Venerdì sera.

Spingo lo sguardo il più lontano possibile.
Le luci della città appena dopo il tramonto sembrano stelle che tremano emozionate e silenziose. Vedo il profilo morbido delle colline di Napoli appena sopra le linee dure degli edifici più vicini.
Sono le nove di sera e c’è poca gente per strada. Affaccio sopra un incrocio e mi perdo ad osservare le auto di chi si sta ritirando per ultimo a casa. Sfilano tranquille una per volta e spariscono alla vista come ballerine che piroettano verso il retro del palco dopo lo spettacolo. Un motorino risale la strada in controsenso, poche persone passeggiano tranquille. Non c’è luce, ma non è nemmeno buio. Il cielo è di tanti blu diversi e a me sembrano a modo loro caldi, pacifici, accoglienti. La Luna sorride come una regina sopra il Tutto. Decido che prima di rientrare in casa voglio aspettare che passi una macchina verde e una persona vestita di rosso. Così, a caso. Scorgo Minerva che si è rifugiata sotto la sedia, vuole esserci ma senza esporsi troppo. Frodo invece è vigile, dovesse mai passare una mosca o qualche altro insetto da catturare al volo. A modo suo quel momento sembra un’alba. Forse perché è venerdì, forse perché l’aria è piena di profumi e vorrei avere il nasino esperto dei miei gatti per registrarli tutti. Ho come la sensazione che tutto sia possibile. Si! Una signora con una camicia rosso scuro attraversa la strada tenendo per mano una bambina. Mi sento carica, sorrido alla Luna e a Minerva che nel frattempo si è avvicinata timida alla ringhiera per spiare di sotto. Tengo gli occhi aperti anche io. La maggior parte delle auto sono grigie o nere. Qualcuna bianca. Seguo con lo sguardo quella appena sbucata da dietro la curva. Quello sembra, può essere… beh sarebbe scuro, ma l’Universo ha ragione, mica sono stata specifica sulla tonalità. È verde! Esulto per la vittoria al mio piccolo gioco. Mi sento come se non fossi più solo una spettatrice. Quello che è fuori è dentro e quello che è dentro è fuori. Rientro nel salotto di casa soddisfatta. Ho un brivido quando mi rendo conto che ciò che ho visto davvero, prima, era me.

La notte della zucca

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Tolgo il coperchio alla zucca e poggio la piccola candela da thè bianca al suo interno. Prendo uno stecchino lungo e trasferisco allo stoppino il fuoco di un accendino. Chiudo il coperchio e osservo l’intaglio del volto di un Jack Skellington illuminato che spero faccia paura alle mie paure stasera. Lo sistemo sul mobile sul balcone rivolto alle strade deserte e sento di agguantare quella minima stilla di magia che ha resistito ai casini di questa settimana. Devo guardare parecchi balconi più in là della palazzina di fronte prima di trovare un bagliore arancione che sembra un’altra zucca accesa. Il mio Jack quest’anno ha un po’ di compagnia.

Avrei voluto poter prendere decisioni difficili immersa però nella massa fluida delle piccole certezze che si chiamano presenza, indipendenza, serenità e sostegno di cui in genere sono composte le famiglie. Invece qualche giorno fa il mondo mi è sembrato essere di nuovo quel castello di carte senza legami tra le cose, che può crollare nei modi più disparati ma spaventosamente semplici, tanto da non sentirsi più al sicuro nemmeno nella propria mente. Ci sono momenti in cui le mie certezze, quelle che ho costruito a fatica, mi sembra che siano bugie. Così come sembrano mentire i colori dei fiori a cui piace sbocciare proprio mentre le foglie cadono e mi viene il dubbio che siano loro ad approfittare del vento per lasciarsi andare, invece di subirlo e basta. Allora mi chiedo se il vento nella testa non serva a far cadere i pensieri ingialliti, se forse è il caso di approfittarne per buttarli giù e ricominciare daccapo.

Avrei voluto che i miei genitori mi avessero mostrato come si invecchia. Quando domattina porterò la mia zucca di nuovo in casa avrà delle rughe nei tagli che ho fatto. Avrà fatto il suo lavoro, così come ci si aspetta da qualcosa o qualcuno che vorremmo ci proteggesse a volte anche da noi stessi. Invece per una sola notte all’anno mi sento al sicuro, mentre una fiammella sfida per me il buio, il freddo e la nebbia della notte di Halloween.

