Gioco – La Musica Del (Più o Meno) Buonumore

Grazie ad Erik che mi ha nominata per questo tag musicale ideato da Gloria (ghbmemories.wordpress.com), a cui ho deciso di partecipare perché in effetti mi sono resa conto che non ho mai parlato di musica così in generale ed è solo in questi giorni che mi ci sto riavvicinando, dopo un lungo periodo durante il quale avevo abbandonato le cuffiette del mio mp3.

Dunque, il gioco consiste nello scegliere 5 brani che rappresentino emozioni e stati d’animo positivi e spiegare le motivazioni di tali scelte.

Facendo un po’ mente locale ho notato che tutto ciò che so sulla musica è legato non solo ad emozioni e periodi della mia vita, ma anche a delle persone. Sono pochi gli artisti e i brani che ho conosciuto da sola, la maggior parte li ho scoperti grazie ad altri, che poi di solito sono (e sono state) persone importanti per me. Spesso mi è capitato anche di non ascoltare più un genere o un brano perché si erano allontanate da me e poi nel tempo li ho fatti miei di nuovo, lasciando andare il resto. Così impegnandomi a far pace con il mondo ultimamente mi sono riconciliata finalmente anche con la mia musica preferita. Ecco i cinque brani che ho selezionato…

1.  Save Tonight – Eagle Eye Cherry

Di questa canzone sono innamorata, qualunque motivo riesco a trovare per spiegarne il perché è sempre riduttivo. In particolare amo il video, in cui pian piano si scopre che è il cantante stesso l’attore di ogni personaggio il che mi ha sempre fatto pensare alla legge dell’attrazione e al modo in cui gli eventi si incatenano tra loro per far si che ci troviamo sempre esattamente dove dobbiamo essere. L’ho conosciuta, così come la maggior parte delle canzoni che conosco, grazie a mio fratello e mi ricorda i tempi in cui guardavamo MTV insieme mentre facevamo i compiti per il liceo e lui già ne sapeva molto più di me riguardo la storia del rock. Ancora non mi sono messa in pari.

2. The Best Damn Thing – Avril Lavigne

Avril è una delle poche cantanti che ho scoperto da sola e ci sono praticamente cresciuta insieme, fin da quando avevo undici o dodici anni. Ogni sua canzone è importante per me e visto che non sapevo quale scegliere, ho pensato di riportare qui quella che ha ispirato il nome di questo blog 🙂

3. Love Song – Sara Bareilles

Ho riportato questa canzone qui perché è la sua più famosa e una delle mie preferite. Ho conosciuto Sara Bareilles grazie al mio amico Zeph che si è pentito ormai di avermi passato i link con le sue canzoni giacché non smetto ancora di ringraziarlo, ma lei è davvero fantastica e tante altre sue canzoni mi hanno aiutata a superare momenti difficili…

4. Because the Night – Patti Smith, Bruce Springsteen, U2

Signori, alla quarta canzone il gioco si è fatto duro per me. Nel senso che non so davvero più scegliere. Ce ne sarebbero tante, da quelle che ascolto quando sono triste, ad altre che mi ricordano momenti vari… Poi ho pensato che ci volesse qualcosa di classico e di .. forte. Una di quelle che fanno scoppiare le vene. Because the Night è una delle mie canzoni preferite da sempre, ma non mi decido mai su quale versione cantata da chi. Allora ho trovato questa in cui ci sono i due suoi più grandi interpreti e gli U2. Beh, meglio di così! Da brividi.

5. Poison Love – Claseria

Questa l’ho scelta perché è l’ultimissima scoperta che ho fatto e la adoro. E’ la colonna sonora della scena finale del film La Teoria del Tutto, basato sulla storia dell’astrofisico Stephen Hawking. Al cinema ho dovuto mettercela tutta per non finire rovinosamente in lacrime, tanto che mi emozionai… Bellissimo film e melodia stupenda. Anche il video è interessante, una ragazza si innamora di colui che rappresenta la Morte, ma ricambiata scopre che ovviamente qualunque cosa lui tocca muore o invecchia in fretta per cui non possono amarsi. Lei pensa che l’unico modo per stare insieme è lasciarsi morire. Lui nel frattempo decide di lasciare a qualcun altro il proprio ruolo pur di raggiungerla, ma il finale della storia è lasciato all’immaginazione…

