G. passa le mani tra i capelli corti castani con disperazione. Dietro di lui le auto ferme oltre il marciapiede ripartono agli ordini del semaforo. Non c’è nulla peggio di un flusso di cose, persone, che scorre come se nulla fosse mentre sei incagliato in una decisione difficile. I colleghi intorno a lui sorridono e scuotono la testa. Sei fregato G. gli ripetono. Lui rilancia. Siete sicuri? Questa cosa del galateo… Dice tre mensilità? M. annuisce, Si, ho sentito così. Almeno tre. G. prende il cellulare e mostra a tutti immagini di anelli con brillanti su tutta la circonferenza. Ha detto che lo vuole così. Gli altri ridono e rilanciano, gli dicono che non è fregato, ma di più. Pare che lei abbia dato suggerimenti molto precisi anche sul modello. Non ha scelta. Io sorrido guardando tutti. C’è F. che è sposato da qualche anno, lui se la ride sotto ai baffi. Racconta che lui per l’anello di fidanzamento non ha speso più di trecento euro. E questo è niente G. E’ solo l’inizio. La tua vita è finita, lo sai?
G. sta sudando. R. è al telefono con la sua ragazza per un resoconto dettagliato della sua giornata fino al caffé dopo pranzo, lì fuori al bar. M. ride ma ha lo sguardo basso, F. se ne accorge e lo pungola. E tu quando ti decidi? M. alza le mani, scuote la testa, non è assolutamente in programma alcuna proposta di alcunché.
Poi ad un tratto tutti mi guardano e mi rendo conto di essere l’unica donna del gruppetto. F. è il più rapido a chiedermi cosa ne penso. A braccia conserte alzo le spalle e dico che secondo me ci sono modi migliori di spendere tremila euro. Ricevo plausi e sguardi di approvazione. Ma si ragazzi, che so, un viaggio, una cosa così. G. mi guarda con la coda dell’occhio. Cerco di aggirare la questione ma non credo di riuscirci. A lei piacciono i gioielli in genere, ne capisce? Immagino, ti ha fatto una richiesta così specifica…
G. risponde che no, non è così. Lei è solo tradizionalista. Quella parola piomba come un macigno sui sorrisi e noto tutta la disapprovazione con cui lui stesso lo afferma. Tradizione significa che se lui spende moltissimi soldi allora dimostra di tenerci davvero. Come se facesse un investimento che in qualche modo garantirebbe a lei la sua fedeltà. Io non riesco ad aggiungere nulla. Vorrei tanto chiedergli perché vuole sposarla. Perché vuole una donna che si fiderà di lui soltanto dopo aver visto brillare le sue promesse intorno al dito, pur sapendo che non può permetterselo o forse proprio sapendo che per lui sarà un bel sacrificio spendere tanti soldi. F. chiede se la porterà fuori un weekend per farle la proposta. G. sbarra gli occhi tu sei pazzo, una cena andrà più che bene. Mi inserisco di nuovo nel discorso, proponendo che potrebbe risparmiare sull’anello ma organizzare una proposta fuori porta e far rientrare tutto nel budget. G. scuote la testa. Il dove non è una buona ragione per investire di meno nel gioiello. Mi sbilancio e dico che secondo me non esistono buone ragioni nemmeno per sposarsi, ecco. Quelli sposati annuiscono e io rabbrividisco. Avrei preferito mi contrastassero in qualche modo esponendo motivazioni a favore delle loro scelte. Invece no. Le ombre apparse sui visi di tutti mi spaventano. Il gruppetto si scioglie pian piano sulla strada per tornare in ufficio e ripenso alle parole di Galimberti in cui mi sono imbattuta qualche tempo fa. Diceva una cosa dissacrante e intelligente riguardo al fatto che non dovrebbero rendere semplice divorziare, ma fare in modo che sposarsi sia estremamente difficile. A livello economico sarebbe un danno, ne soffrirebbero interi settori che si occupano di tutto ciò che occorre a celebrare un matrimonio. E anche a scioglierli. Non riuscirei nemmeno a pensare a dei criteri oggettivi per “ammettere” una coppia al matrimonio oppure no. Eppure quante persone lo fanno per il motivo sbagliato? Quanti si condannano ad essere infelici, a vivere una vita diversa da quella che desiderano davvero? Mi sfiora l’idea che in qualche modo alcuni non saprebbero sentirsi soddisfatti nemmeno a star da soli, vivendo passivamente quelle che sembrano tappe obbligate della vita e senza mai essersi posti una vera domanda riguardo i propri desideri. Il sole dei primi giorni di Ottobre è ancora abbastanza caldo a quest’ora negli spazi aperti tra un grattacielo e l’altro. G. parla più fitto con M. che aveva tirato fuori la storia del galateo. Io rifletto tra me e me, forse le buone ragioni si riducono a quelle legali di tutela e assistenza. Quelle che hanno portato all’istituzione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso. Mi osservo con la coda dell’occhio in una porta a specchio e mi metto a fantasticare su cosa ci farei io con tre mensilità come regalo.
scelte
La sicurezza qui non prende, non c’è rete.