La Notte di Halloween

“E dai lo sai che ti amo”
Stavolta digito in fretta.
“Dici davvero?”
Il telefono resta muto in un tempo sospeso che ormai mi è familiare. Un giorno di questi farò finire tutto questo, penso. La fiamma della candela che abita nella zucca ha un guizzo. Hai ragione. Lo dico e non lo faccio. Tanto s’è capito, spetta a me uccidere questa speranza. Ogni volta questo pensiero abbassa di un tono tutti i colori del mondo, anche se adesso il Sole sta lanciando l’ultimo raggio, il più rosso di tutti prima di sparire nella notte. Ne approfitto per posizionare la zucca sul balcone, cerco un punto che la renda visibile dalla strada. Butto uno sguardo sugli altri balconi e sembra che neanche quest’anno ce ne siano altre. Insomma perché nessuno sente questa magia? La fine dell’estate, la Natura che si addormenta e quel confine che si assottiglia tra questo mondo e l’altro. Come ogni anno mi chiedo come sia festeggiare davvero Halloween, ma alla fine mi limito a lanciare uno sguardo implorante alla mia zucca. Per una volta vorrei davvero provare la magia. Mi stringo nel cardigan, l’umidità diventa troppa per me. Rientro in casa e vado in camera mia. Ho lasciato il PC acceso. Mi siedo alla scrivania per spegnerlo, ma mi fermo a valutare se magari può servirmi per mettere su qualche film di Tim Burton. Percorro con lo sguardo la sagoma nera delle montagne che si staglia su un cielo notturno pieno di stelle d’argento che occupa la maggior parte dello schermo. Il telefono vibra.
“Cercami al confine”.
Il numero non lo conosco. Leggo il messaggio più volte. Cercami… al confine. Confine? Quale confine? E poi chi dovrei cercare? Lui è in linea. Sarà una di quelle frasi che butta lì senza un prima e soprattutto senza un dopo solo allo scopo di suscitare in me una reazione qualsiasi. Si ma perché avrebbe dovuto scrivermi da un altro numero? Ma no, sarebbe troppo un rebus. Di sicuro qualcuno ha sbagliato numero. Torno sulla linea netta che definisce la morfologia delle montagne sul mio PC. Mentre lavoro alle volte provo ad immaginare cosa ci sia oltre. L’idea che ha sempre la meglio sulle altre è che proteggano un paesino, totalmente nascosto dalla loro maestosità. Sento di nuovo vibrare.
“L’hai toccato con gli occhi, sfiorato con la mente. Adesso sono qui, ti aspetto”
Io ho toccato… Cosa? Adesso basta però.
“Scusa, hai sbagliato numero.” Invio. Ecco qua. Lascio di nuovo il PC ad aspettarmi e vado a dare uno sguardo alla zucca. Quante volte mi è capitato di trovarla spenta per una folata di vento improvvisa. Ormai si è fatto buio e caspita, l’umidità è diventata una nebbiolina bassa che offusca la luce dei lampioni in strada. Da queste parti se ne vede solo in inverno già inoltrato. Sorrido, in fondo la nebbia ad Halloween è come la neve alla Vigilia di Natale. La zucca è ben illuminata. Il cielo oltre i palazzi di fronte è sereno e ci sono un mucchio di stelle, più del solito.
“Dai che lo sai chi sono. Smettila di far finta di nulla. Hai fatto una domanda e io qui ho la risposta”
Mi passo tra le mani il telefono come se scottasse. Lui è offline. Ha deciso di farmi definitivamente impazzire? Può essere? L’unica domanda che ho fatto… Insomma, si, ma… Non ha senso. Perché non mi scrive dal suo numero? Ha il telefono scarico? Rileggo i messaggi precedenti. Un confine… Che avrei toccato, immaginato. Beh, nella nostra storia c’è molto di immaginato, su questo non c’è dubbio. Suona il campanello. Sussulto. Arrivo alla porta in punta di piedi e guardo nello spioncino. Ci sono una strega e un vampiro in miniatura. Che stupida, ma dai sono i soliti bambini. Qui nessuno festeggia però i cioccolatini gratis vengono a prenderseli.
-Che belli i vostri costumi! Da dove venite bimbi?
-Da un paesino, lì più avanti dopo le montagne.- Metto un po’ di cioccolatini nelle loro bustine.
-Ah ah. Si… Le montagne. Forse intendet… – non finisco la frase che sono giù di corsa per le scale verso altri appartamenti. Chiudo la porta e faccio un respiro profondo. Che stavo facendo? Ah si, i messaggi. Anche volendo stare al gioco non capisco di che parla. Sono finiti i tempi delle mille congetture, del rimurginare. Basta. Decido che non farò proprio niente a riguardo. Torno al PC, vada per il film. Clicco subito sull’icona di Netflix, non so perché ma voglio coprire in fretta quelle montagne. Inizio ad inserire qualche parola chiave nella barra di ricerca e scorro i risultati. Il telefono vibra ancora.
“Mi ignori, ma sei tu che hai iniziato. C’era qualcosa che volevi stasera. Se ti sbrighi sei ancora in tempo. La notte è appena iniziata”
Fisso quelle parole per qualche minuto. Le domande smettono di affollare la mia mente. Se desideri una cosa poi devi anche riconoscerla quando ce l’hai davanti. E non sempre ci riusciamo. Il cielo, le stelle. I bambini. Devono essere ancora in giro. Forse se mi sbrigo… Infilo gli stivaletti e mi avvolgo in una sciarpa. Metto il telefono in tasca e scendo. La nebbia confonde i dintorni del mio palazzo già dopo il portico appena fuori il portone di ingresso. Distinguo delle figure che corrono dall’altro lato della strada, il movimento accompagnato da risate di bambini. Non ci vedo molto ma cerco di seguirli.
“Eccoti finalmente”.

