ComeDiari #20: Resistenza

Nina tiene la testa sulle mani, le braccia poggiate sul banchetto. Gli occhi spalancati nel buio come quelli di un gatto in allerta. Non deve farsi scoprire. Gli altri bambini sono cascati come pere cotte. Le maestre si muovono silenziose ma solerti da un banchetto all’altro a zittire e controllare. Poco fa hanno abbassato le persiane dell’aula, momento che sancisce l’inizio dell’ora di riposo. Tre o quattro bimbi si ribellano platealmente, piangono e fanno i capricci. Le maestre a loro danno le brandine. Questa cosa Nina non la capisce, fanno i cattivi e però stanno più comodi. Quattrocentoventidue, quattrocentoventitre, quattrocentoventiquattro… Nina li osserva di traverso. Neanche a lei va di dormire a comando, ma non fa tutte queste storie. I capricci sono cose da bambini. Poi vuoi mettere il disonore di essere ripresa dalle maestre. Un paio di assegnati alle brandine sembrano addormentati. Quattrocentocinquantasette, quattrocentocinquantotto… Nina è ancora sveglia e sottilmente soddisfatta, nessuno se ne è accorto. L’unico problema è che si annoia da morire, allora conta nella testa, ecco una buona occupazione: trovare il numero più grande di tutti, quello a cui non è mai ancora riuscita a pensare.

Nina si aggrappa alla ringhiera del balcone e fissa lo spicchio di Luna crescente nel cielo. Sente il naso che freme, gli occhi che si gonfiano. Un pensiero la trafigge irrazionale e crudo, chissà se c’è qualcosa dentro di lei che somigli a quella luce a forma di sorriso, che sappia elevarsi, ingrandirsi, crescere e splendere. Cambia posizione poggiando solo i gomiti sul ferro e tenendo le mani come ad abbracciarsi. Ha paura di essere diventata arida, fredda, calcolatrice, una brutta persona. Di aver resistito in silenzio per troppo tempo, di aver sviluppato sensi paralleli che le consentono di saltare da una difficoltà all’altra, riuscire a soddisfare i suoi bisogni ma tenendosi sempre ben nascosta dietro la sua gigantografia che sorride a tutti. Teme di aver costruito la sua vita tutta in cunicoli e stanze segrete al riparo dagli occhi degli altri, per esprimere la sua libertà dove nessuno può giudicarla. Le lacrime le fanno sembrare quella luce ancora più nitida e luminosa, che la tristezza è necessaria tanto quanto la gioia. Avrebbe dovuto urlare, ribellarsi e non cercare di far felice nessuno. Doveva diventare capace di tirarsi addosso facce deluse invece dei sorrisi che ogni volta la costringevano a impacchettare altro da portare nel suo mondo segreto. Nina ricorda la sua vita come un’avventura fantastica che si è svolta dietro una televisione spenta, gli unici spettatori sono quelli che erano lì dietro con lei e si contano sulle dita di una mano.
Non appartengo a nessuno e a nessun posto, si ripete, quel pensiero la inorgoglisce di solito, ma questa sera la frantuma in mille pezzi perché sente forte che nessuno la conosce davvero. Un vento passa ad asciugarle il viso. Nina si accuccia con la testa in quell’abbraccio, inizia a calmarsi e a respirare. Forse può ancora salvarsi e fermare quel buio che sente la sta ingoiando, smettere di resistere, di nascondersi, smettere di cercare il numero più grande che esiste in silenzio.

Il filo.

Stasera ho bisogno delle parole. Ne stendo un po’ intorno a me e poi mi ci infilo sotto, a cercare un po’ di calore. Va bene, penso. Forse di domenica sera le leggi del cosmo chiudono un occhio e mi lasciano in pace. Anche se ormai mi sto abituando a stare fuori dalle cose. Non fa poi così freddo.

E’ stato più che altro un bisogno. Eliminare. Togliere. Nessuno mi guarda. Bene. Lo dico. Qui, in questo universo, siamo solo crudelmente costretti a creare e distruggere illusioni. Non c’è nient’altro da fare. Sono giorni che ci perdo la testa su. Allora ho provato a smontarlo, questo mondo. Un pezzo alla volta. Ho tolto ogni gioia e ogni dolore. Ogni sogno inutile. Le aspettative e tutto ciò che sembra grandioso e fantastico finché non lo fai e ti accorgi che non è poi sto granché. Ho tolto l’amore. Quel poco che abita nella mia vita. Ho tolto la tristezza. Non serve. Farsi del male sembra una via d’uscita ma richiede fatica ed è solo un’attività figlia di una distorsione del senso del piacere.

E’ rimasto un filo. Un capo parte da me. L’altro non riesco a vederlo. Non si capisce bene. Sembra che serva a far muovere le gambe. I pensieri. Non lo so dove sto andando. Devo capire però cos’è questo filo. Di cosa è fatto.