Le regole prevedono adesso che nomini altri 5 blog per far proseguire il gioco. Sono curiosa di leggervi, se vi va 🙂

pantufl90.wordpress.com

http://iansaiin.com/

https://tuttoilmondoateatro.wordpress.com/

https://venereisterica.wordpress.com/

https://dovebatteilcuore.wordpress.com/

ComeDiari#1 In Disordine

Io provo a mettermici dentro, ma mi cascano da tutti i lati. Le tue paure mi stanno grandi. Le mie, invece, ti starebbero così piccole, nemmeno le vedi e per non dovermele poi rappezzare non te le ho mai fatte notare.
Mentre mi insegnavi a dare nomi alle nuvole non mi hai mai una volta detto come si fa a proteggersi dalla pioggia. Adesso so chiamare i tramonti con i loro colori e per le lacrime occorre che ne inventi di nuovi. Abbiamo dipinto il mondo e rincorso ogni curiosità, ti ho dimostrato di saperle afferrare pure. Tu ti sei fermato, non a caso esiste un’età in cui si diventa luce attorno la quale son loro a raccogliersi per guidare, magari lì dove neanche la mente sa come andare. Io invece corro ancora, inseguo ogni direzione e poi oltre, ad ogni bivio, salita, mentre quasi non mi osservi più, come se questo davvero avesse il potere di fermare il tempo.
La sua linea, come me, non si arresta. Ci divide. In qualche punto si dirama creando grovigli così fitti che solo un bravo equilibrista saprebbe seguirli, mentre tutti gli altri cascano qua e là provandoci e chiedendosi com’è che si diventa adulti migliori. Non è più giusto comprendere del ribellarsi e se un modo c’è per arginare l’egoismo, sono certa si tratti solo del cercar di non fare del male a nessuno.
Smetterei di metterti in disordine le paure se mi lasciassi raccontare cosa mi sono inventata, per colorare anche te.

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Giuro Solennemente Di Non Avere Buone Intenzioni

A me la storia che in WordPress ci lavorino i folletti all’inizio non è che mi aveva convinta tanto, poi mi sono ricordata che il mio nick non è altro che il nome di una fata e diciamo ci ho ripensato su. Anzi, mi sono sentita quasi in famiglia. Ah proposito di famiglia, sempre WordPress dice che i due post più letti quest’anno sono stati quelli scritti l’anno scorso. No, no, lo so, non è normale, per niente. Ohana, che parla appunto di famiglia e Una Cosa Bella E’ Una Gioia Per Sempre che parla d’amore. E giusto poi per mettere il dito nella piaga suggerisce di scrivere di più su questi argomenti, hai visto mai che alla fine del 2015 i folletti troveranno che i post più letti sono quelli scritti proprio nel 2015. Divertente cari folletti, davvero divertente, ha-ha.

Famiglia e amore. Che poi non credo conti tanto ciò che scrivo io quanto ciò che cerca chi ha voglia di leggere. O chi va su google per soddisfare qualche curiosità su Keats. In ogni caso il suggerimento me lo tengo, anche perché sono temi in cui finisco spesso. Quest’anno poi si può dire ci sia più che altro inciampata, caduta e rotolata su, forse affinché capissi che ho la testa più dura di quanto pensavo, ma anche per imparare a rompermi, credo. Si perché avete presente i crash test delle auto? Si è dimostrato che più è rigida la carrozzeria, più chi è all’interno rischia di farsi male davvero. Se invece riesce ad assorbire gli urti deformandosi, distruggendosi, entro un certo limite ovvio, allora è più sicura. Forse siamo fatti anche noi così. E’ sempre una questione di equilibrio. Devi cascare per rialzarti, circondarti di buio prima di far caso anche alla luce. Il restare in bilico, il grigio non è fatto per chi ha voglia di comprendere e di vivere e soprattutto tracciare la propria personalissima strada. Non ricalcare quella di qualcun’altro, non scopiazzarla dai discorsi sentiti in metro. La propria e basta.
E così se penso alla parola famiglia adesso associo quella cambiamenti. Quelli nelle persone. Cambierà anche la casa, la città. Si aggiungerà ancora qualcuno, si sentiranno un po’ più lontani altri. Io dovrò trovare il mio spazio vitale in tutto questo. E’ una sfida che mi guarda dritta negli occhi e il mio viso non nasconde un po’ di timore non appena distolgo lo sguardo. E’ normale forse. Sono certa almeno del fatto che per star bene con gli altri devo star bene con me stessa prima.
Riguardo l’amore mi viene in mente silenzio. Credo si sia messo buono buono in un angolo, al caldo, che sta perfino nevicando qui, che se nevica qui è davvero un fatto straordinario credetemi, ha finito le parole ed è pure abbastanza confuso. Ogni tanto abbraccia un cuscino e si perde a pensare. Vorrebbe trovare la propria briciola di mondo da cui brillare liberamente e nel frattempo si accontenta delle luci natalizie. Desidera specchiarsi di nuovo negli occhi che hanno saputo guardarlo davvero o anche soltanto farsi saggio, come piacerebbe ad Hesse.

