Spingo lo sguardo il più lontano possibile.
Le luci della città appena dopo il tramonto sembrano stelle che tremano emozionate e silenziose. Vedo il profilo morbido delle colline di Napoli appena sopra le linee dure degli edifici più vicini.
Sono le nove di sera e c’è poca gente per strada. Affaccio sopra un incrocio e mi perdo ad osservare le auto di chi si sta ritirando per ultimo a casa. Sfilano tranquille una per volta e spariscono alla vista come ballerine che piroettano verso il retro del palco dopo lo spettacolo. Un motorino risale la strada in controsenso, poche persone passeggiano tranquille. Non c’è luce, ma non è nemmeno buio. Il cielo è di tanti blu diversi e a me sembrano a modo loro caldi, pacifici, accoglienti. La Luna sorride come una regina sopra il Tutto. Decido che prima di rientrare in casa voglio aspettare che passi una macchina verde e una persona vestita di rosso. Così, a caso. Scorgo Minerva che si è rifugiata sotto la sedia, vuole esserci ma senza esporsi troppo. Frodo invece è vigile, dovesse mai passare una mosca o qualche altro insetto da catturare al volo. A modo suo quel momento sembra un’alba. Forse perché è venerdì, forse perché l’aria è piena di profumi e vorrei avere il nasino esperto dei miei gatti per registrarli tutti. Ho come la sensazione che tutto sia possibile. Si! Una signora con una camicia rosso scuro attraversa la strada tenendo per mano una bambina. Mi sento carica, sorrido alla Luna e a Minerva che nel frattempo si è avvicinata timida alla ringhiera per spiare di sotto. Tengo gli occhi aperti anche io. La maggior parte delle auto sono grigie o nere. Qualcuna bianca. Seguo con lo sguardo quella appena sbucata da dietro la curva. Quello sembra, può essere… beh sarebbe scuro, ma l’Universo ha ragione, mica sono stata specifica sulla tonalità. È verde! Esulto per la vittoria al mio piccolo gioco. Mi sento come se non fossi più solo una spettatrice. Quello che è fuori è dentro e quello che è dentro è fuori. Rientro nel salotto di casa soddisfatta. Ho un brivido quando mi rendo conto che ciò che ho visto davvero, prima, era me.
luna
ComeDiari #20: Resistenza

Nina tiene la testa sulle mani, le braccia poggiate sul banchetto. Gli occhi spalancati nel buio come quelli di un gatto in allerta. Non deve farsi scoprire. Gli altri bambini sono cascati come pere cotte. Le maestre si muovono silenziose ma solerti da un banchetto all’altro a zittire e controllare. Poco fa hanno abbassato le persiane dell’aula, momento che sancisce l’inizio dell’ora di riposo. Tre o quattro bimbi si ribellano platealmente, piangono e fanno i capricci. Le maestre a loro danno le brandine. Questa cosa Nina non la capisce, fanno i cattivi e però stanno più comodi. Quattrocentoventidue, quattrocentoventitre, quattrocentoventiquattro… Nina li osserva di traverso. Neanche a lei va di dormire a comando, ma non fa tutte queste storie. I capricci sono cose da bambini. Poi vuoi mettere il disonore di essere ripresa dalle maestre. Un paio di assegnati alle brandine sembrano addormentati. Quattrocentocinquantasette, quattrocentocinquantotto… Nina è ancora sveglia e sottilmente soddisfatta, nessuno se ne è accorto. L’unico problema è che si annoia da morire, allora conta nella testa, ecco una buona occupazione: trovare il numero più grande di tutti, quello a cui non è mai ancora riuscita a pensare.