Va bene così, per stasera. Nessuno mi guarda. Allora resto ancora un po’ qui.

Fuochi d’artificio.

foto personale 01.01.2019

Certo che siamo strani.

Lo so, non è una gran affermazione con cui iniziare l’anno e nemmeno il primo post del 2019. Però, ecco, mi è venuta così. Spontanea.
Faccio un passo indietro e vi spiego.

Qualche giorno fa assistevo ad una discussione su Facebook a proposito dei fuochi d’artificio. Sono belli ma no al massimo pericolosi gli animali si spaventano non capite niente si tratta di arte,eccetera.
Qualcuno ad un certo punto ha riportato una tesi, in parte avvalorata da psicologi, in parte dal buonsenso. I fuochi d’artificio hanno colori, sfumature, scintillii praticamente unici, che durano pochi istanti, introvabili in natura, creati dalla combinazione di sostanze chimiche che la maggior parte delle persone che sta lì con il naso all’insù non conosce affatto, per non parlare dell’adrenalina causata dal botto a sorpresa, dal non sapere che colore apparirà l’istante successivo, ecco, per tutti questi motivi risultano affascinanti. Il motivo che però riunisce tutti questi e che rappresenta il fulcro della tesi è quello per cui i fuochi d’artificio piacciono così tanto perché la gente li percepisce come qualcosa che è al di fuori dal proprio controllo, specie perché solo pochi professionisti sono in grado di crearli e maneggiarli senza causare incidenti.

Fin qui nulla di strano, anzi, l’idea è davvero molto interessante e in effetti mi ci ritrovo pure. Sapete, dal balcone di casa mia, allo scoccare della mezzanotte, vedo un panorama di fuochi d’artificio vastissimo. Mi affascina, ma soprattutto mi piace perché è come se a chilometri di distanza stessi festeggiando con persone che non posso vedere e che non conosco, ma con cui condivido dei sentimenti di speranza e gioia da un lato e di paura per un futuro di cui non sappiamo nulla dall’altro. Specie per questo, personalmente ho sempre pensato che i giochi pirotecnici in qualche modo servissero ad esorcizzare il buio della notte di passaggio tra un anno e quello successivo.

E allora mi chiedo, perché lasciamo alla veloce combustione di innominabili e per noi incontrollabili composti chimici il compito di accompagnarci attraverso quei minuti di trepidazione e di piacevole ansia, mentre invece durante i giorni precedenti e successivi all’ultimo giorno dell’anno ci affanniamo sugli oroscopi, sulle liste dei buoni propositi, sulle statistiche e proiezioni fatte da chissà chi, il tutto per prevedere cosa ne sarà di noi nei mesi a venire?

Capite? E’ molto meno banale di quanto sembri. Si pensi pure al semplice tappo di spumante che ci piace far volare attraverso il salotto di casa. Può rompersi, non aprirsi in tempo e seguire le più disparate e pericolose traiettorie. Ci divertiamo nello stupirci del botto e delle curiose curvature che prenderà a causa della spinta data dai gas presenti nella bottiglia.

Insomma, nonostante Paolo Fox e nonostante tutto, l’imprevedibile condito da un pizzico di pericolo e qualche colpo di scena continuiamo a portarcelo dietro da secoli e continua a far parte delle nostre tradizioni.

Forse è un po’ come se trattassimo il futuro con la stessa moneta.
Forse perché l’imprevedibile, limitati nella nostra conoscenza a posteriori di ogni cosa che è parte dell’Universo, in fondo, ci è ormai familiare.
Forse siamo incoerenti e basta.
Forse, invece, da qualche parte nel nostro cuore, speriamo sempre e ancora in qualche forma magia.

Gioiosissimo Me!

Inside-Out-Poster-Gioia-copia

No, quello era un altro film. Comunque…

Bloggers! A onor di cronaca riporto che l’emozione che ha ricevuto più voti nel sondaggio proposto la settimana scorsa ‘Di che emozione sei?’ è … Gioia!

Applausi in sottofondo.

Sembrerà banale dirlo, ma, ecco, non me l’aspettavo. Ho deciso di proporre il sondaggio per pura curiosità, per cercare di cogliere un mood e, certo, non si possono ricavare chissà quali considerazioni da un campione così piccolo, ma mi ha sorpresa il fatto che la maggioranza si sia espressa a favore dell’essere positivi e propositivi, nonostante tutto.

A parte questo volevo approfittare del post per mettere in evidenza due o tre riflessioni interessanti che mi avete proposto proprio voi nei commenti.