Di liste e propositi per i nuovi anni non ne ho mai fatti. Al massimo mi dico quali sono gli obiettivi da raggiungere volta per volta. Siccome l’anno scorso è cominciato male come non mai e qualche obiettivo è rimasto in coda nonostante le buone prospettive, quest’ultimo giorno di dicembre ho deciso di cambiare strategia per il nuovo anno e rifacendomi al motto che serviva nel terzo libro di Harry Potter per svelare la Mappa del Malandrino che serviva a cavarsela in circostanze spinose,  giuro solennemente di non avere buone intenzioni.  

Ecco.

Che poi è un po’ come augurarsi di avere coraggio e spirito di intraprendenza, voglia di fare e di rischiare.

Grazie bloggers che ancora mi sopportate (si, sempre i folletti me l’hanno riferito) e auguri affinché possiate avere il coraggio che vi occorre per essere semplicemente e straordinariamente voi stessi.

Ps: numeri a parte cari folletti vorrei sapere perché in tutti i blog nevica e nel mio fanno vere e proprie bufere. Bah.

Vieni In Libreria Con Me

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Appena entrata mi sono fermata, giusto un attimo prima di decidere da che parte andare. Soltanto quando sono arrivata più o meno al centro della libreria, tra tutti gli scaffali, mi sono accorta che i miei due compagni-di-passeggiata-approfittiamo-del-coupon-sconto erano spariti. Mio padre, alla mia sinistra, era già immerso nel reparto Gialli, mia madre invece era partita dritta verso Filosofia Orientale. Entrambi già presi, concentrati. Io ho cercato Bach, tanto per cambiare. Ormai è una specie di rito, una visita di cortesia al pezzo di mensola che reca il suo cognome. Puntualmente non trovo quei due-tre libri che non ho e prima o poi mi deciderò ad ordinare su internet direttamente, ma ci vado lo stesso.
Di solito non entro mai in una libreria senza avere già in mente un titolo, un libro che desidero in particolare. Finisco per perdermi. Spesso invece mi capita di cercarne una per il gusto di passeggiare tra gli scaffali, prendere qualche opera che attira la mia attenzione, leggere trame, lasciarle gironzolare nella testa. Il profumo della carta fa tepore in inverno, ma ti abbraccia dentro comunque, in qualsiasi altro momento.
Un piccolo punto di partenza l’avevo però, iniziare da uno degli ultimi autori che ho letto. Non proprio l’ultimo perché di solito non riesco a leggere due libri dello stesso autore uno dietro l’altro. E’ come se rischiassero di mischiarsi, contaminarsi. La lettura di un libro non termina mai con l’ultima pagina. Per qualche giorno ancora la storia vive nelle immagini di luoghi, nelle sensazioni provate. Ogni viaggio quando finisce pretende ancora un po’ di tempo per sé, prima di lasciarti tornare a casa.
Ho raggiunto Dostoevskij. Alla mia sinistra mio padre era già sparito, alla mia destra il Dalai Lama mi guardava di traverso. Dimmi in quale reparto della libreria ti piazzi e ti dirò chi sei. Invece di concentrarmi sulla mia ricerca, guardavo le altre persone, su quali scaffali indugiavano, quali libri sfogliavano. Come se il posto in cui si cercano risposte dicesse tutto di sé. Aleggia una strana sensazione di rispetto, cortesia, ognuno preso a specchiarsi in qualche copertina e attento a non disturbare la ricerca di altri. Ho cercato di nuovo con lo sguardo i miei compagni di serata, si erano già ritrovati. Non sono sicura di quale sia stata la reazione di Osho alla vista di Simenon, ma poco dopo s’è posto Il Giocatore in mezzo, a separarli. Che avrebbero potuto avere qualcosa da ridire sul finire insieme sullo stesso scaffale dopo una vita intera trascorsa ad osservare due mondi completamente diversi, ai lati opposti di una grande libreria.

