Sintomi di civiltà

Per la verità in questi giorni mi sto godendo alla TV le immagini di Conte che corre da una parte e dall’altra con la faccia concentrata di uno che sta cercando la soluzione ad un problema, al posto di quelle quotidiane dei politici delle varie fazioni che giocano a scoppiare palloncini agli avversari che in risposta tirano loro un dito nell’occhio e così via, senza fine.


Da un lato penso che un eccesso di entropia in un sistema fa si che prima o poi accada qualcosa che costringe il sistema stesso ad un nuovo equilibrio.

Per dire: i medici non fanno che ripetere in quale banalità consiste la prevenzione al coronavirus, ovvero rispettare basiche norme igieniche. Una sorta di ritorno, quindi, a quelle stesse cose che più o meno diceva sempre anche mia nonna.

Riepilogando, il Governo che lavora, la gente che non starnutisce dove capita, i treni che profumano di pulito…
Insomma, se non fosse stato per la bambina sovragitata che ieri mattina mi ha accusata di aver saltato la fila alla cassa mentre sua mamma guardava il tonno sullo scaffale e si trovava almeno a tre metri dall’ultimo carrello in fila e ripeteva “Mamma mamma, ma ci siamo prima noi vero? Vero? È passata avanti, ci siamo prima noi!” e la mamma che non mi ha tranquillizzata rispondendomi “No non ti preoccupare, è lei che ha troppo senso della giustizia” avrei detto che da tutta questa storia c’era la possibilità di uscirne migliori di come eravamo prima.

L’insolita domanda dei recruiter di Coca-Cola

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Questo pomeriggio sbirciavo su Facebook in cerca di spunti più o meno interessanti di distrazione mentre studiavo per il prossimo esame, ho ignorato gli articoli ormai quotidiani sulle povere e imbarazzanti dichiarazioni di Salvini e mi sono imbattuta su un articolo di Business Insider davvero curioso.

Parla di una domanda insolita che viene posta ai candidati che si presentano ai colloqui di lavoro alla Coca-Cola. Nel tentativo di trarre dalle persone che aspirano a diventare dei dipendenti della loro azienda risposte non costruite e che mettano in risalto le loro vere qualità, pescando dalle loro migliori esperienze di vita, i recruiter al posto di chiedere qual è il tuo peggiore difetto pongono la stessa domanda ma in modo un po’ diverso. In particolare:

“In che modo le persone si possono fare un’idea sbagliata di te, e cosa fai rispetto a quest’impressione?”

Questa domanda mi ha incuriosita e divertita ma non sorpresa. Anzi. Mi sono resa conto che in realtà questa cosa me la chiedo praticamente ogni giorno.

Credo fermamente nel cercare di diventare la migliore versione di se stessi e farlo per se stessi e non per gli altri. Si sta meglio poi anche con gli altri, si, ma è un effetto, non la causa. Non mi pongo questa domanda per trovare il modo di piacere a qualcuno e anche volendo si tratta di una ricerca lunga e inutile perché si sa, non si può piacere a tutti, ma soprattutto chi critica spesso lo fa perché in un modo o in un altro deve dire la sua, perfino se si trattasse di stra-giurare che la Terra in realtà sia piatta.

E proprio da questo nasce la mia curiosità. Le persone, per quanto tu possa spiegare, mostrare e dimostrare, vedono il mondo a modo loro. Una cosa dalla quale non si può assolutamente prescindere è il fatto che ognuna di esse osservi la realtà attraverso i propri personalissimi filtri che stanno lì a causa di esperienze, scelte, cose imparate e cose volutamente ignorate o soltanto sfuggite. Nella realtà sono compresa anch’io.

Vengo osservata attraverso i loro occhi. Che non sono i miei e nemmeno quelli di chi ha imparato a conoscermi. I loro occhi. Solo e soltanto loro. 

Ecco che la domanda posta dai tizi della Coca-Cola ha un senso ben preciso. E forse è la prima volta che anch’io cerco di rispondere alla mia domanda sul serio e senza divagare dal perché ho litigato con Caio a cosa ho mangiato l’altro ieri a colazione.