Nina si aggrappa alla ringhiera del balcone e fissa lo spicchio di Luna crescente nel cielo. Sente il naso che freme, gli occhi che si gonfiano. Un pensiero la trafigge irrazionale e crudo, chissà se c’è qualcosa dentro di lei che somigli a quella luce a forma di sorriso, che sappia elevarsi, ingrandirsi, crescere e splendere. Cambia posizione poggiando solo i gomiti sul ferro e tenendo le mani come ad abbracciarsi. Ha paura di essere diventata arida, fredda, calcolatrice, una brutta persona. Di aver resistito in silenzio per troppo tempo, di aver sviluppato sensi paralleli che le consentono di saltare da una difficoltà all’altra, riuscire a soddisfare i suoi bisogni ma tenendosi sempre ben nascosta dietro la sua gigantografia che sorride a tutti. Teme di aver costruito la sua vita tutta in cunicoli e stanze segrete al riparo dagli occhi degli altri, per esprimere la sua libertà dove nessuno può giudicarla. Le lacrime le fanno sembrare quella luce ancora più nitida e luminosa, che la tristezza è necessaria tanto quanto la gioia. Avrebbe dovuto urlare, ribellarsi e non cercare di far felice nessuno. Doveva diventare capace di tirarsi addosso facce deluse invece dei sorrisi che ogni volta la costringevano a impacchettare altro da portare nel suo mondo segreto. Nina ricorda la sua vita come un’avventura fantastica che si è svolta dietro una televisione spenta, gli unici spettatori sono quelli che erano lì dietro con lei e si contano sulle dita di una mano.
Non appartengo a nessuno e a nessun posto, si ripete, quel pensiero la inorgoglisce di solito, ma questa sera la frantuma in mille pezzi perché sente forte che nessuno la conosce davvero. Un vento passa ad asciugarle il viso. Nina si accuccia con la testa in quell’abbraccio, inizia a calmarsi e a respirare. Forse può ancora salvarsi e fermare quel buio che sente la sta ingoiando, smettere di resistere, di nascondersi, smettere di cercare il numero più grande che esiste in silenzio.
Attraverso.

Con la testa poggiata sulla mano fisso la cella del foglio Excel come se li dentro ci fosse qualcosa di estremamente importante. Ne è solo una in mezzo a centinaia di altre, ma è così che la mente sceglie quei punti che in realtà sono dei portali aperti su tutti gli universi paralleli che coesistono nello stesso istante: a caso.
In genere accade con i muri. I muri sono i posti preferiti dalla regia che regna dietro i nostri occhi per i fermoimmagine. Di solito è meglio quando sono bianchi o di colore chiaro, ma vanno bene anche quelli con la carta da parati a fantasia, purché ci sia qualche linea morbida, tipo il bordo di un ghirigoro che di solito è perfetto per posarci lo sguardo a lungo. Niente pallini e figure geometriche che portano la mente su qualche tipo di ragionamento razionale. Lo scopo non è pensare, ma guardare attraverso quel punto e lasciare che appaiano immagini e sensazioni così, dal nulla.
Un po’ come ha fatto la Luna con le nuvole questa sera. Ero uscita sul balcone per buttare della plastica e alzando gli occhi ho avuto come un senso di vertigine, sembrava che la Luna si muovesse veloce. Ad un tratto si è impantanata in un gruppo di nuvole traslucide, la mente ha ritrovato i punti di riferimento e ovviamente ha rielaborato la situazione, erano state le nuvole a sovrapporsi allo spicchio luminoso che continuava a distinguersi nitidamente nonostante la loro presenza che in genere è oscurante. Stavo guardando la Luna attraverso le nuvole, o forse stavo fissando le nuvole e oltre riuscivo a scorgere la Luna.
Io non ci ho mai creduto a quella cosa dell’essere speciale che guarirà da ogni malattia solo perché qualcuno decide di prendersene cura, perché non funziona così. Alla fine qualcuno può sentire di non essere stato abbastanza speciale, qualcun altro di non aver dato abbastanza cure. Non si solleva una persona dai suoi sbalzi di umore, te li scansi se va bene, li prendi in pieno se va male e potendo gestire le onde gravitazionali al massimo si potrebbe viaggiare di più per tutta la vita, ma nulla impedirebbe di invecchiare.
Le persone non si lasciano attraversare dalla mente. Hanno spessori profondissimi, di materiali impenetrabili. Qualche volta puoi entrarci dentro, magari percorrere anche un bel tratto. Però non ci troverai mai la Luna dall’altro lato. In genere giri intorno alla loro superficie, mutevole. A volte trovi un po’ di punti comodi dove fermarti, incastrarti, fonderti. Perché forse siamo fatti per stare così, di fianco, di spalle o abbracciati e insieme fissare i muri e gli universi paralleli che si celano dietro di essi.
