sono Charlie, che c’ho il mutuo da pagare, guardiamoci bene in faccia per favore. Sul web, sotto al viso di un poliziotto ucciso compare la frase si però io sono morto per difendere la libertà d’espressione di chi prendeva in giro la mia stessa religione. Poi magari da chissà quale aldilà starà imprecando perché quello gli è toccato e basta, che aveva mutuo e famiglia pure lui.

Una cosa soltanto ho capito, ed è che questi attentati hanno spogliato miriadi di false convinzioni e tutti nudi, adesso, si corre qua e là per provare a ripararsi dietro le poche spiegazioni rimaste in piedi, dopo uno scossone del genere. E’ questo che mi par di vedere. Confusione pazzesca. Quel senso di smarrimento e disillusione nei confronti di politica, religione e società occidentali che ha portato alcuni in Europa ad arruolarsi tra le fila di guerre sante. A me tutto questo fa spavento.

M’è preso quasi da piangere guardando tutte quelle matite alzate al cielo, ma se sono o no Charlie sinceramente non lo so. E non so nemmeno se sono una follower con più senso dell’umorismo d’altri, che alla fine il livello di fastidio lo percepiamo tutti ad altezze diverse. Diverse come le emozioni che questa storia ha suscitato in ognuno, come le religioni, come le convinzioni, come le culture, come i confini tra libertà e rispetto…

Davvero, ma come si trova un metro di giudizio unico in tanta diversità?

Vorrei riprendere dall’inizio tutto, e capire sul serio Charlie chi è.

Tu Sei La Regola, Si, Ma Anche L’Eccezione (?!)

Diciamo che nel bel mezzo di deliri pre-esame ogni tanto vengono fuori questioni anche abbastanza interessanti.

C’è un certo spiegamento di forze ormai, lo sanno tutti, a favore del sii te stesso, su questo pianeta sei unico, irripetibile, originale e fantastico, non sprecare la tua vita. E soprattutto, non omologarti alla massa. Stanno lì a ricordartelo abbastanza spesso i vari esperti d’aforismi su facebook, Violetta, le locandine della Marina, Carla su Real Time e quasi tutte le serie di telefilm sparse sugli altri canali, oltre al Papa, la tua cantante preferita, il libro che ami di più, interi reparti di saggistica sul tema nelle librerie e la tua coscienza.

Poi, allo stesso tempo, nel medesimo preciso istante, devi anche ricordare con una certa convinzione e consapevolezza che mai e poi mai rappresenti un’eccezione in questo mondo o almeno in quello conosciuto (da te). Non devi sperarci, non devi porti domande che inizino con e se fosse che… e robe simili. Sei la regola. La regola non si fa troppe domande, la regola è regola e basta. Se poi sei anche l’eccezione che conferma la regola, allora sei fregato, devi metterti a cercare una strada solo tua che non sia né l’eccezione, né la regola e neanche un altro paradosso ancora.