Persone che si sono fatte un’idea sbagliata di me ce ne sono eccome. Perfino alcuni miei parenti. Persone a cui ho voluto bene e di cui adesso non so più nulla. Altre di cui mi importa meno del sapere cosa effettivamente ho mangiato a colazione due giorni fa. Ci sono poi persone che non ho fatto in tempo a conoscere, superficiali e senza forma come la schiumina che sta sul caffé che dovevamo prendere insieme e poi, boh. E vengono a dirmi ma tu non mi conosci. No, infatti, no, non vi conosco, però non siamo pari. Io ci ho provato. Voi no. Il naso fuori dal vostro cerchio magico dell’io-sono-fatto-così non lo mettete nemmeno per sbaglio.

Sono arrivata al punto che le persone possono sbagliarsi su di me per motivi completamente indipendenti da… me. 

A volte invece sì, è colpa mia. Colpa delle insicurezze che mi assalgono e mi si parano davanti arrivando prima della vera me e che mi trasfigurano in qualcosa che non sono. Distorcono l’idea che io ho di me, figuriamoci quella che può farsi chi mi conosce in quel momento. Un modo diverso di dire che l’insicurezza è un mio difetto. E non posso che imparare a volermi più bene, ma anche a ricordare tutte le volte che invece sono stata davvero il meglio che potevo essere in quel momento.

I tipi della Coca-Cola ci hanno preso. Questa domanda davvero ti fa attingere da te stesso, da ciò che di meglio hai nel tuo bagaglio di esperienze per porti nel miglior modo possibile nei confronti di ciò che ancora deve arrivare.

Vi prometto, però, cari recruiter, che se dovessi capitarvi a taglio sul serio cercherò di essere decisamente più sintetica di così.

E Poi?

elezioni usa italia populismo

Questa mattina mi sono svegliata in un Paese che non conosco e che non mi rappresenta.

Non tanto per il premier, chiunque sarà perché ricordiamo che nessuno ha davvero vinto, ma per le persone che mi circondano. La maggior parte infatti si è divisa tra Lega e Movimento.

Mi sono chiesta chi ho intorno. Cosa pensa. In cosa crede. Come è possibile sia accaduta una cosa del genere.

Il voto di protesta è un contentino. Ti fa stare bene lì per lì, nel momento in cui metti quella croce su quel simbolo, ma poi?

POI.

Siamo già derisi da mezzo mondo.

L’euro già ne ha risentito in borsa.

Abbiamo una poltrona contesa da un buffone e un ignorante.

Complimenti, eh. Bravi. Vi siete chiesti “e poi?”

E POI?

Dovete vedere con i vostri occhi com’è che non cambierà assolutamente niente, se non in peggio? Avete bisogno di toccare con mano la freddezza delle promesse precipitate al suolo dopo essersi scontrate con la realtà che i signori che avete votato DOVRANNO per forza scendere a compromessi, essere un po’ meno estremisti, più concilianti perché è facile aprire un blog e dipingere il mondo come lo vorremmo (lo faccio perfino io!) mentre la realtà è completamente diversa?

E poi, sono certa, questi signori diventeranno la brutta copia di quelli che avete avuto modo di ascoltare e leggere durante la campagna elettorale. Perché tutto ciò che volevano era colpire la vostra pancia per far sì che come reazione voi sceglieste il loro simbolo nella cabina elettorale.

Tutto qui.

Questo è il voto di protesta.

Eppure avete visto le figure di merda che sta facendo Trump. AVETE SENTITO GLI AMERICANI PENTIRSI DI AVERLO VOTATO.

Ma non è stato abbastanza.

Io ho addosso quella stessa sensazione deprimente che provai quando seppi dei risultati delle elezioni USA. Anzi, non la stessa. E’ pure peggio.

L’aneddoto dell’arancia

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Due sorelline stanno litigando per l’ultima arancia rimasta nel cestino della frutta.

La bambina più grande pensa che quell’arancia le appartenga, senza se e senza ma. Ne ha bisogno e poi l’ha vista per prima. L’altra sostiene la stessa cosa. Le serve un’arancia, purtroppo ce n’è una sola ed è indubbiamente la sua.

La madre le vede litigare. Si avvicina e chiede il motivo della discussione. Guarda l’arancia, oggetto del contenzioso, e prova a pensare ad un modo per mediare la situazione e cercare di accontentare entrambe le bambine.

Subito le viene in mente di dividere l’arancia a metà. Le sembra la soluzione più ovvia e semplice. Prende dal cassetto un coltello, afferra l’arancia e appoggia la lama sulla buccia per tagliarla, ma le bambine si disperano ancora di più.