Prima di tutto, mi ha colpita molto il fatto che diversi di voi hanno davvero scelto Gioia, pur riconoscendo che in fondo non aveva un gran margine su Tristezza, di cui avete comunque riconosciuto il valore. Ovvio che le due emozioni si accompagnano e coesistono, eppure qualcosa ha fatto pendere l’ago della bilancia più a favore della prima. Quel qualcosa non ho capito cos’è. Abbiamo provato a rifletterci e ne è uscito fuori che, forse, si tratta del modo in cui ci si percepisce e basta. Inoltre Tristezza è stata accostata alla saggezza, trattandosi di un sentimento profondo che non si ferma all’apparenza delle cose, ma le indaga e le studia; mi lascia perplessa però identificare lo studio come un’attività ‘triste’. Non credo che lo sia.

Qualcuno di voi ha fatto notare che in effetti non dovrebbe esserci un’emozione predominante, in quanto tutte possono susseguirsi anche nel corso della stessa giornata e quindi sceglierne una è impossibile. In realtà non sarebbe nemmeno ‘giusto’ perché si finirebbe per appiccicarsi addosso uno stato d’animo rifugio, che fungerebbe da alibi per i nostri comportamenti e decisioni. Come a dire io son fatto/a così e amen. Purtroppo questa è una cosa che riscontro spesso, le persone si nascondono dietro un modo d’essere nato o causato da chissà-chi o chissà-cosa per cui tu, che ti ritrovi a tiro, devi pagarne le conseguenze. Nonostante io non sia in uno dei miei periodi migliori continuo a pensare che le persone, specie quelle amate, meritano il meglio di ciò che si è. A nessuno va rifilata la brutta copia sgualcita del nostro modo d’essere perché decisamente non c’entra niente. E’ difficile e sono la prima che davvero non riesce a fare i conti con tutto ciò, al momento, eppure dentro di me so che è così.

L’ultima considerazione riguarda la Rabbia come sentimento esplosivo e propulsivo che non ci rende cattivi ma soltanto, e per fortuna, capaci di reagire a ciò che non va, serve a tirarci fuori dalla pigrizia mentale e fisica. Vederla in questo senso è stata una sorta di scoperta 🙂

Grazie a tutti voi per aver partecipato 😉

 

Inside Out: Tu Di Che ‘Emozione’ Sei?

Inside-Out

In molti ne hanno già scritto, il nuovo film della Disney Pixar Inside Out ha fatto fiorire decine e decine di opinioni e riflessioni, critiche e osservazioni, credo perché in fondo parla di noi e di come siamo fatti dentro e ci sono riusciti attraverso delle idee secondo me geniali, trasformando in immagini quel mondo complesso che c’è nella nostra testa.

Così anch’io, reduce dalla febbre da Minions, mi sono lasciata coinvolgere. L’altro giorno i miei amici ed io abbiamo provato ad identificarci in una delle cinque emozioni base, Gioia, Tristezza, Paura, Rabbia e Disgusto in base a quella che in qualche modo prevale nel nostro modo di rapportarci con il mondo.

A me è toccata… Tristezza 😀

No, non vi spaventate, non sono davvero una palla di quelle proporzioni (ok, a volte si) però diciamo che un po’ mi somiglia. Più che altro si tratta di un modo d’essere, di percepire le situazioni e le persone, è un qualcosa che ha a che fare con il cercare di capire cosa c’è oltre la superficie, con il fissarsi sui dettagli e sulle parole non dette, sugli angoli evitati dagli sguardi e sui segreti che cela la pioggia osservata dietro a un vetro, in silenzio. La tristezza è quell’emozione di cui pare ci si debba vergognare perché sinonimo di fragilità, la tristezza mette a disagio e peggio ancora è il piangere. Ci insegnano che chi è forte non lo fa, così quelle lacrime clandestine di solito escono fuori di notte, al buio, lontano da altri occhi che potrebbero giudicare, non capire, nel mondo del ‘va tutto bene, grazie’, che a nessuno interessa davvero sapere cos’hai dentro.
Quello che accade nel film è proprio questo poi: le altre emozioni fanno in modo che Tristezza sia sempre il più lontano possibile dai ricordi e dalla vita di Riley, la allontanano. Così accade una cosa che è capitata anche a me qualche tempo fa. Quando Riley ne ha davvero troppo del trasloco e dei cambiamenti accade che la Rabbia non fa che peggiorare la situazione, l’effetto di Disgusto dura poco. La Gioia si da’ proprio alla macchia, perché ovviamente non riesce a trovare nemmeno un motivo, un buon ricordo, per farla sorridere. Accade che Railey non prova più niente. Diventa apatica. Non reagisce. A me capitava di sentire l’eco di quella tristezza che voleva uscir fuori e più lo reprimevo, più faceva male, ma davvero, fisicamente.

