Countdown…

Non ho mai scritto un post a meno di un’ora dal Capodanno. Però ecco, così, avevo voglia di scrivere. E forse sono qui per anticiparmi su uno dei miei propositi, quello di scrivere più spesso ed esserci di più qui. Perché qui ci sono storie, ci sono ponti di parole che attraversiamo per venirci a fare visita l’un l’altro. Qui azzeriamo le distanze da ben prima che fossimo chiusi ognuno nella propria casa.

Di questo anno voglio salvare diverse cose. Ho letto ovunque che il 2020 è stato difficile. Beh, altri anni per me sono stati ben più difficili. E come al solito mi sposto fuori dal coro. Non voglio dimenticare cosa è significato per me avere la possibilità di avere del tempo e dello spazio lontano dal mondo, dagli impegni sociali, dal caos e dalla sensazione che mi stessi perdendo qualcosa lì fuori. Questa volta il fuori era fermo. E per me è stato un sollievo.

Quest’anno ho trovato un lavoro. Ho ritrovato la fiducia nelle mie capacità quando non sapevo nemmeno di averla persa. Ho vissuto esperienze che mi mancavano e ho ricevuto, per una volta, invece che aver solo dato. Sono stata felice e a volte ho sentito che non mi mancava proprio niente. E forse non mi era mai capitato. E ho perso cinque chili, niente male direi!

Darò un abbraccio di addio a questo anno, che in fondo non è colpa sua se siamo finiti in una pandemia. E poi abbraccerò me stessa, per dirmi che sono andata bene e che non vedo l’ora di ritrovarmi anche migliore alla fine del prossimo anno. Sempre più vicina alla persona che desidero essere.

Un grandissimo abbraccio a voi tutti e grazie di esserci!

C’era una volta, forse domani, oggi no.

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La verità è che uno ci spera sempre.

Ho provato a non augurarmelo, a non immaginarne uno. Impossibile. Il lieto fine è già lì. Alla fine di ogni lunga e contorta successione di vorrei. Aspetta e non gli importa quanto puoi metterci ad arrivare.

Era vicino. Ad un tocco. L’energia aveva riempito la distanza e mi sentivo un tutt’uno con essa, solida, vera. Reale. Avrebbe dovuto portarmi via con sé in un abbraccio.

Le fiabe di una volta non avevano il lieto fine. Più che altro si trattava di una lezione. Ti veniva raccontata quella storia affinché potessi imparare a conoscere e riconoscere pericoli di cui nemmeno immaginavi l’esistenza. La gente non se ne faceva nulla del e vissero tutti felici e contenti. Meglio un insegnamento, un’opportunità per aprire gli occhi e non cadere negli errori costati cari a qualcun’altro.

Un finale, quello, davvero più utile a tutti. Migliore. Senza fronzoli, aspettative, delusioni.

Un finale così non ti chiede se sei d’accordo. Quel che conta è la lezione di vita e non hai modo di ribellarti. Decide per te il quando e il perché è finita. Intorno a te tutti applaudono e si congratulano, ti stringono la mano e ti dicono ancora un’altra dannatissima volta che è meglio così. 

Ti restano l’immaginazione e la speranza per renderti presentabile a qualche nuovo giorno che non smetterà di guardarti di traverso finché paradossalmente non avrai iniziato a raccontargli un altro lieto fine, ancora un’altra volta.

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Walt Disney in Saving Mr. Banks

(Guestpost di Novembre su Principesse Colorate, sul lieto fine, tra illusione e speranza, tra il Medioevo e l’era Disney che per fortuna ci ha salvati un po’.)

Giochi Di Equilibri (di Nash) Tra Vicini (di Casa e di Stato)

Prendiamo un gruppo di persone. Diciamo che abbiano tutte uno stesso obiettivo da raggiungere e siano in competizione tra loro. Nel 1949 il famoso matematico John Nash dimostrò, chissà se nel modo in cui viene mostrato nel film A Beautiful Mind o no, come fosse incompleto affermare che, secondo le teorie dell’economista Adam Smith, il miglior risultato è quello raggiunto quando ogni persona del gruppo agisce per fatti propri pensando solo al proprio benessere. Per raggiungere davvero il miglior risultato, la miglior soluzione del problema, ogni componente dovrebbe invece agire facendo ciò che è più giusto sia per sé che per gli altri, non ostacolandosi ma raggiungendo così un’equilibrio in cui ciascuno ottiene i benefici desiderati.