ComeDiari #19: Il tempo dimenticato

Ci sono alcune cose che scrivo solo per me. Perché non le ritengo adatte al blog, perché non avrebbero alcun senso nel filo del discorso che uno cerca di mantenere. A volte non le scrivo nemmeno e allora rimangono come pensieri ingabbiati che a tratti diventano feroci, altre volte apatici e rassegnati. Altre volte mi nascondo dietro le metafore perché la realtà mi sembra priva di magia, ma è come far prendere a quel che ho dentro solo un’ora d’aria senza liberarlo davvero.
Vorrei poter riuscire a dire che ho paura.
Vorrei poter riuscire a dire che non credo più in un sacco di cose. E che a volte il mondo mi sembra irrimediabilmente un pericolo continuo, che mi piacerebbe vivere da sola, non sentire il rumore dell’insoddisfazione e del malessere degli altri, perché non lo voglio, non l’ho chiesto, perché mi distoglie da me stessa a tal punto che ancora non so chi sono e cosa voglio.
Non credo nella politica, non credo nella democrazia, la religione è perfino più inutilmente complicata. Gli unici progressi che la società può fare sono quelli che in qualche modo generano soldi. Ho paura di essere in difetto con qualche stupida regola burocratica, ho paura di perdere quello per cui ho lavorato. Ho paura di dimenticare di essere stata brava e di meritare quello che ho ottenuto. Ho paura di dimenticare di essere stata brava e che posso esserlo di nuovo e non per piacere a qualcuno, ma perché lo sono e basta.
Vorrei star qui e prendere ogni trauma, ogni automatismo e raccontarlo, smontarlo e renderlo innocuo, impotente e fare le cose con consapevolezza, perché così voglio essere. Voglio sapere chi sono. Non voglio diventare qualcosa che non mi piace. Non voglio più sentirmi in colpa, rimandare la mia vita a quando i problemi spariranno, solo una settimana, solo un’altra ancora e alla fine non ricordavo nemmeno più come se ne era andato il tempo. Ho passato giorni a ricostruire gli ultimi anni guardando le foto sul cellulare, perché a me sembrava solo di essermi risvegliata senza memoria dopo un viaggio attraverso un buco nero.
Vorrei riuscire a raccontare del panico, quando qualcosa mi ha ricordato un momento orribile e all’improvviso non c’era più l’aria e non c’era più il futuro.
Vorrei poter parlare di me senza avere paura di sembrare sbagliata o di star facendo qualcosa di sbagliato.
Voglio ricominciare da quello in cui credo, dai i ritmi della natura che un fiore mi ha insegnato, da quelli della Luna e delle stagioni. Dal profumo di una torta o del pane caldo. Voglio uscire dal gioco umano di creare drammi e poi perdere il doppio del tempo per trovarne le soluzioni, che se ci pensate è follia. Il corpo ha una sua intelligenza, ma nessuno lo ascolta perché la mente ci distrae continuamente cercando il piacere. Vorrei ricordare tutto, tutto, perché il tempo vola ma solo perché abbiamo poca memoria e dimentichiamo la maggior parte dei giorni che ci lasciamo alle spalle. Il tempo non è perso, è dimenticato.
Tu pesante, io leggera.
Quando si dice che non bisogna vivere di aspettative, accettare il prossimo per quel che può dare e per il modo in cui lo fa, non giudicare qualcuno solo perché non ha detto e non ha agito come ti aspettavi, che poi anche un gesto inaspettato può renderti anche più felice di uno in cui invece speravi, io sono d’accordo.
Non sentirsi chiedere “E tu?” dopo che hai chiesto a qualcuno “Come stai?”, però, non è aspettativa. È puro e semplice interesse che per quanto cerchino di raccontartela, evidentemente, non c’è.
Sarebbe tutto normale e nemmeno starei qui a scriverne se non fosse per il fatto che, insomma, basterebbe ammetterlo e amici come prima. In fondo, tanto di guadagnato se in qualche modo ci si evita a vicenda di perdere ancora tempo.
Invece no. Quello o quella che non ha speso energie per articolare la semplice e banale domanda di rimando si innervosisce pure. Perché sei tu quella che si lamenta, che polemizza, a cui non sta mai bene niente e bla bla bla bla. Vuole pure avere ragione. Tu devi star lì e farti star bene il loro menefreghismo. Perché guai a te se insinui che si comportano non proprio bene.