Come ho letto in qualche recensione più critica, la Tristezza diventa solo un mezzo per liberarsi, sfogarsi al fine di star meglio e non viene mostrato come la si può accettare, ma usare. Da un lato è vero, dall’altro penso che nessuno riuscirebbe a scoppiare in lacrime se prima dentro di sé non accettasse quello stato d’animo, smettendo di reprimerlo.

Comunque, ecco, vorrei proporvi un sondaggio. Il nostro personalissimo Inside Out. Di seguito troverete le cinque emozioni di base di cui sopra. Di certo ce n’è una ‘predominante’ dentro di voi o che sentite affine al vostro modo di essere. Indicatela, poi potete confermare la vostra scelta con un commento o con un post (racconto, poesia, riflessione) a tema. Poi…

Poi non so. Vediamo cosa ne esce 😀

*… “E Finalmente Adesso L’ho Trovata” …*

"    La felicità è amore, nient'altro. Felice è chi sa amare. Amore è ogni moto della nostra anima in cui essa sente se stessa e percepisce la propria vita. Felice è dunque chi è capace di amare molto. Ma amare e desiderare non sono la stessa cosa: l'amore è desiderio fattosi saggio. L'amore non vuole avere, vuole soltanto dare." [Herman Hesse]

” La felicità è amore, nient’altro. Felice è chi sa amare. Amore è ogni moto della nostra anima in cui essa sente se stessa e percepisce la propria vita. Felice è dunque chi è capace di amare molto. Ma amare e desiderare non sono la stessa cosa: l’amore è desiderio fattosi saggio. L’amore non vuole avere, vuole soltanto dare.”
[Herman Hesse]

Volevo riportare questa notizia che avevo sentito di sfuggita alla tv e ho cercato poi sul web. Mi ha colpita tantissimo… Come si fa a mantenere nei ricordi e nel cuore qualcuno per 60 anni? E’ assurdo, più si prova a farsi un’idea di cosa sia l’amore e più lui trova altri modi, altri tempi e spazi per reinventarsi, mandandoci tutti al manicomio. Mi sono imbattuta per caso anche nella citazione qui sopra e mi è sembrata una ragionevole (come se ci si possa ragionare, su certe cose) risposta alla mia domanda.

“Amore è ogni moto della nostra anima in cui essa sente se stessa e percepisce la propria vita.”

E’ semplicemente straordinario e vero, tanto tanto vero.

E pensare che si sta male per un telefono che non squilla. Fidanzati che si lasciano perchè per un paio d’ore il cellulare era irraggiungibile. E poi ci sono persone che s’aspettano anche per 60 anni. Lui ha detto “E finalmente adesso l’ho trovata”. Io non riesco nemmeno ad immaginare cosa significa ripetersi per tutto questo tempo ti troverò, ti troverò

Riporto qualche passaggio dall’articolo che ho trovato sul sito del Corriere:

Il loro amore ha resistito alle peggiori tragedie storiche del Novecento e adesso una statua celebra la loro riunione avvenuta dopo 60 anni. Nei giorni scorsi in un parco di Kiev è stato inaugurato un monumento dedicato alla struggente storia d’amore tra il prigioniero di guerra italiano Luigi Pedutto e la condannata ai lavori forzati ucraina Mokryna Yurzuk. La statua è stata eretta vicino al «ponte degli innamorati» dove ancora oggi i giovani ucraini si promettono amore eterno.

L’ottantottenne italiano e la novantenne Mokryna si sarebbero conosciuti nel 1943 in un campo di concentramento nazista vicino alla città di Sankt Polten, Austria e presto si sarebbero innamorati. Peccato che dopo la liberazione il loro amore fu diviso dai nuovi equilibri internazionali: Mokryna fu costretta a tornare al di là della Cortina di ferro e gli innumerevoli tentativi di Pedutto, originario di Castel San Lorenzo, paesino di duemila anime nel cuore del Cilento, di riunirsi all’amata, risultarono vani. Per oltre 60 anni i due non si rividero più ed entrambi si sposarono nei propri paesi ed ebbero figli da altre relazioni.

La svolta di questa favola d’amore arriva nel 2004. Pedutto che non ha mai dimenticato quella donna che nel campo di concentramento gli cuciva gli abiti e gli portava il cibo, scrive alla trasmissione televisiva russa «Aspettami», una sorta di «Chi l’ha visto» locale nella quale si aiutano i prigionieri di guerra e dei gulag a ritrovare il proprio passato. Racconta la sua storia d’amore e finalmente i due ex amanti possono rincontrarsi «L’ho cercata per 62 anni – fu il primo commento di Pedutto – E finalmente adesso l’ho trovata». […]  Per comprendersi parlano un mix di ucraino, italiano e russo, ma c’è chi confessa che riescono a capirsi anche senza parlare.