Non importa quante giornate trascorro combinandole quasi tutte giuste. Prima o poi inevitabilmente arriva quella in cui spingo una porta su cui c’è scritto Tirare. Magari una porta che ho già aperto decine di volte. E poi la giornata durante la quale faccio scivolare a terra la padella con la granella di pistacchi appena tostati dopo che ho impiegato una vita a tritarli e qualche ora più tardi la ciotola con le patatine poggiata sul bracciolo del divano, come se l’Universo volesse mostrarmi che sì, è possibile fare lo stesso errore due volte e perfino a poche ore di distanza.
In questo periodo faccio tante ricerche sul Taoismo, sulla psicologia. La differenza tra Anima ed Ego, il controllo delle emozioni negative, meditazioni varie ed eventuali. Credo di aver bisogno di sicurezza, di quella però che si trova dentro di me da qualche parte nascosta dietro la mia imbranataggine e la paura che qualcosa sfugga al mio controllo e la rabbia che certe persone riescono a farmi provare. Ho imparato che la libertà deriva dall’Amore, mentre tristezza, rabbia e paura ci illudono, sembra che stiano lì per liberarci e difenderci da un dolore o da un sopruso, ma in realtà ci dominano e ci tengono sotto scacco.
Ho capito, Universo, il periodo di dotazione della rete di sicurezza è finito. Non è un abbonamento Amazon Prime che si rinnova ogni anno e la cui scadenza si posticipa di un mese ogni volta che sei vittima di un disservizio nella spedizione. Se dovessi contare i tuoi di disservizi caro Universo i mesi gratis dovrebbero bastarmi per tutta la vita.
E le decisioni vanno prese così. Senza rete. Devo dire che la scena che riguardava le mie scelte importanti non me la immaginavo così. Insomma senza rete e per di più alle volte ostaggio di una sorta di turbine, corredato da qualche foglia ingiallita rimasta incastrata qua e là durante il percorso, al quale l’unico modo per sfuggire senza farsi male è lasciarcisi andare, farsi trasportare per poi atterrare con i capelli in disordine in un altro punto dello spazio e del tempo della tua storia. E sta sempre a te dopo se ringraziarlo o arrabbiarti a morte.
Forse è una prova generale del salto nel vuoto, quello tra le alternative tra cui prima o poi devi scegliere, per non diventare l’oggetto di una decisione di qualcun’altro.
E con il rischio di fare la fine dei pistacchi.
Distorsione

Mentre parla cammina su e giù davanti alla finestra. Non riesco ad ascoltarla: ad ogni passo cadenzato e fintamente casuale le scarpe nere stridono sul finto parquet di ceramica. Devono essere nuove. I pantaloni che indossa sono di una taglia in meno a quella che serve, ma in compenso il maglioncino le cade morbido all’altezza dei fianchi. Ha tutta l’aria di esser diventata qualcosa di diverso prima che avesse il tempo di accorgersene.
In certi momenti tutto sembra darmi nausea. Mi fisso su dettagli inutili che mi fanno cortocircuito lungo la strada che dagli occhi porta al cervello. Alice continua a parlare. Mi chiedo se qualcun’altro in platea nota la distorsione nell’armonia che di solito è invisibile e intrecciata alle cose del mondo o sta davvero ascoltando il suo discorso.
Chissà se alla natura, all’Universo frega qualcosa delle nostre sensazioni. Il disagio e la rabbia assistono impotenti ogni volta che l’aria si ricompone dopo il passaggio di un tuono e mentre il suono si affievolisce disperdendosi disturbando ad ogni metro sempre un po’ meno il silenzio.
La distorsione un po’ alla volta si riassorbe e Alice diventa parte del momento e del contesto. E no, le sensazioni poi dobbiamo rimettercele a posto da soli. L’armonia ingloba, trasforma, cambia sagoma ai pezzi affinché tutto possa combaciare di nuovo. Opporsi significa condannarsi a ferirsi di continuo tra gli spigoli delle cose che prima erano in un modo e adesso non più.