E a me in tutto ciò è venuto in mente quel suono sottile, acuto e dolcissimo che viene fuori quando si passano le dita sui bicchieri di cristallo pieni d’acqua. Ho messo in loop questo video e mi sento già molto meglio. Perché, sapete una cosa?
La pesantezza tenetevela per voi. Io sto con chi mi sfiora la mente con uno sguardo, che non vende le proprie parole e non si nasconde nei labirinti del proprio ego, ostentandoti comunque sorrisi.
Per cui meglio se alzate gli occhi e vi mettete a guardare la luna, perché per il momento io vi mostro soltanto il dito.
ComeDiari #6 Legger(s)i Tra Le Nuvole
Bisogna arrendersi all’evidenza, dicevo. Solo che poi dipende da cosa vedono i tuoi occhi.
Cosa fai quando i sentimenti ritrovano la strada che avevi chiuso per rabbia?
Niente.
Li lasci passare.
Scorrono sulle guance.
Esplodono in coriandoli di parole.
Provvedi a rimetterle insieme in modo che formino un senso compiuto, almeno.
Ti senti un po’ felice quando capisci che osservate entrambi la stessa nuvola, anche se siete sotto due cieli diversi. Che la stessa luna la vedono tutti, una ce n’è e non appartiene a nessuno, neanche a quelli che si fregiano di averla rubata o di averne comprato un pezzo. Per le nuvole è diverso, quelle cambiano forma, muoiono e rinascono, viaggiano, piangono o, qualche volta, ti confortano. Tutti ne abbiamo, sono quelle con cui giochiamo di notte, quando non riusciamo a prender sonno e sulla luna già non c’è più posto. Quindi, diventa una questione di comprendere fino in fondo chi c’è davanti a te, di imparare a riconoscere le sue nuvole.
Magari non si riesce subito, o non si vuole, o non si può, o semplicemente non ne è il momento ancora.
Poi, però, non c’è niente di più evidente. Ed è così speciale che non si può descrivere.
Finalmente puoi arrenderti.
Puoi amare.
Puoi andare avanti.
picture by danielavolpari.blogspot.it
Can I Just Have One More MoonDance With You, My Love
Cu ‘A Capa Dinto ‘A Luna
Ogne semmana faccio ‘na schedina:
mm’ ‘a levo ‘a vocca chella ciento lire,
e corro quanno è ‘o sabbato a mmatina
‘o Totocalcio pe mm’ ‘a jì a ghiucà.
Cucciato quanno è ‘a notte, dinto ‘o lietto,
faccio castielle ‘e n’aria a centenare;
piglio ‘a schedina ‘a dinto ‘a culunnetta,
‘a voto, ‘a giro, e mm’ ‘a torn’ ‘a stipà.
Io campo bbuono tutta ‘na semmana,
sultanto ‘o llunerì stongo abbacchiato,
ma ‘o sabbato cu ‘a ciento lire mmano
io torno n’ata vota a gghi’ a ghiucà.
Nun piglio niente, ‘o ssaccio…e che mme mporta?
Io campo sulamente cu ‘a speranza.
Cu chi mm’ aggia piglià si chesta è ‘a sciorta,
chisto è ‘o destino mio…che nce aggia fa’?
‘A quanno aggio truvato stu sistema
io songo milionario tutto ll’anno.
‘A ggente mme po’ ddi’: – Ma tu si’ scemo?
Ma allora tu nun ghiuoche pe’ piglià? –
Si avesse già pigliato ‘e meliune
a st’ora ‘e mo starrie già disperato.
Invece io sto cu ‘a capa dinto ‘a luna,
tengo sempe ‘a speranza d’ ‘e ppiglià.[‘A Speranza – Antonio De Curtis]
*… What’s Your.. Dream? …*
*… Sulla Riva Del Mare Silente …*
Sulla riva del mare silente
si è levata la notte, e la luna
si fa largo attraverso le nubi,
e si sente sussurrare i flutti:
Quell’uomo, laggiù, certo è un pazzo,
o deve essere innamorato,
perché ha l’aria avvilita e contenta,
è contento ed è insieme avvilito?
E la luna guardandolo ride,
e con limpida voce dichiara:
Quello è innamorato ed è pazzo,
e per giunta è anche un poeta.
[Heinrich Heine]