
Poggio sulla cassa del negozio cinese i miei acquisti e sul plexiglass al centro tra me e la cassiera noto un foglio, c’è scritto che con qualsiasi acquisto, aggiungendo un euro, è possibile comprare un pop-it.
Penso e ripenso, pop-it. Non mi dice nulla.
Chiedo. La cassiera mi dice che sono quei cosi che vanno tanto di moda tra i bambini, che si schiacciano con le dita, sono antistress. Mi mostra lo scaffale dove sono esposti. Hanno varie forme e l’interno della sagoma è fatto di semi-sfere morbide che si possono premere in modo che si rivoltino dall’altro lato. Una volta premute tutte si ricomincia girando la sagoma. Ne scelgo uno con delle orecchie, non ho capito se è un gatto o un unicorno. Lo aggiungo al conto e lo porto a casa. Mi siedo sul divano e lo esamino. La mia gattina annusa, decide che non le piace e se ne va. Mi accorgo che effettivamente le sfere fanno pop quando le premo. Le schiaccio tutte velocemente. Poi lentamente. Le premo in ordine, a caso, per colore. Ammetto che fanno smettere di pensare, ma la soddisfazione, oltre al suono che attrae le orecchie, è poter ricominciare a schiacciarle tutte daccapo in fretta. Cerco su Google qualche notizia in merito. Sembra siano stati inventati per migliorare la psicomotricità nei bambini, aiutare nei deficit di attenzione e poi sono diventati un giochino antistress.
Un pop alla volta resta alla vista il paesaggio desolato del lato concavo delle semisfere. Per qualche istante mi perdo ad immaginare che ognuna di esse sia qualcuno che non è più dal mio lato. Pop. Pop. Andato, lui. Lei. Andati, loro. Avevo letto una cosa interessante che riguardava la famosa domanda che in genere ci si fa, perché tutti se ne vanno? Ecco. Sembra che il punto non sia questo, non sia il perché le persone decidano o finiscano inesorabilmente fuori dalle nostre vite, quanto il fatto che in qualche modo, inconsciamente, dietro quella domanda, si nasconde il pensiero che lì dove vanno, lontano da noi, sia tutto fantastico. La loro vita ci appare perfetta, mentre la nostra privata ancora una volta di qualcuno che ci faceva stare bene. La nostra realtà finisce per somigliare ad un campo di terra dalla quale sembra siano stati estirpati alberi e arbusti lasciando buche qua e là. La realtà degli altri ci appare invece come un giardino bellissimo pieno di specie di piante rare. Insomma, immaginiamo che l’altro lato sia molto migliore del nostro, con tanto di giustificazioni plausibili che nella nostra testa hanno messo radici da secoli, da quando qualcuno pensando di far bene ci ha insegnato che se fossimo stati abbastanza bravi allora avremo ricevuto amore, affetto e attenzioni.
Perciò quell’allontanamento sarebbe colpa nostra. Mi accorgo che mi sto accanendo sulle semisfere di silicone colorate. Le premo a due, tre alla volta, a due mani, rivolto la sagoma, ricomincio. Giro di fretta dall’altro lato quasi a voler sorprenderlo mentre lì accade qualcosa di bellissimo e invece l’altro lato non è mai quello che penso. Non è la vita stupenda di qualcun altro. E’ mio. Un altro lato mio, di nuovo pieno, da usare, toccare, vivere. Quel che è andato via è il suono, disperso nell’aria, durato frammenti di secondi, il pop.