Una cosa del genere presuppone che di fondo ci sia collaborazione, pur essendo una teoria che si applica ai ‘giochi non cooperativi’, ovvero in situazioni in cui le persone non si alleano spontaneamente in quanto esistono comunque delle rivalità tra le varie parti.

Eppure, ecco, penso a quante situazioni si potrebbero risolvere in questo modo. Non si tratta di solidarietà e non c’entrano questioni morali. Si parla di benefici quantificabili, di payoffs, di operare ricercando il proprio bene tenendo conto di cosa faranno gli altri per ottenere il proprio.

 Sono sempre stata affascinata dalla teoria dei giochi, anche se non ho ancora grandi conoscenze a riguardo e mentre facevo delle ricerche ho trovato interessanti articoli che parlavano dell’equilibrio di Nash e della questione greca. Solo uno dei tanti casi in cui questa teoria è applicabile. Avrete sicuramente già sentito parlare del dilemma del prigioniero o del dilemma dei coniugi. Quest’ultimo è davvero interessante secondo me per quanto ci è vicino e può essere visto anche come il dilemma del fratelli, dei colleghi di lavoro o dei vicini di casa.

Mettiamo che ci siano due coniugi, A e B.

Mettiamo che ci siano da fare le pulizie in casa. I due decidono nello stesso momento cosa fare, singolarmente.
A pensa che se si mette a lavorare di certo l’altro andrà a riposarsi. B pensa la stessa cosa. A pensa che se va a riposarsi otterrà il suo beneficio e che B non lavorerà mai al posto suo per cui riposerà anche lui. B pensa la stessa cosa.

Risultato, nessuno pulisce casa. Si raggiunge l’equilibrio. Ad A non passa proprio per la testa di alzarsi dal divano, non ha nessun incentivo a farlo finché non ne ha uno anche B. Questo gioco, a differenza del dilemma del prigioniero però, si ripete. Infatti la casa sporca era e sporca resta, il lavoro deve essere fatto per cui295-copia tutta la serie di strategie viene rivalutata. Sia A che B vogliono che la casa sia pulita e nessuno dei due vuol finire per fare tutto il lavoro da solo (ecco si, perché l’ipotesi è che i giocatori siano razionali per cui non esiste né maschilismo né alcuna crociata femminista in atto) e soprattutto non vogliono creare alcun precedente o ‘regola’ per cui uno soltanto dei due farà le pulizie per sempre, per cui scelgono di cooperare. A e B scelgono di aiutarsi a vicenda dividendosi il lavoro sapendo che finiranno prima così e potranno riposare entrambi.

Non è utopia, non è fantasia, solo matematica.

Oggi pensavo che tutte queste belle cose gli economisti europei le sanno molto bene, o dovrebbero e che mentre i capi di Stato perdono tempo a sbirciarsi con la coda dell’occhio per sapere chi tra loro deciderà di muovere il culo per primo per andare a riaprire i confini, centinaia di migliaia di persone stanno ancora lì, sulle banchine delle stazioni, sperando che il loro gioco possa finalmente finire presto. Poi sento i vicini che litigano perché le foglie dell’albero di uno finiscono puntualmente nel cortile dell’altro e mi rendo conto che l’ipotesi che i giocatori siano razionali sia molto, molto più azzardata di quanto si pensi.