 

What If You Fly … ?

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Ho provato a capire, e ho capito solo che avrei dovuto ancora sopportare. Ho provato a parlare, ma le mie parole si sono rese conto di andare incontro ad altre che credevano già di sapere, invece che ascoltare. Dicesi giudicare. Ho provato a difendermi e la tempesta allora ha alzato di più la voce e ho chiuso di nuovo gli occhi mentre mi bagnava il viso. Ho provato a scappare, ma mi avevano già vista. Figurarsi il tentativo di nascondermi come è andato. Poi ho capito che i sorrisi non possono che nascere da dentro se stessi. E che bisogna prendersene cura. Con calma, per conto proprio. Perché appunto, se proprio si tratta di scegliere allora preferisco volare.

*… Semplice, Ma Non Troppo …*

Ecco, tanto per cambiare, riflettevo. Troppe cose che non riesco a capire. Troppe domande. Nessun senso di pace interiore, energia cosmica e/o pensiero minimamente zen che mi tenga ferma in un solo posto, che plachi la confusione o la distragga con qualche gioco di prestigio. Che la tenga buona per un po’ per darmi modo di dedicarmi anche ad altro. Che mi faccia star bene abbastanza da far trascorrere almeno una giornata senza che controlli di continuo l’ora. Come se avessi paura di perdere qualche risposta che magari potrebbe passare proprio in quel minuto, a bordo di quel vento che le foglie trovano divertente, ma i miei pensieri no.

Mi sono ritrovata a parlare con dei perfetti sconosciuti dei dubbi che ho, presi a caso tra tutti quelli che aspettavano con me il passare di qualche parola risolutiva, che fosse convincente abbastanza da portare i passi verso un’altra fermata, quella successiva di solito. Si perchè ne vedo diversi a volte che invece scelgono di tornare indietro trascinati da curiosità che il passato tende sempre a nascondere tra i cassetti della cucina come una persona anziana spaventata dall’idea che nessuno vada più a trovarla nell’ansia di dover correre tutti in avanti, chissà dove. Che, nel dubbio, ‘avanti’ è giusto, fa tanto pensiero positivo. Ho provato a parlare con loro, a far domande, nella possibilità che qualche risposta l’avessero beccata già prima di me, ma invano. Hanno compreso e condiviso ciò che avevo da dire ma poi sembrava non ne sapessero più di me. Le ho salutate e sono andata avanti per conto mio ancora guardandomi intorno. Nel caso arrivasse un’indicazione qualsiasi. Mura di altre case raccontavano di ciò che è stato, ma non hanno saputo dirmi se quello fosse il posto giusto dove restare e se si, per quanto tempo. Così come vorrei sapere quanto tempo bisogna restare in una certezza prima che diventi pregiudizio.

Esistono confini nella comprensione? Cioè, arriva un punto in cui c’è da pensare ti ho compreso fin troppo adesso vorrei essere compresa io come se si trattasse di un senso unico alternato, oppure è un qualcosa che viene dallo stesso posto dal quale viene l’amore che vive dell’esser dato soltanto? Ho perso il conto delle tempeste nelle quali sono finita insieme a persone che ho qui intorno che invece di risposte cercavano in ogni modo di togliersi le responsabilità delle proprie scelte. Chiamano incomprensione ciò che io ho imparato ad identificare come vittimismo. Allora poi nel bel mezzo di una tempesta ci sono finita da sola, questa volta non in senso metaforico, il mio spavento è finito prima di lei e mi sono resa conto che ogni cosa che accade al di fuori di noi, dietro ai nostri occhi può diventare tutt’altro.

Quindi è vero che le persone possono fare delle scelte e che queste in qualche modo possono far male agli altri. E’ anche vero però che il ferirsi o meno quando arrivano troppo vicine dipende molto da se stessi. Allora se il tutto si riduce ad una dimensione così personale, così compresa nei confini della propria testa, io credo che la questione diventi com’è che io vorrei essere. E’ ovvio che qui io rifletto soltanto e non è detto che sia tutto così facile, anzi. Si reagisce d’istinto il più delle volte. So che non voglio diventare diversa da ciò che sono per colpa di altri che hanno deciso di andare avanti per la propria strada armati fino ai denti pronti a prendersela perfino con chi non potrebbe mai fargli del male, come me. E se occorre difendersi, come si può capire? E così ogni cosa va in frantumi. Le tempeste distruggono.

