
Questo pomeriggio sbirciavo su Facebook in cerca di spunti più o meno interessanti di distrazione mentre studiavo per il prossimo esame, ho ignorato gli articoli ormai quotidiani sulle povere e imbarazzanti dichiarazioni di Salvini e mi sono imbattuta su un articolo di Business Insider davvero curioso.
Parla di una domanda insolita che viene posta ai candidati che si presentano ai colloqui di lavoro alla Coca-Cola. Nel tentativo di trarre dalle persone che aspirano a diventare dei dipendenti della loro azienda risposte non costruite e che mettano in risalto le loro vere qualità, pescando dalle loro migliori esperienze di vita, i recruiter al posto di chiedere qual è il tuo peggiore difetto pongono la stessa domanda ma in modo un po’ diverso. In particolare:
“In che modo le persone si possono fare un’idea sbagliata di te, e cosa fai rispetto a quest’impressione?”
Questa domanda mi ha incuriosita e divertita ma non sorpresa. Anzi. Mi sono resa conto che in realtà questa cosa me la chiedo praticamente ogni giorno.
Credo fermamente nel cercare di diventare la migliore versione di se stessi e farlo per se stessi e non per gli altri. Si sta meglio poi anche con gli altri, si, ma è un effetto, non la causa. Non mi pongo questa domanda per trovare il modo di piacere a qualcuno e anche volendo si tratta di una ricerca lunga e inutile perché si sa, non si può piacere a tutti, ma soprattutto chi critica spesso lo fa perché in un modo o in un altro deve dire la sua, perfino se si trattasse di stra-giurare che la Terra in realtà sia piatta.
E proprio da questo nasce la mia curiosità. Le persone, per quanto tu possa spiegare, mostrare e dimostrare, vedono il mondo a modo loro. Una cosa dalla quale non si può assolutamente prescindere è il fatto che ognuna di esse osservi la realtà attraverso i propri personalissimi filtri che stanno lì a causa di esperienze, scelte, cose imparate e cose volutamente ignorate o soltanto sfuggite. Nella realtà sono compresa anch’io.
Vengo osservata attraverso i loro occhi. Che non sono i miei e nemmeno quelli di chi ha imparato a conoscermi. I loro occhi. Solo e soltanto loro.
Ecco che la domanda posta dai tizi della Coca-Cola ha un senso ben preciso. E forse è la prima volta che anch’io cerco di rispondere alla mia domanda sul serio e senza divagare dal perché ho litigato con Caio a cosa ho mangiato l’altro ieri a colazione.
Persone che si sono fatte un’idea sbagliata di me ce ne sono eccome. Perfino alcuni miei parenti. Persone a cui ho voluto bene e di cui adesso non so più nulla. Altre di cui mi importa meno del sapere cosa effettivamente ho mangiato a colazione due giorni fa. Ci sono poi persone che non ho fatto in tempo a conoscere, superficiali e senza forma come la schiumina che sta sul caffé che dovevamo prendere insieme e poi, boh. E vengono a dirmi ma tu non mi conosci. No, infatti, no, non vi conosco, però non siamo pari. Io ci ho provato. Voi no. Il naso fuori dal vostro cerchio magico dell’io-sono-fatto-così non lo mettete nemmeno per sbaglio.
Sono arrivata al punto che le persone possono sbagliarsi su di me per motivi completamente indipendenti da… me.
A volte invece sì, è colpa mia. Colpa delle insicurezze che mi assalgono e mi si parano davanti arrivando prima della vera me e che mi trasfigurano in qualcosa che non sono. Distorcono l’idea che io ho di me, figuriamoci quella che può farsi chi mi conosce in quel momento. Un modo diverso di dire che l’insicurezza è un mio difetto. E non posso che imparare a volermi più bene, ma anche a ricordare tutte le volte che invece sono stata davvero il meglio che potevo essere in quel momento.
I tipi della Coca-Cola ci hanno preso. Questa domanda davvero ti fa attingere da te stesso, da ciò che di meglio hai nel tuo bagaglio di esperienze per porti nel miglior modo possibile nei confronti di ciò che ancora deve arrivare.
Vi prometto, però, cari recruiter, che se dovessi capitarvi a taglio sul serio cercherò di essere decisamente più sintetica di così.
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