picture by http://www.silviaziche.com/

Occhi Da Sposa

C. si guardava intorno ansiosa. Bionda, ma era evidente fosse nata castana, indugiava con i suoi occhi scuri sugli abiti favolosi che la circondavano. La sua taglia le avrebbe permesso di provarli tutti certo, ma ormai aveva già scelto ed era lì per l’ultima prova prima di portare quell’abito via con sè per sempre. Già, per sempre sperava sarebbe durata anche la promessa che avrebbe indossato sulle labbra quel giorno raggiungendo l’altare e il suo uomo. Gli occhi si posarono su di lui. Impaziente, a braccia conserte aspettava che la fila si smaltisse il più in fretta possibile. Lo immaginò rilassato, sorridente mentre al fianco del testimone -lo sguardo le si illuminò- avrebbe aspettato che dall’altra parte della navata lei arrivasse a passo lento, con grazia, elegante. La sua attenzione si spostò sulla bambina che ormai aveva preso a saltellare per il negozio, indicando con il dito gli abiti che le piacevano di più, quelli da principessa s’intende. Per caso si fermò davanti ad un abito simile al suo. Unico vezzo, di lì in poi non se ne sarebbe dovuta aspettare altri, forse. C. si rabbuiò scacciando via quel pensiero insistente.

G. sul lavoro aveva sempre l’aria seria, concentrata. Puntava dritta da una signora all’altra, senza indugiare più del dovuto su nessuna. Shampoo, asciugatura, qualche volta una piega più ricercata. Si concedeva qualche chiacchiera con le clienti mentre lavorava. Diete, vestiti, shopping. Una volta per rompere un po’ il ghiaccio mi complimentai con lei per i suoi stivali. Prese a raccontarmi tranquillamente di come era riuscita a permetterseli, di quanto fossero più comodi di quelli comprati a pochi euro dai cinesi e del fatto che per stare molto tempo in piedi le erano davvero necessari. Quando si allontanò dai miei capelli notai il suo passo, un po’ più fiero e deciso. A parte momenti del genere io e lei di solito parlavamo davvero poco. Io stavo sulle mie, lei concentrata non distoglieva gli occhi dal suo lavoro. Gli argomenti con le altre clienti ad un certo punto presero ad aumentare. -E il ristorante? Ma la casa l’avete già arredata? Scommetto che tu si avrai dei capelli favolosi!-. Rispondeva, lavorava, tirava fuori dettagli da lanciare in pasto ai chiacchiericci al momento opportuno. Si accorse che la sua vita intera ormai andava avanti in funzione di quel solo unico giorno. Tutto ruotava intorno a quel momento. Tutto le ruotava davvero intorno mentre ascoltava il prete che spiegava come si sarebbe trasformata la sua vita di lì in poi. Attenta, non distoglieva lo sguardo da lui. Recepiva ogni indicazione, suggerimento: le sarebbero tornati utili. Doveva tener duro ancora per poco, concentrata, impassibile. Gli invitati si erano disposti intorno al portone della chiesa. Una rapida occhiata a tutti loro mentre con la mano saldamente stretta in quella di suo marito -il cuore mancò un battito a quella parola- si dirigeva verso loro. Furono secondi di applausi, flash, chicchi di riso e palloncini che volarono ovunque. La tensione svanì tutta di colpo, abbandonando G. che per un attimo si resse al braccio del suo sposo. Tutte le fatiche e lo stress erano valse per quel solo momento: fissò gli occhi dolcemente sorridenti nei suoi, felice, finalmente.

La commessa-capo del negozio venne di gran carriera verso di me, in una mano un blocchetto, nell’altra una penna, le estremità di un metro da sarta avvolto al collo svolazzavano insieme ai suoi capelli lunghi e ricci. Il portaspilli era ancorato come un prezioso stemma sul bavero della sua giacca. -Sei una sposa tu?- mi disse guardandomi attentamente. Inorridita scossi la testa balbettando qualcosa a proposito del mio esser lì ad accompagnare delle persone. Volevo aggiungere che nemmeno, al momento, era tra le mie priorità definirmi tale, ma mi sarei dilungata inutilmente. -Sicura?- coma avrei potuto non esserlo pensavo, mentre aggiunse -Hai … hai gli occhi da sposa, mi sembrava … Non so-. Rimasi interdetta. Volevo chiederle che occhi hanno le spose, così, per sapere perché aveva preso proprio me per una di loro. Erano tristi o delusi, in attesa o impazienti, rassegnati o decisi? Poi frettolosamente mi superò, spostando l’attenzione verso le altre clienti in attesa del loro turno.

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illustrazione di etsy.com

Non C’è 2 (Novembre) Senza Jack

Che importa dove abitano i santi
dove fanno i loro bei cerchi
guarda che gran firmamento
accompagna una stella.