Futuro di Settembre

picture by yaoyao

Questo è stato uno di quei giorni strani nei quali accade che decido di non sbrigare una commissione e restare più tempo a letto del previsto per un consiglio ricevuto in sogno e poche ore dopo cerco di dimostrare all’azienda X che insomma le mie capacità decisionali, le mie attitudini al problem solving e alla precisione e la mia voglia di affrontare draghi, burroni profondissimi e cavalieri senza macchia sotto stress e senza aiuto alcuno siano esattamente quelle che loro auspicano che io abbia.

Se fossi davvero una brava Manager almeno di me stessa adesso sarei a letto a ricaricare le energie che mi serviranno domani. Invece sono qui perché all’ultimo minuto mi è venuta voglia di scrivere.

Più di tutto ho pensato che fosse assolutamente necessario appuntarmi la sensazione che ho provato quando ho tirato fuori dalla busta della spesa il fascio di prezzemolo e basilico che il fruttivendolo mi aveva regalato. Ha riempito l’aria di un profumo familiare, intenso e così verde.

E poi ho pensato che in fondo è soprattutto merito dell’aria, che è quella di Settembre, che ci restituisce gli odori, perché è fresca e aperta e libera e non soffoca la pelle e i pensieri. Poi torneranno i colori degli alberi e dopo ancora i riflessi delle luci delle auto nel traffico sull’asfalto bagnato di pioggia.

E mi sento come se di nuovo avessi quella specie di pass per entrare dietro le quinte del tempo, con le impalcature che reggono le facciate dei giorni, alcune in lontananza ancora abbozzate, altre più vicine ormai quasi complete, con mucchi di persone al lavoro e una tizia strana con degli auricolari e dei fogli di carta tra le mani che si muove più veloce degli altri da una impalcatura all’altra. Si costruisce, si pianifica e ci si da’ appuntamento per l’indomani senza sperare che la notte non finisca mai.

E’ la cosa più simile al futuro che abbia percepito da non so quanto tempo.

ComeDiari #18: Chilometri di tempo.