Mi ritrovo che sto ascoltando Alice. Dopo l’impaccio iniziale la sua voce è diventata cadenzata e musicale e attira piacevolmente le mie orecchie. Deve averci lavorato parecchio su. Chissà quali spigoli l’hanno costretta a cambiare. Lo immagino e prometto a me stessa che le mie scelte saranno diverse. Sempre che ci si possa adattare e allo stesso tempo cercare di diventare la persona che si desidera essere.
Guestpost Estivo su Principesse Colorate: Priorità, Scelte, Sfide
Sopravvivere da studente o lavoratore all’estate è davvero una sfida. Chi come me si trova al centro di quel triangolo sa bene di cosa parlo.
Nel mio guestpost estivo su Principesse Colorate racconto come provo a fare del mio meglio per cavarmela, ma soprattutto mi chiedo se per forza bisogna sacrificare qualche aspetto della propria vita per star dietro a tutti gli altri.
La risposta è sì.
La bella notizia però è che forse non necessariamente questo è un male.
Qui il link: Studiare, dormire, socializzare. Il triangolo dello studente in mise estiva
I(n)spirare
Sicuramente esistono tanti altri modi di vivere. Spesso mi perdo ad osservarli nei gesti, nelle parole e nelle decisioni degli altri. Mi chiedo cos’è che li anima, cosa li spinge verso l’attimo successivo, cosa li fa sentire vivi.
Cosa li ispira.
In questo periodo mi sento come se volassi a vista, i comandi automatici dell’aereo sono tutti scassati e mi tocca regolare i parametri a mano, il che sarebbe pure divertente se non fosse per il fatto che avrei bisogno di concentrarmi su altro e posso solo immaginare come si possa star bene a qualche centinaia di metri più su, potendo osservare il mondo dall’alto, ma per davvero, con il cuore che sussulta ad ogni vuoto d’aria, come se fosse innamorato. Diciamo che non è tanto male in fondo, rispetto all’evenienza di dover affrontare un’altra avaria, però manca qualcosa.
L’ispirazione, appunto.
Uno spunto, un’idea folle, un amore, una scia di polvere luminosa che ti passa accanto chiedendoti di saltare a bordo senza pensarci troppo e senza osservarla con troppa attenzione perché finirebbe per spegnersi e depositarsi al suolo come tanta altra comunissima polvere. Mi son guardata indietro e mi sono resa conto che ho sempre viaggiato in avanti nel tempo così. Credo di non saperlo fare diversamente. Cerco un guizzo, un’idea sfuggita ad un incubo, una nuvola che attutisce i passi.
No, non la si può cercare, non consciamente. L’ispirazione capita. Si mette di traverso sulla tua strada all’improvviso e hai solo pochi istanti per decidere se seguirla o no e il punto non è tanto il come e il quando questo accade, ma è proprio la mancanza di voglia e di spirito da parte delle persone di prendere quello spunto e farlo proprio, metterlo negli ingranaggi della propria giornata e farlo funzionare. All’ispirazione non è che si può dire aspetta che c’ho da fare, magari più tardi. Quella s’offende. Se ne va. Torna a vagabondare tra i cuori persi, alla ricerca di quello giusto che possa accoglierla. Alla lunga finisce per sbiadirsi, come una passione pallida per l’insoddisfazione.
Così da un lato c’erano persone troppo impegnate a vivere, dall’altro osservavo quei fantasmi di creatività stanchi e davvero non sono riuscita a capire. Si fa più caso alle ispirazioni?
Io per il momento mi tengo stretta l’ultima che ho trovato, sperando che non si esaurisca troppo in fretta.
ComeDiari #2 “F” Di Fine. “F” Di Forse.
Quando si prende una decisione con la testa e non con il cuore, è probabile che sia razionale e forse anche giusta. Se è giusta, ogni cosa torna al proprio posto. Allora ti sembra di vederle, le vite di due persone rientrare nei binari dai quali erano fuoriuscite per un po’, ogni pezzo che va al suo posto, tutti indaffarati a far funzionare giornate, attività, relazioni così come erano sempre esistite, prima. Nessuno ti spiega però dei tuoi sentimenti cosa diavolo ne devi fare. Li metti in stand-by, li chiudi in un cassetto o in una poesia, provi a scriverne, a lasciarli liberi di correre su fogli bianchi ogni volta che ne hanno voglia e poi nascondi quelle frasi in milioni di scuse a cui tutti crederanno sempre, che in fondo non gliene frega niente. Li intrattieni con qualcosa di diverso ogni giorno, come se fossero bambini troppo entusiasti. Si resta innamorati ai due capi estremi di una scelta, incapaci di raggiungersi, perché quella filtra e taglia qualunque tentativo di sfiorarsi ancora, censurando pensieri e labbra. E poi mi manchi e non posso farci niente, perché manchi apposta. Allora mi sento sparire anch’io.