[Emily Dickinson]

 

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foto personale 31 ottobre 2014

Indovinate chi si è divertita come una bambina ad intagliar zucche, la sera di Halloween 😀

Ne ho lette come ogni anno di tutti i colori su questa ricorrenza che non è nostra, mentre mi chiedevo nostra cosa significa, se ci si riferisce al fatto che nei decenni che ci hanno preceduti non si è mai festeggiato alcunché il 31 ottobre o a quello che per i cristiani le vere ricorrenze sono quelle dei due giorni successivi e non questa. Tralasciando poi la questione pretesto per divertirsi che in fondo non toglie e non mette nulla al senso della ricorrenza in sé per sé perché è di consumismo che si parla, non di altro, del quale si può esser vittime in tanti altri modi pur avendo declinato l’invito al più cool degli Halloween-party, io non riesco a non farmi affascinare da leggende e credenze che possono anche non esser parte della mia cultura ma nelle quali trovo il tentativo di altri uomini e tempi di dare un senso a cose che tutti più o meno percepiamo ancora come misteriose e che spaventano come la morte e tutto ciò che la riguarda.

Ad esempio, come si fa a restare impassibili leggendo la storia di Jack O’ Lantern? Uno un po’ fuori dal perbenismo, pure falso, della società, che in vita s’era diviso tra osterie e lavoretti poco onesti ma scaltro da fregare per ben due volte il diavolo finito poi ad esser rifiutato sia dal Paradiso che dall’Inferno e condannato a vagare eternamente alla ricerca di un posto dove stare alla flebile luce di un carbone ardente donatogli pure con stizza e pietà. Fuori da questo mondo, fuori dall’aldilà, intrappolato in un non luogo che si estende ben poco oltre la sua stessa anima.

Ditemi se davvero sentite così lontana da voi una storia come questa.

Di altri esempi me ne vengono in mente diversi, che con la religione c’entrano poco, eppure hanno radici che affondano in paure che accompagnano gli uomini da sempre e che questa festa che di base ha a che fare con la fine, la morte, la chiusura di cicli naturali, con il buio e il sonno momentaneo della vita sta qui a ricordare.

Ciò che vorrei sottolineare è che perfino restando fedeli a tradizioni  e credenze cristiane, spesso noto che le persone, tra cui mi ci metto anch’io, pur di fronte a delle spiegazioni o comunque indicazioni provenienti direttamente da lassù, fanno lo stesso un po’ come gli pare. Davvero. Si creano credenze nelle credenze, abitudini, interpretazioni che hanno un fascino tutto loro e che esorcizzano in qualche modo il timore, la mancanza dei propri cari, la voglia di sentirsi vicini a loro nonostante tutto.

A me piace osservare. E’ quello che faccio praticamente sempre quando qualcuno della famiglia mi trascina al cimitero. Da piccola mi annoiavo abbastanza, che la maggior parte delle tombe che si andavano a visitare (e ancora oggi, eh) appartenevano a persone che nemmeno avevo mai visto, come i bisnonni, o a stento sentito nominare. Così mi perdevo a guardare quelle degli altri, a leggere epitaffi Tizio qui depose gli avanzi di sua suocera, che “avanzi” forse nel 1800 aveva un’accezione meno offensiva (forse), a guardare foto, immaginare vite, a cercare di ricordare con tutte le mie forze qual’era la preghiera che al catechismo avevano detto avesse a che fare con i defunti e a chiedermi se dinanzi ai loro resti ci fosse qualcosa da dover dire o pensare di più giusto delle mie riflessioni strambe.

Oggi guardo mia madre affannarsi a cambiare fiori, pulire, mettere ordine, badare a dettagli come fossero sfumature del più ampio concetto di prendersi cura, anche di chi non c’è più. Allo stesso modo vedo come si adoperano gli altri. Ognuno a modo proprio. Non credo ci sia scritto da qualche parte come si fa a voler bene. Come si supera il gap che inevitabilmente si crea quando qualcuno va via. Come si riempie il vuoto. Credo però nel rispetto e nella responsabilità che ognuno ha nei confronti dei propri sentimenti e bisogni come fosse una continua ricerca delle risposte ancora non scritte da nessuno, men che meno dentro di noi, alla luce di una candela che può alimentarsi di qualsiasi cosa secondo me, purché sia bella.