Intanto che aspetto risposte, immagino. Io immagino che esista una specie di equilibrio nel quale certe cose come l’amore e la comprensione trovino essenza e vita nell’esser date mentre si rinnovano per ripartire con più forza quando vengono accolte e ricevute. Niente di platonico o a senso unico. Non si pretendono, non si chiedono e meno ancora, si elemosinano. Piuttosto, se tutto ciò nasce spontaneamente allora le persone intorno a sé sono quelle giuste, per una chiacchierata sotto ad una pensilina o perfino, magari, per viaggiare un po’ insieme. E cavolo, quanto ho da imparare ancora.

*… 300 km/h …*

Si voltò e vide il proprio riflesso nel vetro del finestrino. Le piacquero i propri capelli poggiati in quel modo sulla spalla destra. L’intento in realtà era quello di guardare fuori. Il display lì di fronte continuava a vantarsi di quel numero così grande e lei voleva a tutti i costi capire. Voleva capire quel numero. Voleva rendersi conto di quanti fossero davvero 300 km/h. Possibile mai che stesse andando forte quanto una Ferrari e tutto ciò che riusciva a percepire fosse un dolce e sicuro dondolio? Sapeva, si, di tutti i motivi per cui non poteva che essere così, ma cavolo non potevano aver creato un sistema così perfettamente ovattato che oltre che dai sobbalzi, da spiacevoli conseguenze del moto inerziale e dal possibile perforamento dei timpani, tenesse al sicuro anche dal provare un qualche brivido. Perciò iniziò a concentrarsi su qualunque cosa fosse anche leggermente illuminata per cercar di fissare nella mente quanto poco tempo poteva passare tra il vederne una e l’altra successiva. Almeno.

Una cosa però l’aveva capita. 300 km/h erano abbastanza per lasciarsi indietro qualsiasi pensiero troppo pesante da riuscire a correre veloce così. Peccato che ne accorse soltanto quando li vide tutti lì sulla banchina organizzati in un comitato di bentornata a casa, anche se ebbe il sospetto, per un momento, che se solo il suo soggiorno fuori città fosse durato un po’ in più quelli di certo avrebbero trovato un modo per partire e raggiungerla. Pesanti proprio in tutti i sensi. La maggior parte erano domande. E poi dubbi, paure. Ovunque si girasse vedeva cose che stavano cambiando per non tornare ad essere mai più le stesse che conosceva. Quel mai lo metteva lì lei delle volte, altre spuntava fuori dal nulla, o da una lacrima. E lei? Doveva cambiare anche lei? Doveva litigare ancora o fregarsene o trovare un qualche equilibrio o essere se stessa o fare la prima cazzata che le veniva in mente o chissà cos’altro? Desiderava follemente un abbraccio, ma intorno a sé non aveva le braccia giuste. Non erano risposte ciò che cercava. Sperava solo che potesse tenerla abbastanza forte da evitare che il vento se la portasse via. Dentro di sé poi avrebbe trovato tutto il resto. A quei pensieri le batté forte il cuore.

Fece pure parecchio rumore, perché si ritrovò a riaprire gli occhi che nemmeno s’era accorta di averli chiusi. Si guardò intorno e le parve che per fortuna nessun altro avesse sentito.

Giusto in tempo.

Il display le suggerì con gentilezza di tenere una sciarpa a portata di mano e le diede l’arrivederci sperando di rivederla al prossimo viaggio. Lei sperò di poter viaggiare più spesso.

Sorrise, infine, lanciando un rapido sguardo ai bagagli per esser certa di averli tutti a portata di mano pochi istanti prima di scendere dal treno. Per non dimenticare nessuna delle poche importantissime cose che portava sempre con sé. La fece sentir bene l’idea che da quel momento in poi sarebbe stata più consapevole del fatto che, sulla soglia di qualsiasi piccolo o grande cambiamento, avrebbe potuto semplicemente fare la stessa identica cosa.

 

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*… Sorridi Che La Vita (Se Le Gira) Ti Sorride …*

Quando si dice che anche una giornata apparentemente insignificante riesce a regalare piccole soddisfazioni qualche volta.
Cose di non troppa importanza che però appena riesci a fermarti un secondo, ci ripensi e sai che non appena metterai la testa sul cuscino ti verrà da sorridere, giusto pochi secondi, prima che la tua mente,  mentre si appresta a chiudere baracca, se ne va rimbalzando tra un pensiero e un altro come una di quelle biglie di gomma che se lanci senza troppo riguardo va sbattendo da muro a muro fino ad incastrarsi da qualche parte dietro ad un mobile, sempre che non la perdi di vista e sbuffi, perchè ti tocca cercarla dapertutto.