Non ricordo il giorno in cui l’ho deciso. Anzi, in realtà non è stata una decisione presa in un giorno soltanto, quindi ricordarlo sarebbe un esercizio inutile della memoria. E’ stato un po’ come quando sei in ritardo alla stazione, il treno è già fermo alla banchina e le porte stanno per chiudersi da un momento all’altro. Allora ti avvicini alla prima, che è l’ultima del convoglio, pronta per salire su. Poi pensi che se affretti il passo forse riesci a raggiungere la porta successiva con il vantaggio di evitare la folla che si è creata in fondo al treno. Arrivi alla penultima porta, ma di nuovo ti stuzzica l’idea che correndo un po’ ce la fai a salire sulla carrozza centrale dove aumentano le probabilità di trovare un posto a sedere. E così via, corri di porta in porta, finché il fischio del capotreno ti ricorda che devi prendere una decisione e salire.

Mi sono ritrovata a correre sulla linea del tempo, di giorno in giorno, senza fermarmi. Non è da me e sinceramente non credevo nemmeno di avere tutto questo fiato. Far mente locale per rendersi conto di quanto fiato sia rimasto nei polmoni è una cosa che di solito fa chi ha deciso da subito quanto lontano vuole andare. Insomma, lo fa chi ha una destinazione. E’ la differenza tra chi viaggia e chi invece scappa e io non avevo idea di dove sarei voluta arrivare.

Ho sempre trovato che la fuga sia un’alternativa tra le peggiori. Sono una che resta fino alla fine, il che però forse dipende più dal fatto che faccio fatica a riconoscerne una e questo è il motivo per cui il mio inconscio ce l’ha a morte con me e mi mette i bastoni tra le ruote in continuazione.

Giorno dopo giorno mi sono accorta di aver messo una distanza tra me e quella brutta sensazione. Una distanza temporale. Quella vera, fisica, c’era già e l’avevo già invano combattuta. Io non mi accorgo nemmeno di quando qualcosa mi ferisce nel profondo. Se me ne accorgo in genere ci metto tempo, altrimenti uso quei cieli neri per appenderci le stelle come più mi piace. Ieri ho fissato un punto azzurro sopra i palazzi della mia città e mi è preso un colpo quando mi sono resa conto che da quel punto l’Universo mi osserva una volta ogni ventiquattro ore e che quindi non è fisso, altroché, il cielo è l’inganno più riuscito della Natura.

La sensazione era ed è ancora che non sarebbe mai cambiato niente.

Sarei rimasta invisibile e incastrata in un eterno eccitante inizio a cui non seguiva niente. Avrei continuato a sperare di vedere, toccare, sentire quella persona così come si era presentata all’inizio. Mi ero ritrovata ad inseguire parole e gesti che esprimevano desideri e sentimenti per me, a dipendere da quelle brevi e intense felicità, intervallate da silenzi lunghissimi, incomprensibili, dolorosi. Mi dicevo ogni volta che forse non avevo usato le parole giuste, che dovevo amarlo meglio. Insomma, che era colpa mia se di nuovo se ne era andato.

Avevo arredato così bene quel cielo che quando sentivo la sua mancanza mi bastava guardare le stelle per sentirmi vicina a lui. Le ripassavo una ad una con lo sguardo, l’avrò fatto decine e decine di volte. Ogni tanto di notte mi capita di risentire la magia che pensavo ci unisse, che lui diceva ci unisse.

Quando mi sveglio però tutte le sensazioni implodono nel petto schiacciate dall’evidenza dell’esperienza. E fa male.

Quando la quarantena ci ha rinchiusi tutti ognuno nella propria tana ho potuto notare che la sua non faceva poi così schifo come raccontava. E la differenza tra ciò che è e ciò che pensavo che fosse si è fatta così evidente che non sono riuscita a fermarmi più. La dissonanza aveva un’unica spiegazione, quel che dice non coincide con quel che è. Lui non esiste. Ho corso ancora e cercando di non guardarmi indietro. In fondo sarebbe stato contro natura restare ancora a lungo immobile nel suo cielo.

Punti di riferimento

stelle cadenti desideri san lorenzo

Una volta lessi da qualche parte, a proposito delle stelle cadenti, che se una stella sta “cadendo” forse quello non è esattamente il momento migliore per chiederle qualcosa. Questa considerazione mi colpì talmente tanto che subito la feci mia, che di stelle cadenti e desideri non ci ho mai capito granché.