Iniziano a sostenere che con una sola metà dell’arancia non possono farci proprio niente. E’ decisamente troppo poco. Mezza arancia non basta a nessuna delle due. La donna allora si ferma e decide di indagare meglio. Chiede ad ognuna cosa deve farci esattamente con l’arancia.

La prima sorella si asciuga le lacrime con la manica della maglietta e racconta alla donna che le serve la buccia per fare una torta all’arancia. La più piccola, a testa bassa, dice che semplicemente desiderava un succo d’arancia per merenda.

La madre sorride ad entrambe. Taglia l’arancia, ne spreme la polpa e da’ il succo alla sua figlia più piccola e consegna le bucce a quella più grande.

Questa storia che adesso ho scritto così, seguendo un po’ la mia fantasia, è un’importante “aneddoto” sulla mediazione. Fa capire come a volte litigando non ci si spiega bene accecati soltanto dall’ingiustizia di non vedersi riconosciuto un certo diritto.

La cosa che più mi piace di questa storia, però, è il modo in cui si dovrebbe, ogni volta, cercare una soluzione. La pace non è sempre nella via di mezzo. Non basta dividere l’intera arancia tra le due sorelline per far si che entrambe siano davvero soddisfatte. L’equilibrio spesso è trasversale. Va cercato ascoltando e spiegando. Non si tratta di simmetria ed uguaglianza. Anzi.

L’equilibrio è un incastro dai bordi imperfetti, fatto di parti che materialmente non pesano allo stesso modo ma che possono avere comunque valore diverso.

Allora penso che da questo tipo di mediazione potrebbe nascere qualcosa di meglio della semplice pace.

La tolleranza e il rispetto dei bisogni altrui.

Invece qui ci si sveglia un mattino e si scopre che una delle due sorelle s’è messa una bandiera italiana sulle spalle e ha tentato di sparare e uccidere l’altra.

Per una cazzo di arancia che nemmeno le serve intera.

Il mio Halloween (e che fine ha fatto l’unicorno)

Ieri pomeriggio mi sono chiesta seriamente perché.

Perché stavo intagliando una zucca? Facile, era il giorno di Halloween. Sì, ma, il motivo?

L’avevo svuotata al mattino e poi mi ero presa il pomeriggio per disegnarne le fattezze da intagliare con un coltello da cucina più sottile possibile. Quest’anno ho avuto l’idea di creare una zucca di Halloween un po’ superstiziosa, che somigliasse ad una civetta. Sciò Sciò ciucciué. 

Mentre lavoravo ho cercato di ricordare il significato di questa ricorrenza che per la maggior parte delle persone è estranea alle nostre tradizioni, nonostante la storia dimostri effettivamente il contrario. E’ solo che la Chiesa un giorno ha deciso di far coincidere le proprie ricorrenze religiose con quelle pagane. Giustamente.

Immaginate secoli fa contadini riuniti per festeggiare la fine del raccolto, la fine dell’estate e l’inizio del periodo invernale freddo e buio che però sarebbe trascorso in maniera più confortevole grazie al lavoro che aveva fruttato scorte di cibo e risorse in abbondanza, anche se faceva paura. Le foglie cadevano, la natura si addormentava e a tutto ciò non poteva che venir associata la morte e il mistero che si porta dietro da sempre. E la notte di Halloween diventa il simbolo di tutto questo. Un giorno per ricordare chi non c’è più. Un momento in cui l’aldilà e la realtà terrena comunicano e si confondono l’uno nell’altra.

Se la Chiesa avesse spostato la commemorazione dei santi e dei morti in un altro periodo dell’anno -non so quale poi sarebbe stato più adatto di questo qui- ecco, non se la sarebbe cacata nessuno. Sorry. 

Sapete una cosa? Ho capito perché Halloween mi affascina così tanto.

Mi ci sento legata perché ha origini profonde e vere. Non ci sono obblighi, regole da rispettare. Credenze imposte, cerimonie con un protocollo ben preciso da seguire.

Quando si osserva una foglia arrossita sull’asfalto grigio fuori al portone di casa la connessione con il mistero che ci fa perdere la testa dalla notte dei tempi è semplice e immediata.

Allora mi sento vicina a tutto questo forse anche semplicemente intagliando una zucca, come si faceva in tempi lontani e antichissimi. Rispetto con tutto il cuore la cultura religiosa che mi è stata insegnata e nella quale sono cresciuta, ma a volte mi sembra troppo. A volte credo basti molto molto meno per rimettersi in equilibrio con il mondo e questo meno penso abbia un sacco a che fare con il poter essere semplicemente se stessi.