Ieri ancora non ho capito bene com’è che è toccato a me fare il taxi per andare a recuperare mezza famiglia in giro per la città vittima di scioperi dell’ultimo minuto. Non che mi sia dispiaciuto troppo, perchè poche cose mi piacciono come guidare, però ho trascorso praticamente la giornata in auto tra traffico, statali, motorini che a poterlo fare ti passerebbero anche sulla testa e attese più o meno lunghe senza poter fare molto altro che tirar fuori un libro (che a furia di aprirlo solo di notte lo finirò nel duemilaemai) e ascoltare qualche canzone alla radio. Senza parlare del fatto che come “special guest” di fianco a me avevo mio padre. Una di quelle rarissime volte che posso guidare io e non lui. Ahh. Fa sempre un po’ preferisco-ripetere-l’-esame-di-scuola-guida. Roba che magari sulla rampa d’accesso lui qualche volta dimentica di mettere la freccia. Tu no. Tu non puoi dimenticarlo. Sta lì pronto che ti ripiglia. Per non parlare dello stai al centro corsia, non t’azzeccare a quello davanti e allegerisci il piede. Hai la patente da 5 anni e a tratti ti senti un’idiota. Però poi lo stupisci. Il parcheggio da manuale. Ti concentri nemmeno che la tua vita stia dipendendo da quello. E sai che quando ti ci metti non sbagli di un millimetro.
Abbozzi un sorrisetto da carogna e lui ti fa “Però, complimenti!”. Esci dall’auto trionfante. Con un padre, tu figlia, certe cose te le devi guadagnare, non c’è niente da fare. E so’ soddisfazioni.

La seconda della giornata, invece sta su tutt’altro piano. Ed è idiota. Davvero idiota. Ogni tanto mi vengono idee strampalate, stupide, che hanno un loro perchè magari e trovano pure realizzazione, come oggi, ma solo perchè il mondo ogni tanto decide di assecondarmi e darmela vinta.
Qualche tempo fa mi chiesi se esistessero al mondo altri uomini che hanno il taglio d’occhi come quello di Antonio Banderas. Si perchè io sono una di quelle che pensano che lui sia sexy anche accarezzando un plum-cake. Anche se è passato da Angelina Jolie a Rosita. Non uomini che gli assomiglino o altro. Il taglio d’occhi, lo sguardo. Lo so, avete appena portato una mano alla fronte  (il famoso facepalm) e state ridendo. Però è vero. Mi è sempre sembrato troppo particolare, occhi profondi, scuri, uno sguardo sia duro, deciso che dolce, all’occasione. Mi ripromisi di farci caso, guardandomi in giro, hai visto mai. Era un po’ che non mi veniva in mente questa cosa. E poi ho scoperto che Zorro in realtà lavora al Servizio Clienti dell’Auchan a pochi km da qui. Ieri sera mi stava prendendo un colpo. Ero andata già qualche giorno prima per passare la mia scheda Tim a Vodafone approfittando di una di quelle mega-offerte scontatissime. Ovviamente mi sbagliarono il numero di telefono e la scheda non si attivava mai. Così sono tornata e dopo un paio di tentativi falliti ai box informazione sbagliati, approdai al box giusto.

-Buonasera!- dissi, tentando di attirare l’attenzione di qualcuno.

E arrivò Zorro. Camicia bianca, pantaloni neri, capelli neri tirati indietro con il gel (ma chi li porta più così?!), braccio destro poggiato sul bancone, busto a tre quarti. La mia espressione era indecifrabile.

-Buonasera signorina, dica pure-.

Pffft. Pffffft. Stai seria stai seria staaaai seria. Non scoppiargli a ridere in faccia. Resisti.

-Salve, ho un problema con l’attivazione della scheda Vodafone, però un attimo che ho lasciato delle persone fuori al negozio, vado a chiamarle-.

-Si, si, però poi torni qui che vediamo-.

E certo che torno, se me lo dici così dove vuoi che me ne vada?

Tornai prendendo dalla borsa la sim incriminata.

-Allora, mi dica pure-.

Lo guardai. Non potevo crederci. Era esattamente quel taglio d’occhi. L’aria meno intelligente. Però era quello. Avevo davanti una folle idea fatta persona.