Holes

Tutti ti vogliono così come ti conoscono e da questo non c’è mai scampo. Pensano che nel tuo cuore sopravviva il Paradiso perduto e non faccia mai buio, che sia un posto nel quale non si adotta l’ora legale perché il sole è sempre lì alto nel cielo e la primavera è perenne, non cadono mai foglie e non piangono mai le nuvole, semmai è raffreddore.
Tutti ti vogliono impeccabile e senza un filo di tristezza sbavato. Pronti poi ad accusarti di non aver messo in borsa abbastanza sorrisi e a guardarti scuotendo la testa. Provo rabbia e so di sbagliare, ma vorrei mi si concedesse di essere umana, perché ci sono mostri che non vanno via solo perché gli fai una bella risata in faccia. No. Pretendono di restare con te pertuttalavita e allora devi trovargli pure un posto dove stare per non averli sempre tra i piedi. Questo però non ha voglia di capirlo nessuno. Per cui quando cala la notte passano sfiorandoti la spalla e non ti riconoscono e a meno che tu non finga non ti resta far altro che lasciarli andare via.

Cu ‘A Capa Dinto ‘A Luna

l-equilibrista-dell-amore

 

Ogne semmana faccio ‘na schedina:
mm’ ‘a levo ‘a vocca chella ciento lire,
e corro quanno è ‘o sabbato a mmatina
‘o Totocalcio pe mm’ ‘a jì a ghiucà.
Cucciato quanno è ‘a notte, dinto ‘o lietto,
faccio castielle ‘e n’aria a centenare;
piglio ‘a schedina ‘a dinto ‘a culunnetta,
‘a voto, ‘a giro, e mm’ ‘a torn’ ‘a stipà.
Io campo bbuono tutta ‘na semmana,
sultanto ‘o llunerì stongo abbacchiato,
ma ‘o sabbato cu ‘a ciento lire mmano
io torno n’ata vota a gghi’ a ghiucà.
Nun piglio niente, ‘o ssaccio…e che mme mporta?
Io campo sulamente cu ‘a speranza.
Cu chi mm’ aggia piglià si chesta è ‘a sciorta,
chisto è ‘o destino mio…che nce aggia fa’?
‘A quanno aggio truvato stu sistema
io songo milionario tutto ll’anno.
‘A ggente mme po’ ddi’: – Ma tu si’ scemo?
Ma allora tu nun ghiuoche pe’ piglià? –
Si avesse già pigliato ‘e meliune
a st’ora ‘e mo starrie già disperato.
Invece io sto cu ‘a capa dinto ‘a luna,
tengo sempe ‘a speranza d’ ‘e ppiglià.

[‘A Speranza – Antonio De Curtis]

*… “E Finalmente Adesso L’ho Trovata” …*

"    La felicità è amore, nient'altro. Felice è chi sa amare. Amore è ogni moto della nostra anima in cui essa sente se stessa e percepisce la propria vita. Felice è dunque chi è capace di amare molto. Ma amare e desiderare non sono la stessa cosa: l'amore è desiderio fattosi saggio. L'amore non vuole avere, vuole soltanto dare." [Herman Hesse]

” La felicità è amore, nient’altro. Felice è chi sa amare. Amore è ogni moto della nostra anima in cui essa sente se stessa e percepisce la propria vita. Felice è dunque chi è capace di amare molto. Ma amare e desiderare non sono la stessa cosa: l’amore è desiderio fattosi saggio. L’amore non vuole avere, vuole soltanto dare.”
[Herman Hesse]

Volevo riportare questa notizia che avevo sentito di sfuggita alla tv e ho cercato poi sul web. Mi ha colpita tantissimo… Come si fa a mantenere nei ricordi e nel cuore qualcuno per 60 anni? E’ assurdo, più si prova a farsi un’idea di cosa sia l’amore e più lui trova altri modi, altri tempi e spazi per reinventarsi, mandandoci tutti al manicomio. Mi sono imbattuta per caso anche nella citazione qui sopra e mi è sembrata una ragionevole (come se ci si possa ragionare, su certe cose) risposta alla mia domanda.