 

E Gaetano? Come chi. Gaetano, l’unicorno. Un po’ di pazienza, c’è stato qualche problema tecnico, ma arriva. L’intervista arriva. Stay tuned 🙂 

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Ecco, appunto, i problemi tecnici. 

 

 

Spiagge a tema libero

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Io mi chiedo che senso hanno oggi le spiagge a tema politico.

Dopo la spiaggia fascista in Veneto, l’altro giorno al telegiornale ho sentito parlare della spiaggia comunista che si trova da qualche parte in Calabria. D’accordo che ormai le spiagge sembra siano diventate molto più del web posti in cui poter esprimere liberamente idee e soddisfare bisogni fisici -no, non quello di rilassarsi cullati dalla brezza marina, ho sentito parlare anche di fazzoletti di sabbia usati come luoghi di incontro per far sesso e basta-, ma davvero, io non capisco.

In quanto membro della generazione dei Millennials, che non è nativa digitale ma che per costruire il mondo intorno a sé ha avuto in dotazione le trasformazioni come malta e le incertezze come mattoni, sono stufa di sentir scimmiottare ancora di destra, sinistra, bandiere, ideologie, Che Guevara e capitalismo.

Sono idee intorno alle quali sono girate le vite di tantissime altre persone prima di noi. Non mi pare abbiano risolto qualcosa. Le ideologie pure si sono rivelate dei fallimenti. L’unico che ricordo abbia avuto successo condividendo i propri beni e rinunciando alla ricchezza e alle comodità è stato San Francesco. Non vedo in giro persone candidate a fare altrettanto e non appartenenti ad ordini religiosi. Il capitalismo pure ha un rapporto un po’ odi et amo con il mondo e quel che diventerà a causa sua.

Abbiamo visto e rivisto persone cambiare bandiera a seconda delle necessità del momento. Altri si sono fatti strada appartenendo sempre allo stesso partito politico ma non accettandone del tutto i principi e non seguendo proprio tutte le regole. Facendo un po’ come capita.

Noi invece ci stiamo preoccupando per le cose sbagliate. Non c’è più bisogno di sperimentare il comunismo in spiaggia per vedere se funziona o restare affezionati al mezzo busto di Mussolini che ancora viene venduto nei negozi di souvenir di alcune città d’Italia.

L’unica ideologia che forse tiene banco è l’individualismo, anche se in realtà l’identità la stiamo ancora cercando. Andando per tentativi. Pensiamo a costruire noi stessi e non reti sociali. Lasciamo che le comunità vengano costruite dai social network con degli algoritmi. Noi abbiamo altro da fare. Abbiamo progetti di vite solitarie, ma socialmente approvate da likes e condivisioni, da portare avanti. Abbiamo Netflix, un plaid e una tazza fumante di cioccolata o thé in inverno e sorrisi forzati in un selfie al mare d’estate. Sì perché finalmente siamo andati in vacanza da soli, prenotando online una stanza senza litigare con i nostri genitori per la scelta del luogo, con improbabili partner per quella del periodo migliore o con gli amici perché cazzo lasciano disordine in giro e così non è vacanza se dobbiamo stare a rassettare anche per gli altri.

Forse di politica e di ideologie non ne capisco niente e non dovrei star qui a scrivere di cose che non so. Io però, a differenza di coloro che per primi ne hanno parlato, sono qui. Qui e adesso e preoccupata

Preoccupata della solitudine che sta ammalando il mio mondo connesso ma solo virtualmente. Preoccupata delle foto dei miei parenti inviate su Whatsapp dalle più diverse località di vacanza perché oggi non si aspetta più di tornare a casa per mostrare le proprie foto e raccontare delle proprie esperienze di persona davanti a un caffé.
Preoccupata della siccità e del fatto che usiamo l’acqua potabile come scarico dei nostri wc. Preoccupata perché l’Europa non ha superato l’esame di maturità perché alle domande sui migranti non ha risposto, ma ai suoi genitori non l’ha detto e continua ad abbozzare scuse per non perderci la faccia.

Insomma, la storia è storia. Oggi abbiamo altre sfide da affrontare. Tra qualche decennio alcune spiagge saranno sommerse a causa del riscaldamento globale e ai figli dei Millennials e di tutte le generazioni a seguire penso che del fascismo e del comunismo fregherà ancora meno.