*… Patrizia …*

Quando parecchi post fa scrissi che una volta realizzato un sogno ci si sente come fermi in un posto da cui si può guardare alle proprie spalle e allo stesso tempo dare una sbirciata in avanti e parlavo di una nuova rotta da tracciare, non credevo sarebbe stato poi così difficile perfino il reperire carta e penna e idee e voglia. Pensavo sarebbe stato tutto più naturale, più automatico, più semplice. Invece mi sento come se fossi bloccata in un porto e ogni volta che provo ad uscir fuori c’è una tempesta terribile e per evitare di distruggere la barca e finire in mare, da sola, perché intanto la ciurma ha fatto ammutinamento, pure, resto all’interno, ad aspettare che esca il sole.
Senza contare che lì, nel porto, mentre aspetto con la faccia imbronciata, non con le braccia conserte perché morirei di noia, ma facendo tutto fuorché ciò che vorrei davvero, non riesco più a capire chi mi sta intorno. Sembra abbiano iniziato tutti a parlare arabo. E io mi son persa pure il traduttore. Vedo solo un andirivieni di persone, organizzate in gruppi o da sole. Vedo passare qualcuno dei miei marinai che fa comunella con altri che non conosco. Li guardo e mi sento un’estranea. E mi sono scocciata anche di corrergli dietro cercando di afferrare una o due parole che magari traduco male. Da quel poco che capisco, però, sembra che tutti conoscano verità ed etichette alle quali credono ciecamente o fanno soltanto finta di crederci. Bisogna pur credere in qualcosa. Qualcuno ha dei progetti che per quanto prevedano percorsi talmente contorti che mi viene mal di testa soltanto ad ascoltar loro parlarne, gli permettono di sorridere almeno un attimo prima di addormentarsi la sera a letto. Penso che saranno anche fatti suoi, ma dovrebbe smetterla di andare in giro guardando gli altri come se avesse trovato la ricetta della felicità cazzi tuoi se fai diversamente perché poi a me non sembra che per il resto della giornata la sua faccia sia migliore della mia. Certe volte mentre riparo assi di legno o faccio l’inventario delle provviste rimaste qualcuno viene a dirmi che non importa quando sia terribile la tempesta, l’importante è buttarsi. Che non fa niente se dopo mezzo metro un’onda ti sommerge o una potente folata di vento ti spezza l’albero maestro. L’importante è che ci hai provato.
Per me non farebbe una piega se non fosse che la scelta dell’opzione buttiamoci-tanto-possiamo-sempre-tornarcene-a-nuoto sia condizionata non tanto dalla propria volontà ma dagli sguardi di chi ti sta intorno che si sta chiedendo che cazzo stai aspettando mentre non si rendono conto di esser ciechi nei confronti della tua tempesta quanto tu lo sei nei confronti della loro. E sono stufa di chi sorride per far si che gli si sorrida di rimando ma solo alla presenza di terzi che lo notino. Il mio sorriso si è incastrato tra un treno della vita e un ballo della felicità trovati su whatsapp l’altro giorno e la sera dopo ho fatto fatica a tenere a bada il mio cuore che saltellava allegro per un paio di ritornelli ascoltati mentre la tv era distrattamente accesa sul festival di Sanremo, proprio mentre notavo che il pronunciare critiche nei suoi confronti è diventato un sport nazionale quanto lo è il lancio delle frecciatine al di fuori di un campionato di tiro con l’arco. Notavo che non me ne fregava niente perché ogni critica non fa che auto-ingigantirsi come quei cereali che mangiano i pezzi di cioccolata che gli corrono intorno solo per far più paura alle altre.

Mi sono chiesta allora che ci faccio tra persone che non riesco più a comprendere. Qual è il mio posto tra tutti questi riferimenti che non mi arricchiscono più, che non trovo più positivi, che non mi spingono ad essere migliore. Che non mi ispirano a tracciare la mia rotta. So che non è nemmeno saggio fuggire da ciò che non piace sentire, ma allo stesso tempo bisogna saper prendere provvedimenti se in qualche modo finisce per ucciderti dentro. Allora avevo pensato di andare via. Anche solo di uscire dal porto e mantenermi non troppo distante dalla costa, solo in direzione di un porto nuovo, dove si respira meglio. Non verso il mare aperto, che mi aspetta si, ma sono certa che di me non se ne farebbe niente se non fossi almeno un po’ entusiasta di avventurarmici. E pensavo che dovrei lasciare la mia barca per prenderne una più piccola con la quale spostarmi più agevolmente.

Poi ho pensato che quella barca è la mia vita. Che abbiamo condiviso tanto insieme, abbiamo fatto mille percorsi e ci sono cresciuta. Contiene tutto ciò che di più bello e brutto e stupido ed emozionante ho incontrato negli ultimi anni. E supererà anche questa. Magari le cambio un po’ look, chissà. Che si fottano tutti. Andremo insieme verso nuovi porti, verso il mare, verso chi conta davvero. Di sicurezze non ne ho nemmeno io, ma credo che il posto giusto lo si trova restando almeno coerenti con se stessi.

E io vorrei solo essere così come mi piace essere, niente di più.