E’ vero che siamo strani. Abbiamo dei mondi dentro che non abbiamo mai visitato. Siamo migliori di quel che crediamo, poi ci teniamo al sicuro in un cassetto come tovaglie da grandi occasioni, quasi per evitare di consumarci troppo. Capita che arriva qualcuno, da un giorno all’altro, che ci tira fuori da quel cassetto. Opponiamo pure resistenza, si strani è dir poco. Andiamo a guardarci allo specchio. E’ così in fondo che si fa quando si ha una vita nuova addosso. Ci piacciamo, tantissimo. Andiamo in giro fieri di sentirci finalmente noi stessi. Sorridiamo e le persone, cavolo accade un fatto proprio strano, ci sorridono di rimando. Magari gli viene in mente di dare un’occhiata nel propri cassetti, hai visto mai. Sei ancora la persona che avevo sempre sperato di incontrare, anche quando un po’ alla volta mi metti via.
E adesso? Adesso non so neanch’io cosa sto facendo. Forse sto cercando un modo di lasciar cadere una di quelle estremità, che l’altra è così lontana che non so proprio se è ancora nelle mani di qualcuno o no. Forse provo ad aggirare tutta questa distanza e invece mi trovo davanti un abisso, come altri che ho già visto. Forse sei meno lontano, o stringi già altre mani.
Forse è una fine, o forse no. Scrivo come se potessi leggermi, mentre invece mi osservo, tra le righe, che parlano di te.
Il Senno Di Poi
Il senno di poi è quella macchina del tempo che vorremmo ci portasse lì dove avremmo voluto comportarci diversamente, scegliere un’altra strada, urlare altre parole, intuire altri risvolti. Il senno di poi è ciò che si rimpiange di non aver avuto ‘prima’ di quel ‘poi’ che è stretto e angusto e nel quale ci rendiamo prigionieri, pur dichiarandoci innocenti perché il ‘prima’ doveva venire lì con noi e poi non s’è presentato. Il senno, senza quel poi, e concessa pure la mancanza d’attenzione del ‘prima’, ci si augura che esista in un ‘adesso’ che non è né prima, né poi, ma presente e vigile quale copia saggia di se stessi, come se non bastassimo da soli, con mille casini che già ci portiamo dentro. E’ il terzo incomodo che tiene la candela, ma spenta, perché la luce si impara ad accendere da sé, anche se nel frattempo si prendono sviste, porte in faccia, spigoli di mobili e frecce nel cuore. Si crede, si spera e si prova, al costo di scoprire un inganno, ormai doloranti. Nasconde in se stesso l’illusione che esista un’altra meta, pur mancandone il viaggio.
*… Things That Stop You Dreaming (?) …*
Lo sguardo s’era perso nel seguire quelle poche particelle di cenere che di cadere giù come tutte le altre proprio non vogliono saperne e salgono su, spinte da un piccolo scoppiettio e sostenute dall’aria calda, portando con sè ancora un po’ di luce, che le rende appena visibili ad occhi distratti da pensieri troppo confusi. Ricordiamo un nostro prof che una volta le battezzò ‘pampuglie’ e da allora ancora ci ridiamo su.
Cazzo di domande fai, Bianca.
In realtà mi risponde -Beh, si, è così che dovrebbe essere- ma la conosco abbastanza da capire che distoglie lo sguardo apposta per guardare me e comunicarmi la primissima cosa che le è venuta in mente. Abbozzando un sorriso, anche, perchè tanto ormai ci ha fatto l’abitudine.
-Ecco, appunto.- le dico, mentre continuo a guardare il fuoco davanti a me. -Ti faccio un esempio, hai presente quando dici che in fondo sposarsi non è davvero necessario?-
-Certo. E tu ricordi di tutte le volte che dici che andresti via di qui se non avessi altre scelte?-
-Si.-
-E lo faresti davvero?-
-E tu davvero non ti sposeresti?-
Ci voltiamo di nuovo, e senza rispondere. Penso che dovrebbe essere più semplice e invece non lo è per niente. Non lo è per il semplice fatto che nessuna delle due riesce a risalire dal buio del proprio viso spento con su un gran sorriso e quella sensazione che in fondo tutto andrà bene. Sarà che nemmeno la tv ti mette esattamente di buon umore, quando al mattino ti ricorda che vivi nella terra dei fuochi e che per raggiungere le città più vicine qualche volta usi la superstrada della morte o il viadotto delle disgrazie, o come diavolo l’hanno chiamato. E penso che non sia possibile. Che non sia tutto qui. Tutto banale, tutto già deciso, tutto già così fortemente condizionato dalla paura di sbagliare che le scelte, volta per volta, si faranno avanti da sole perchè semplicemente tutte le altre saranno andate già a nascondersi da qualche altra parte, tremanti. Una sorta di gara in cui la vittoria va all’unico concorrente che ancora non ha pensato di ritirarsi.