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Comunque il Time dice che saremo noi a salvare il mondo

Alla Fine Ha Vinto Il ‘Forse’

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In questi giorni mi è capitato spesso di confrontarmi con amici e familiari sulla questione del referendum costituzionale e ne sono venuti fuori pensieri belli e discorsi interessanti riguardo cose di cui davvero raramente mi ritrovo a parlare.
Costituzione, democrazia, ideali. Ho intravisto idee profonde negli argomenti che ognuno portava a sostegno della propria scelta di voto. Abbiamo vissuto questo referendum con una certa ansia e un insolito fervore, tutti, indistintamente. Ci siamo congedati ieri sera consapevoli che non sarebbero state le nostre chiacchiere a fare la differenza e che avremmo dovuto aspettare il momento in cui ‘il sentire del popolo’ avrebbe preso forma in un Si o un No e sostanza nei numeri.

Non voglio fare l’ennesima analisi sui pro e i contro tanto che ormai i giochi sono fatti e le opinioni si sono ormai sprecate.

Questa mattina al risveglio ho provato una profonda delusione. Sono scesa per fare delle commissioni e nonostante la bella giornata di sole l’aria era immobile, come in attesa, ancora.

Sì perché adesso siamo di nuovo in stand-by, curiosi di sapere cosa accadrà.

Forse colgo male o in maniera inesatta. La scelta, secondo me, si riduceva tutta ad una questione di prospettive. Per quanto valide fossero le ragioni di tutti alla fine c’era da mettersi un po’ di traverso rispetto alle cose e cercare la visione che potesse cogliere quanti più aspetti positivi possibili.

Lo so, la questione resta discrezionale lo stesso anche così.

Allora aggiungo un altro elemento: il contesto.

Prospettiva e contesto insieme non restituiscono una visione oggettiva, vero. Era, però, la più oggettiva che ho trovato.

Cosa significa contesto? Mi guardo intorno. Ci sono forze politiche che hanno creato falsi scandali, divisione, populismo e odio che stanno esultando a sfregio delle idee di chi pur sostenendo il No come loro l’ha fatto con dignità, con una luce negli occhi e un calore nelle parole che non mi aspettavo. C’è una vittoria sulla carta che però significa sconfitta agli occhi del mondo e a quelli della storia.

L’Italia è finita in balìa di tutto ciò e mi dispiace profondamente.

La Costituzione tornerà nel cassetto come la tovaglia di Natale un po’ ingiallita dal tempo ma sempre buona perché l’ha comprata la nonna decenni fa. La democrazia tornerà con lo Yeti ad Atlantide a progettare la formula della Nutella che non fa ingrassare. Gli ideali verranno rimessi in gioco sul tavolo da poker come fiches di cui nessuno mai ha riscosso il valore, che tanto basta averle in mano e giocarci, il resto non conta.

La vittoria del No, nel contesto, è diventata una sconfitta per chi ha davvero sostenuto Costituzione, democrazia e ideali opponendosi alla riforma.

Mi chiedo se ne è valsa la pena e se ‘il sentire del popolo’ verrà correttamente interpretato adesso e se mi sono sbagliata nello sperare in un po’ di forza e stabilità senza che il tutto si riducesse ad una nuova corsa per acchiappare per primi quante più poltrone possibili.

Ah, ma davvero stanno decidendo se fare prima la riforma elettorale o le elezioni?

Ma guarda.

CronacheDalCondominio #3: La Tifoseria Che Non T’Aspetti

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Ad Euro2016 alla fine le abbiamo prese dalla Germania, che a sua volta le ha prese dalla Francia, cosa che qualcuno considera una magrissima consolazione, e vabbé.

Non sono un’appassionata di calcio e mi limito a seguire la squadra della mia città e l’Italia nelle competizioni internazionali. In fondo come non si può non amare l’atmosfera dei grandi eventi, quella che avvolge i soliti impegni quotidiani e fa tirare la lancetta dei minuti indietro per uscire prima dagli uffici o chiudere i libri della sessione di esami estiva e correre ad accendere la tv, armati di pop corn e bibite fresche? Coinvolge tutti, perfino i più insospettabili e una alla volta spuntano sui balconi delle case bandiere e striscioni ed è bello vedere le persone partecipare a qualcosa, oggi che ci si vergogna pure di condividere una corsa in ascensore con dei perfetti sconosciuti.