Si dunque, h-ho passato la sim Vodafone a Tim… oh, no, no… Tim a Vodafone. O no? La Wind non c’entra di sicuro….Aaa machissene…!

-Dunque, in pratica è stato sbagliato il numero della Tim da passare in Vodafone, perchè non risulta alcun passaggio-

Senti Don Diego, smettila di guardarmi così. Lo so che non hai capito niente, ma non mi freghi sbattendo le ciglia…

-Aspetti un momento che chiamo la collega-

…come volevasi dimostrare, addio mio eroe.

Alla fine mi son dovuta pure tenere il numero che dicevano loro. Però metti la soddisfazione di aver avuto quel paio d’occhi dritti dritti davanti ai tuoi!

La terza invece è piuttosto una piccola grande conquista. Al ritorno dall’Aushan deviazione in pizzeria. Il pizzaiolo di fiducia di famiglia è davvero un personaggio. Lavora bene, ma guai a rivolgergli la parola. Non risponde e se lo fa è a grugniti, se va bene, altrimenti è un leggero cenno con la testa. All’inizio si pensava fosse muto, invece una sera lo sentii parlare con un altro signore in maniera anche abbastanza agitata. Peccato che non riuscii a capire nemmeno una parola. Parlavano in una lingua incomprensibile, non era nè italiano (figuriamoci) nè dialetto stretto. E so che non è nemmeno straniero. Boh. Il problema è che spesso nemmeno coglie l’ordinazione e tu stai li a ripetere nel minor numero di parole possibili com’è che vuoi la pizza, soprattutto se a metro e alla tua famiglia vengono in mente i gusti più strani. Perso l’attimo, è finita. Ieri invece ci sono riuscita. Il cenno con la testa è arrivato subito, seguito però da una smorfia. Mi sa che il metro metà margherita bianca e metà ortolana al pomodoro doveva essergli sembrato un abominio. E infatti ha messo pomodoro ad entrambe le parti.
A quanto pare non si può ottenere sempre proprio tutto tutto, però in cambio qualche volta torni a casa, stanca, ma con un sorriso e una storia buffa, da ricordare…

* . . . Ohana . . . *

~ ‘Ohana’ significa ‘famiglia’,
      e famiglia significa che nessuno
     viene abbandonato o dimenticato ~

     [Lilo – Lilo e Stitch, Disney Pixar]

 Credo che “Lilo e Stitch” sia uno dei prodotti migliori della Disney e di sicuro uno di quelli che non mi stancherei mai di rivedere. Adoro Lilo. E’ una bimba intelligente, furba, con delle idee tutte sue, anche più avanti della sua età,  ribelle e piena di risorse. Le altre della sua età non riescono a capirla e lei non capisce loro, anche se prova a farlo. Nonostante senta la loro mancanza e quella dei suoi genitori che non ci sono più, vive solo con la sorella maggiore, lei è presa da mille attività, dalla travolgente marea di idee e di cose da fare che la portano a conoscere Stitch, un alieno che viene da chissà-dove ma che lei prende a far parte della sua famiglia, piccola e disastrata, ma bella, come lei stessa dice. Se ne prende cura perchè è quello il suo punto fermo, ciò che ama di più al mondo. Per lei è famiglia anche il pesciolino al quale va a dare il panino al burro d’arachidi tuffandosi tra le onde dell’oceano ogni giovedì.

~ ‘Ohana’ significa famiglia. Famiglia significa che nessuno viene abbandonato, ma se vuoi andartene puoi farlo. Io mi ricorderò di te. Io ricordo tutti quelli che se ne vanno.~