“Amore è ogni moto della nostra anima in cui essa sente se stessa e percepisce la propria vita.”

E’ semplicemente straordinario e vero, tanto tanto vero.

E pensare che si sta male per un telefono che non squilla. Fidanzati che si lasciano perchè per un paio d’ore il cellulare era irraggiungibile. E poi ci sono persone che s’aspettano anche per 60 anni. Lui ha detto “E finalmente adesso l’ho trovata”. Io non riesco nemmeno ad immaginare cosa significa ripetersi per tutto questo tempo ti troverò, ti troverò

Riporto qualche passaggio dall’articolo che ho trovato sul sito del Corriere:

Il loro amore ha resistito alle peggiori tragedie storiche del Novecento e adesso una statua celebra la loro riunione avvenuta dopo 60 anni. Nei giorni scorsi in un parco di Kiev è stato inaugurato un monumento dedicato alla struggente storia d’amore tra il prigioniero di guerra italiano Luigi Pedutto e la condannata ai lavori forzati ucraina Mokryna Yurzuk. La statua è stata eretta vicino al «ponte degli innamorati» dove ancora oggi i giovani ucraini si promettono amore eterno.

L’ottantottenne italiano e la novantenne Mokryna si sarebbero conosciuti nel 1943 in un campo di concentramento nazista vicino alla città di Sankt Polten, Austria e presto si sarebbero innamorati. Peccato che dopo la liberazione il loro amore fu diviso dai nuovi equilibri internazionali: Mokryna fu costretta a tornare al di là della Cortina di ferro e gli innumerevoli tentativi di Pedutto, originario di Castel San Lorenzo, paesino di duemila anime nel cuore del Cilento, di riunirsi all’amata, risultarono vani. Per oltre 60 anni i due non si rividero più ed entrambi si sposarono nei propri paesi ed ebbero figli da altre relazioni.

La svolta di questa favola d’amore arriva nel 2004. Pedutto che non ha mai dimenticato quella donna che nel campo di concentramento gli cuciva gli abiti e gli portava il cibo, scrive alla trasmissione televisiva russa «Aspettami», una sorta di «Chi l’ha visto» locale nella quale si aiutano i prigionieri di guerra e dei gulag a ritrovare il proprio passato. Racconta la sua storia d’amore e finalmente i due ex amanti possono rincontrarsi «L’ho cercata per 62 anni – fu il primo commento di Pedutto – E finalmente adesso l’ho trovata». […]  Per comprendersi parlano un mix di ucraino, italiano e russo, ma c’è chi confessa che riescono a capirsi anche senza parlare.

* . . .She’s Like Tomorrow ♪. . . *

Ieri sera si è concluso l’Eurovision Song Contest, un festival europeo nel quale gareggiano cantanti ognuno in rappresentanza della propria nazione che possono poi essere votati da tutte le altre (altrimenti ogni nazione voterebbe per sè) ed è uno spettacolo estremamente organizzato ed elaborato, pieno di effetti speciali, proprio perchè ogni nazione cerca di stupire al massimo. Quest’anno si è tenuto a Malmo, in Svezia.

A me diverte tanto perchè mi ricorda un po’ lo spirito di Giochi Senza Frontiere. E poi nel momento delle votazioni si scoprono amicizie e antipatie, ad esempio, l’anno scorso la Grecia snobbò totalmente la Germania, oppure Estonia, Lituania e Lettonia hanno spesso occhi di riguardo l’una per l’altra. San Marino non ci considera mai nemmeno di striscio, se ben ricordo. Ogni nazione infatti deve assegnare dei punti, da 1 a 12, ai cantanti delle altre. L’Italia ha sempre partecipato fino al 1997, vincendo due volte con Gigliola Cinquetti e Toto Cutugno ed è dal 2010 che ha ripreso a partecipare. Quest’anno è toccata a Marco Mengoni, che secondo me non era proprio il meglio che potessimo presentare, che ha comunque conquistato il settimo posto.