Dove abitavo prima, in paese, la febbre da Europei o da Mondiali colpiva un po’ tutti, si, ma per le bandiere funzionava un po’ come per i babbinatale e gli addobbi appesi alle ringhiere durante le festività natalizie che sparivano già nel primo pomeriggio del sei gennaio. Così, a caldo. Mentre i bambini avevano ancora le teste infilate nelle calze dell’Epifania alla ricerca dell’ultimo cioccolatino incastrato nelle cuciture e i più grandi come me non avevano ancora iniziato a bestemmiare per l’inizio delle lezioni e della routine universitaria. Allo stesso modo, al primo segno di debolezza della nazionale italiana, venivano tirate dentro le bandiere tricolore. Nemmeno il tempo delle interviste stupide nel dopo partita, durante le quali cerchi di capire se c’è da prendersela più con gli avversari o con l’allenatore dell’Italia.

Qui nel condominio, invece, ho assistito a ben altro. Fin dall’inizio di Euro2016 avevo già notato i vari balconi decorati per l’occasione, altri soltanto dalla seconda partita in poi, ma giusto così, per scaramanzia. Ho sentito trombette festeggiare i goal segnati -qualcuno sembrava avesse noleggiato direttamente un elefante- e odore di pizza all’ingresso del palazzo alle 19:30, decisamente in anticipo per l’orario di cena da queste parti e non poteva non esser dovuto a qualche tifoso particolarmente bisognoso di avere mani libere per esultare e imprecare un’oretta e mezza più tardi. In più sabato mattina, al ritorno da alcune commissioni, ho visto che sul tetto del palazzo svettava una bandiera così grande che più che un condominio all’improvviso sembravamo l’ambasciata italiana di qualche paese sperduto nel deserto del Sahara. La cosa mi ha fatta ridere, ma resa anche un po’ orgogliosa. Su tutto, però, aleggiava lo spettro della sconfitta. Così come la speranza e la gioia, anche l’ansia finisce per essere condivisa, specie se si finisce per giocarsi tutto ai rigori, come quelli che abbiamo visto.

Domenica mattina la sensazione di esser fuori era palese e scottava ormai come il sole. Eppure, nonostante questo, il panorama nel quartiere non era cambiato di una virgola. Le bandiere erano ancora lì. Erano sopravvissute allo scoramento e alla delusione. Sono rimasta a bocca aperta. Non me l’aspettavo. Nemmeno una era stata riportata sull’armadio in attesa del prossimo campionato.

Stavano ancora tutti dormendo, penserete voi. Invece no. A distanza di una settimana quasi, giocano ancora con il vento, indisturbate. So che qualsiasi considerazione sarebbe retorica, ma io qualche domanda me la farei. Tipo, chissà se qualcuno ha sentito di tenerla lì ancora un po’ per i fatti di Dacca o per quelli di Brexit. Magari per la consapevolezza che nemmeno lecinquestelle in fondo ci rappresentano davvero, visto che qualche altra competizione, ad esempio a Roma, è stata vinta per mancanza di avversari e non perché qualcuno si è battuto veramente, sudando, per conquistare il gradino più alto del podio. Forse si è solo riconosciuto che i nostri giocatori ci hanno provato davvero e che abbiamo perso con onore e quindi le bandiere stanno lì a dimostrare ancora un po’ di orgoglio che lo sport, in qualche caso, ci fa provare ancora. Tutte sensazioni inconfessabili, a parole, ma per fortuna i gesti contano ancora molto di più.