Non conosco bene le usanze e le leggende che si raccontano riguardo le stelle cadenti, ma ricordo che forse solo una o due volte in vita mia devo aver rivolto il naso all’insù alla ricerca di un qualsiasi tipo di corpo celeste inciampato in qualche piega del cielo e solo per l’evento astronomico in sé che effettivamente è molto affascinante.

Insomma mi è venuto un dubbio e da esso delle domande.

Tipo, quanto possa far piacere ad una stella essere additata e fotografata in un momento del genere. Magari, che ne so, le farebbe piacere avere un po’ di privacy.  Al massimo ricevere un saluto veloce, un cenno con la mano, un sorriso, al posto dei migliaia di frammenti di voci senza suono dei pensieri dei suoi fortunati osservatori.

Ce lo vedo, quel desiderio. Spaventato e grondante di sudore mentre cerca di restare aggrappato alla coda della stella verso la quale è stato espresso. Tiene gli occhi fissi e spalancati davanti a sé sul buio che il suo matto mezzo di trasporto sta per squarciare, mentre cerca di schivare frammenti e polveri incandescenti che continuano a staccarsi dalla stella che così si consuma, nel suo viaggio a contatto con l’atmosfera.

Il desiderio va nel panico a furia di chiedersi cavolo ci faccio qui? E dove diavolo finirò quando questa cosa qui si sarà distrutta del tutto? Quasi rimpiange l’odore pungente e caldo del legno del cassetto nel quale è rimasto chiuso tutta la vita.

Non sono del tutto sicura che una stella cadente sia il posto giusto per un mio desiderio. Sono tempi difficili e per un desiderio quello può essere un viaggio anche troppo stressante. Originale, avventuroso, ma stressante. Potrebbe preoccuparsi di atterrare e non di avverarsi, sano e salvo.

Tempi difficili, dicevo.

Un’ipotesi si fa largo tra i miei vagheggiamenti.

E se avessimo frainteso tutto? Le leggende, le storie, dico.

Magari gli antichi hanno messo in mezzo questa cosa dei desideri espressi durante le notti attraversate dalle stelle cadenti proprio per il motivo opposto. Forse l’intento era quello di rimettere i desideri al loro posto, incastonati nel blu della notte, nel caso una stella cadente li avesse per sbaglio tirati giù da lì nella sua folle e velocissima corsa iniziata da qualche parte nell’Universo.

In fondo i segreti non si raccontano alla prima stella che passa. E i punti di riferimento diventano sempre più rari. L’idea che un desiderio mi osservi e mi guidi dall’alto qualsiasi cazzata io stia per fare mi piace molto di più.

Altrimenti, il desiderio dalla regia annuisce, molto meglio il cassetto.

 

Hell.O

La mente crea. Voi siete gli artefici della vostra condizione: passata, presente e futura. La felicità o la sofferenza, dipendono dalla mente, dalla vostra interpretazione, non dipendono dagli altri, da cause esteriori o da esseri superiori. Ogni problema e ogni soddisfazione è creato da voi, dalla vostra mente.
[Buddha]

Tenevo gli occhi chiusi. Dopo un po’ sono diventati anche umidi. Ci sono cose che lì, dietro le mie palpebre, fluttuano in forme instabili finché non finiscono per somigliare a fobie. Cose che per tante persone sono normali. Semplici e pure preferibili. Per me no e mi chiedo se e quando lo saranno. Magari fanno somigliare anche me ad una forma fluttuante ed instabile.

Ho riaperto gli occhi, ho letto quella citazione. Mi sono guardata le mani e, no, i contorni erano ben definiti. Nessuna sfocatura, nessun segno di evanescenza. Ci sono cose che vanno bene così come sono anche se sono a modo mio.

La Notte Della Zucca

Scese la sera e il vento prese ad insinuarsi nei vuoti della sua anima dannata. 

Soltanto la sua ombra sembrava davvero viva, danzante sul pavimento di pietra, freddo, come lo era il vento e il suo cuore.

Cuore di fiamma fredda.

Sentì il nulla invaderla, le fischiava tra gli intagli come il doloroso suono della sua condanna.

Festeggiava la dipartita della luce, tenendo lontano il calore imputridito di chi una volta fu, per accogliere il buio assordante della notte.

 

 

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Foto personale 31 ottobre 2015 – Lo so, il minion non è poi così terrificante.