E’ incredibile come in genere la maggior parte delle nazioni schiera cantanti donne che sono delle bellezze incredibili, fisici perfetti, abiti da sogno e voci davvero notevoli, spaziando dalla dance al pop, dal nord Europa arriva sempre qualche gruppo rock e le nazioni più a sud puntano… beh, diciamo sulla simpatia. Si tratta spesso di cantanti che uniscono folklore e musica moderna o di cui comunque si sente forte la provenienza popolare.
A vincere è stata la Danimarca, però come accade quando guardo qualche festival, ce n’è sempre un’altra che mi colpisce molto di più e questa volta mi è piaciuta tanto quella presentata da Malta, dal giovane Gianluca Bezzina.

La canzone si chiama “Tomorrow” ed è di una dolcezza infinita. Me ne sono innamorata subito. E’ l’amore tanto semplice quanto coinvolgente, che trascinerebbe due anime anche diverse, all’apparenza, ma in qualche modo legate dalla stessa energia, già prima che se ne rendessero conto. Un lui, occupatissimo, preso tanto dalla sua vita e una lei, che è la sua svolta, il suo domani, la sua nuova direzione, che mai razionalmente prenderebbe in considerazione…

Visto che non ho trovato traduzioni in italiano (bah, solo una in ungaro, che non credo aiuti molto) l’ho tradotta io, perdonate qualche imprecisione o errore, ma davvero merita secondo me (:

Il suo nome è Jeremy, lavora in IT
non si è mai chiesto perchè è sempre stato
un ragazzo così attento, sensibile e timido
‘valutare il rischio’ è il suo investimento,
in una vita senza sorprese

fin quando lei arrivò nella sua vita

Lei è davvero spontanea, l’incertezza è il suo credo
non è mai stata ‘bianco o nero’
semplicemente di una gioia curiosa
Lei mostrò affetto per lui e una collezione dei suoi sorrisi
e per sua sorpresa …

Lei è come il domani, oh così lontano, vuole solo giocare
come il domani è sempre un giorno via
ogni volta scivola via, è vicina ma ancora così distante
E’ tempo di seguirla, domani…

Lui si è innamorato di lei troppo in fretta,
tutti abbiamo pensato che non sarebbe durata
perchè al buon vecchio Jeremy piace la sua rigorosa routine
perchè lui pensa solo ad oggi, ma il domani è il modo per lei
di trovare una nuova direzione e andrà tutto bene

E’ tempo di seguire lei, domani…!

~

Merita, come ogni cosa che riesce, ogni tanto, a mettere nel cuore un po’ di romanticismo, quando intorno ti capita di vedere cadute di stile tremende, come quelle di poveri idioti che vedendo tre ragazze in auto, l’altra sera, rischiano di farci un incidente per lo sfizio di affiancarle in rettilineo, facendo un po’ di strada appaiati, finchè lei alla guida ha rallentato per evitare che si arrivasse insieme alla rotonda successiva e facendo in modo che i tipi rientrassero in corsia, che tanto indietro non sarebbero tornati. Loro sono scappati avanti, io ho lasciato il freno tirando un sospiro, mentre insieme alle altre le imprecazioni ancora si sprecavano. Poi uno dice che non deve perdere la speranza che da queste parti, in giro, esistano persone interessanti. Che questo è un caso, certo, ma avessi avuto una volta, almeno, la possibilità di ricredermi. E che palle.