* . . . Pensieri Erranti In Cerca Di … Un Pensatoio! . . . *

Io, il mio pc, il caffè, la radio accesa, qualche partita a scacchi e tanti pensieri che frullano per la testa. Un pomeriggio di Pasquetta di relax. Non sono tra quelli che si affannano ad organizzare per forza la gita fuori porta e anzi forse proprio perchè lo fanno tutti,  non me ne frega niente. In fondo a G. ieri non ho detto una bugia. Sono davvero rimasta a poltrire … per la prima metà della giornata. L’influenza di notte non mi fa dormire. Aveva esordito come spesso fa bella foto, che carina, sei venuta bene qui seguito da un interessamento su ciò che avevo in programma di fare oggi. Per fortuna la prima cosa che ho pensato non gliel’ho scritta. Il tempo di capire se fosse semplice curiosità o altro non c’è stato, percè in questi casi vanno in funzione i sistemi d’allarme. L’idea di uscire con qualcuno a cui non sono interessata mi manda in panico. Mi ha fatto ricordare quando tempo fa un tipo che conosceva mia zia faceva di tutto per farsi trovare da lei quando andavo a trovarla. Era un incubo. Una persecuzione. Tentava già di piacere a mia madre in maniera che, con mia zia, sarebbero diventate due le sue alleate. Ma per fortuna non ci riuscì. Una sera mi aiutò a prendere le pizze dal bagagliaio della macchina, ad un certo punto si girò verso di me e guardandomi disse -Comunque, complimenti per gli occhi…-.  ….. Complimenti per gli occhi? Ma mi prendi in giro? E che me li so fatti io? Complimenti di che? Al supermercato li avevano finiti azzurro chiaro, sai, così mi sono accontentata del ceruleo. E’ una figata però, cambiano con la luce e con il colore della maglietta. Altro che complimenti, dì pure che sono un vero genio. Dalla mia espressione dovevo avere proprio l’aria di una che aveva appena finito di dire tutte queste cose, lo notai dalla sua faccia, mentre invece mormorai un “grazie” e mi tenni alla larga da lui per tutta la sera. Poi non lo vidi più.

E’ più forte di me, non li reggo. Non come certe altre che conosco. Vorrei capire come fanno. C’è una tipa che su Facebook si vantava delle decine di richieste d’amicizia da parte di soli uomini che riceveva, tenendo a sottolineare il fatto che lo strano (!) fenomeno non era dovuto tanto alla sua bellezza, quanto alla sua personalità e sensibilità. Mi sono ripromessa di chiederle che reggiseno usa che fa sti miracoli, perchè dalla foto si notava solo quello.

Mentre pensavo queste cose, una delle soddisfazioni del secolo. Do’ uno scacco matto di pedone. E’ da quando mi allenavo a scuola con la squadra di scacchi che non succedeva. Una forza. Mi mancano quei pomeriggi, i campionati, i viaggi per le finali nazionali, le lotte che facevo con i capitani delle altre squadre, che al 70% erano lotte di occhiatacce mentre li sorprendevo a dare suggerimenti alle loro ragazze. Finita la scuola avrei dovuto continuare da sola e autofinanziarmi, però dovevo iniziare l’università e quindi non l’ho fatto.

Quello che dovrei iniziare a far ora, invece, è la valigia, mia madre passa e mi ricorda che mancano pochi giorni alla partenza. Torno alla realtà. Un bel viaggio in auto verso nord attraversando Lazio, Toscana, Liguria e Piemonte, per un matrimonio. Non vedo l’ora! Mi piace tanto viaggiare e vorrei farlo più spesso… Vorrei vedere Londra, New York, Toronto e tornare in nord Europa perchè ormai da quando ci sono stata, appena sento i primi profumi della primavera mi ricordo delle città che ho visitato, proprio in questa stagione, qualche anno fa. Per ora mi accontento di Torino, che pure è bella. Poi vorrei tornare a Courmayeur, conoscere altri posti della Valle d’Aosta e vorrei vedere le città della Toscana. Ecco, mi sono di nuovo persa a fantasticare.

Ovviamente la valigia non ho iniziato a farla. 😛 C’era uno spettacolo di cabaret al vicino centro commerciale e sono stata lì. Alla fine hanno dato spazio ad un gruppo rock emergente che non conosco. L’emozione della musica dal vivo… Straordinaria. Anche se i testi non mi colpivano più di tanto ascoltavo solo gli strumenti. Non fa nulla. Davanti ad un assolo di chitarra elettrica c’è solo da inchinarsi, la musica non ha colpa se il cantante di turno fa schifo (anche se non era questo il caso comunque). La magia di batteria, chitarra, basso e tastiera che ti fanno vibrare dentro come nessun’altra cosa al mondo!

Tra poco mi addormento scrivendo ahah Come spesso faccio quando troppe cose mi girano per la testa devo scriverle da qualche parte, come il prof Silente in Harry Potter quando estraeva i suoi pensieri con la bacchetta e li metteva in una specie di ciotola, il Pensatoio. Poi all’occorrenza se li andava a ripescare. E’ un po’ quello che mi piace fare qui ogni tanto. C’è anche un bel temporale, fuori, che mi aiuterà a dormire ….