Abbiamo davvero la possibilità di tracciare un percorso unico? Di fare scelte diverse, soltanto nostre?
Sentire la tremenda sensazione che il piccolo mondo che ti circonda può condizionarti a tal punto da renderti simile a lui, anche se diventa meno sicuro, anche se il tuo cuore ci si sente meno al sicuro. Sentire poi allo stesso tempo la responsabilità enorme che da ogni decisione presa non è più possibile tornare indietro. Che ogni passo ti allontana inesorabilmente da tutte le altre possibilità, da tutto ciò che non hai scelto.
Le pampuglie intanto vanno ancora per i fatti loro. Come i pensieri.
Sempre in silenzio conveniamo sul fatto che se per una sera la prospettiva è quella sbagliata non importa. Perchè guardiamo la strada alle nostre spalle e ne vediamo di scelte, così diverse da quelle degli altri, già fatte. A posteriori e in cuor nostro, sappiamo ben rispondere a quelle domande.
Per una sera lascio che il fuoco illumini tutto dal suo lato peggiore. Per una sera mi illudo che la vita non sia né unica né fantastica. Tanto non è così grave in fondo, c’è ancora della strada da percorrere per saperlo davvero, a partire da qui.
“And our eyes shine bright like a sky full of comets that shoot like silver trains…”
*… Believe …*
Mi sono seriamente preoccupata quando questa mattina perfino il vasetto di Nutella mi ha guardata allargando le braccia e scuotendo la testa come per dire questa volta te la piangi da sola.
La questione è che non fa che allungarsi la lista delle persone che mi mancano da morire, questo Natale. E per la prima volta nella mia vita ho pensato, si lo ammetto, questo sarà un Natale di merda. Non ho un bel niente da festeggiare. Fanculo allo spirito delle feste. Fanculo a tutto. E mentre cercavo di metter pace nella mia testa tra i sostenitori dello scappare via il più lontano possibile da qui e quelli del restare sotto le coperte con la speranza di scomparire tutti insieme per sempre, è arrivato nel bel mezzo della zuffa un altro tipo, dall’aria furba, dall’aria di chi ne sa una più del diavolo ed effettivamente mi andava di sentire anche la sua opinione.
Non è che un trucco. Un’illusione. Ci cascano sempre tutti. E questa volta ci sono cascata pure io. In pieno.
In breve la questione è che più stai morendo dentro, più ne hai bisogno. Del Natale.
Più soffri per le persone che ami e più ti ci dovresti aggrappare. Ne dovresti approfittare per tenerti su sperando che le corde riescano a reggerti almeno finchè non sarai in grado di raggiungere di nuovo il ciglio della roccia, per tenerti da sola. Tanto da lassù se ti va bene qualcuno c’è, ma non è detto possa aiutarti perchè non può capire o sta lottando come te, ma per fatti suoi.
E allora ho pensato col cazzo che ci casco.
Questa cosa, forse, l’avevo capita già ieri. Quando per strada mi son ritrovata di fronte un Babbo Natale un po’ sciupatello e con un accento che di certo non era del nord, che mi porgeva un foglio e una penna. E un abete enorme su cui attaccare il foglio con su scritta una stronzata qualunque, in cambio di un’offerta.
E allora ho deciso che, ancora una volta, mi sarei tenuta stretta ciò in cui credo e ho sempre creduto, nonostante tutto.
Tutto quello che mi è sembrato di capire, ieri, penso di averlo riassunto lì.
*… And Put Up Your Head …*
“Ma finalmente capiva quello che Silente aveva cercato di dirgli. Era, si disse, la differenza fra l’essere trascinato nell’arena ad affrontare una battaglia mortale e scendere nell’arena a testa alta. Forse qualcuno avrebbe detto che non era una gran scelta, ma Silente sapeva – e lo so anch’io – pensò Harry con uno slancio di feroce orgoglio – e lo sapevano anche i miei genitori – che c’era tutta la differenza del mondo.”
[J.K.Rowling – Harry Potter e il Principe Mezzosangue]