*…La Più Grande Speranza Tra Tutte…*

Al quinto anno di liceo la prof di religione ebbe la brillante idea di farci vedere il film di Mel Gibson “La passione di Cristo”. Probabilmente credeva che con un film di forte impatto come quello sarebbe riuscita a tenere buoni quei scapestrati dei miei compagni di classe e in un certo senso ci riuscì. Il risultato fu che per quelle poche ore conquistò la loro attenzione e la loro simpatia, mentre io iniziai ad odiarla sul serio. Odiavo la sua espressione di godimento di fronte alle nostre facce terrorizzate. Lei si sentiva forte  perchè a quanto pare ai film horror doveva esserci abituata, chissà, e stava decisamente spiazzando la sua piccola platea. Delle mie amiche ed io non riuscivamo a sopportare l’imposizione di dover vedere un film così violento e infatti qualcuna chiedeva di tanto in tanto di andare in bagno (che doveva trovarsi da qualche parte tra la Terra di Mezzo e L’Isola Che Non C’è, giacchè non tornavano mai). Io resistevo, perchè se c’è una cosa che odio più di un’imposizione, è il sottrarmi ad una sfida con me stessa in quanto decisi che, caspita, dovevo vederlo fino alla fine e non mostrarmi debole, anche se a qualche frustrata di troppo mi veniva per forza di guardare altrove. Capisco che bisogna conoscere le sofferenze vissute da Gesù per comprendere davvero cosa accadde, ma se il capo dei soldati ordina di infliggere 30 frustrate e tu che giri il film le mostri tutte e 30 è evidente che un certo gusto per il macabro ce l’hai e la violenza “gratuita” nei film io non riesco ad accettarla, soprattutto per una storia come questa. Vedere quelle scene quasi mi distoglieva dal reale significato della vicenda che speravo di cogliere, significato che ogni anno cerco di arricchire facendo attenzione a spunti di riflessione che prendo un po’ ovunque.

Mi faceva solo rabbia. Tanta rabbia. In aggiunta a quella che provo ripensando a come quell’uomo innocente fu trattato. Quanto sono stati malvagi e come in pochi giorni è stato commesso tutto il male che degli uomini possono a stento concepire. Gesù subì di tutto, ingiustamente, una morte orribile alla quale spesso non si pensa quando distrattamente si volge lo sguardo alla croce.
Mentre riflettevo su questa cosa, mi sono venute in mente tutte le volte in cui ho sentito dire cose tipo” Dio non esiste, Dio non è giusto, altrimenti non permetterebbe che ci sia il male nel mondo, che accadano cose terribili, guerre, malattie, ingiustizie”.  Ogni volta che sento cose del genere mi innervosisco, anche se poi non trovo mai le parole adatte per dire che non è giusto che parlino così.

E poi mi è venuta in mente una cosa. Ho ricordato ciò che i soldati romani dicevano a Gesù agonizzante, come “Sei il Figlio di Dio, perchè non ti salvi e scendi dalla croce?”. Gli atteggiamenti sono equivalenti. Il concetto è Dio è onnipotente, bene, quindi se la sbriga lui. E sarebbe facile così… Tutti i problemi risolti con uno schiocco di dita e poi potremo riscrivere i libri di geografia cambiando il nome del nostro pianeta da “Terra” a “Disneyland”. Credo proprio che prima o poi inizieremmo a chiederci cosa cavolo siamo venuti a farci e a pro di che.

Poi ho sentito il Papa alla Via Crucis dire che la croce (e quindi la sofferenza, le incomprensioni, il dolore) è la risposta che i cristiani devono dare al male del mondo. La risposta. Di fronte a alle peggior cose che possono capitare nelle nostre vite c’è da ricordarsi di quell’uomo che è morto senza nessuno sconto di pena e che poi è resuscitato dimostrando una cosa tanto semplice da dire quanto difficile da tenere sempre a mente:  il dolore e le sofferenze non sono mai fini a se stessi. Non stiamo qui a star male tanto per passare il tempo. Dopo c’è la Pasqua. La rinascita, la felicità. E’ la più grande speranza tra tutte. E’ il motivo per cui oggi festeggiamo. E’ il motivo per cui nonostante tutto c’è da stare allegri. Io non sono per niente una perfetta cristiana, non sempre mi piace tutto quello che la chiesa (e nemmeno il prete del mio paese) dice e fa, ma certe cose provo a capirle e qualche idea pian piano diventa più chiara.

Questa sera fuori al supermercato c’era un nero che spesso si mette lì a dare una mano con borse e carrelli in cambio di qualche moneta. Nemmeno ci conoscessimo da sempre ha dato gli auguri di buona Pasqua alla mia famiglia e a me con una sincerità e una semplicità che contrastavano così tanto con quelli scambiati frettolosamente con chi lì dentro ci lavora da lasciarmi spiazzata. Altro che fretta e superficialità, cavolo. Ci stiamo augurando di essere felici. Facciamolo per bene. Anche se non è il “per bene” che il mio prete predica di continuo (il confessionale mi inquieta, non so cosa farci…). Auguri a tutti, allora, di una bella, serena Pasqua.  🙂