E’ da ieri che penso a questa parola. Ohana. Famiglia. Da quando ho visto la giovane vicina di casa agitatissima, ieri mattina. Suo marito è un carabiniere che spesso è assegnato a Palazzo Chigi e poteva essere uno dei feriti. Ho provato ad immaginare il suo spavento. Poi ho visto il viso dell’uomo che è stato arrestato. Anche lui ha una famiglia. Anche loro si saranno spaventati. Non voglio parlare di politica o di crisi o di ciò che è successo. So solo che la violenza non risolve mai niente e che non è per niente giusto che una persona si svegli una mattina con l’idea di uccidere qualcuno solo perchè la propria vita è andata a rotoli. La cosa peggiore e che mi ha colpita, a parte il niente-lavoro niente-soldi, è che abbia detto di essere solo e disperato. E’ la cosa più triste. Tutti ci affanniamo per costruire un futuro, per il lavoro, per sopravvivere alla crisi. Però, a meno che star soli piaccia e delle volte magari è anche necessario, una famiglia, una qualunque, dovrebbe esserci. Non posso assolutamente capire cosa significhi divorziare, anche se persone a me vicine l’hanno fatto, o perdere componenti importanti che non siano dei nonni. Però so che una famiglia non è mai destinata a restare uguale a se stessa per troppo tempo. Ed è una cosa che ho dovuto imparare. E’ un sistema dinamico dal quale entrano ed escono persone, idee, sentimenti. E’ inesorabilmente soggetta a cambiamenti. E poi, il punto al quale volevo arrivare, finalmente, è che “famiglia” può avere tantissimi significati diversi. Il che vuol dire che è rara la possibilità che non se ne abbia una, pure piccola e disastrata.

Cosa significa “Ohana”?

Chiedetelo ad una signora anziana, che ha deciso di non sposarsi, non ha figli e che magari vive con 15 gatti. Vi dirà che la sua famiglia sono loro, quei furfantelli che le danno tanto da fare. Un giocoliere che gira da anni il mondo con carovane, animali e attrezzature direbbe che la sua famiglia è il circo. Quelle persone (e non solo) con cui si condivide la propria quotidianità e i propri sentimenti. Di cui ci si prende cura. E che quando se ne vanno, per scelta o per forza di cose, non si possono dimenticare, nel bene e nel male.
Allora ho ripensato a “solo e disperato”. Si può essere anche “soli e in santa pace”. Ma disperati no. E allora credo che l’unica cosa che salva dalla disperazione sia una famiglia. Crearne una qualsiasi e magari chiamarla con un altro nome, ma almeno darsi da fare, coltivare un rapporto, perchè poi è anche nel cuore di qualcun altro che possiamo trovare il nostro, quando non sappiamo più che fine abbia fatto. Perso, distrutto. Quando a battere batte pure, ma fa soltanto male.

Poi l’Orient Express delle idee che correva nella mia testa (lo so, non è l’ultimo ritrovato della tecnologia, avrei preferito pure un Italo o un Freccia Rossa, ma vorrei vedere con 38 di febbre come non assomigliare ad una vecchia locomotiva che sbuffa vapore, anche se ha il suo fascino però…) mi ha portata a ricordare questo:

Il legame che unisce la tua vera famiglia non è quello del sangue, ma quello del rispetto e della gioia per le reciproche vite. Di rado gli appartenenti ad una famiglia crescono sotto lo stesso tetto.

[Illusioni – Richard Bach]

 

Richard Bach circa un anno e mezzo fa aprì un sito web dove pubblicava riflessioni ed esperienze quasi ogni giorno creando un contatto più diretto con i suoi lettori. Aveva voglia, dopo tanti anni, di conoscere, almeno virtualmente, le persone sparse per il mondo che lo seguono e apprezzano. In poco tempo si creò quella che lui chiamava “family of spirit” che distingueva dalla “family of blood” per ovvi motivi e che sentiva come la famiglia che in qualche modo aveva creato, persone diverse per età, cultura, nazionalità e ci si capiva in inglese. Ovviamente non c’erano tutte le migliaia di persone che hanno letto i suoi libri, contando i più assidui c’erano meno di 50 persone circa. Il bello era che la cosa funzionava anche senza di lui, sono nate amicizie, come la mia con una simpaticissima signora belga che un giorno magari incontrerò…
Questa storia della famiglia la capimmo davvero quando Richard ebbe l’incidente con il suo biplano… Era in fin di vita (lui direbbe in esplorazione di nuovi livelli di coscienza)  ed eravamo tutti molto preoccupati e in ansia e allora la family of spirit si unì di più, creando un gruppo su facebook in sostituzione del sito che fu chiuso e continuando a crescere e a sostenere Richard.  Un legame semplice di rispetto e di gioia per le reciproche vite. I mezzi saranno pure virtuali, ma i sentimenti sono veri, sempre.

“Illusioni” fu scritto circa 40 anni fa… Nessuno potè fare a meno di notare che quella concezione forse fantasiosa e astratta di famiglia alla fine aveva avuto davvero un riscontro. “Famiglia” può avere tanti significati diversi. Ma almeno uno, secondo me, vale sempre la pena di trovarlo.