Tu Sei La Regola, Si, Ma Anche L’Eccezione (?!)

Diciamo che nel bel mezzo di deliri pre-esame ogni tanto vengono fuori questioni anche abbastanza interessanti.

C’è un certo spiegamento di forze ormai, lo sanno tutti, a favore del sii te stesso, su questo pianeta sei unico, irripetibile, originale e fantastico, non sprecare la tua vita. E soprattutto, non omologarti alla massa. Stanno lì a ricordartelo abbastanza spesso i vari esperti d’aforismi su facebook, Violetta, le locandine della Marina, Carla su Real Time e quasi tutte le serie di telefilm sparse sugli altri canali, oltre al Papa, la tua cantante preferita, il libro che ami di più, interi reparti di saggistica sul tema nelle librerie e la tua coscienza.

Poi, allo stesso tempo, nel medesimo preciso istante, devi anche ricordare con una certa convinzione e consapevolezza che mai e poi mai rappresenti un’eccezione in questo mondo o almeno in quello conosciuto (da te). Non devi sperarci, non devi porti domande che inizino con e se fosse che… e robe simili. Sei la regola. La regola non si fa troppe domande, la regola è regola e basta. Se poi sei anche l’eccezione che conferma la regola, allora sei fregato, devi metterti a cercare una strada solo tua che non sia né l’eccezione, né la regola e neanche un altro paradosso ancora.

Vieni In Libreria Con Me

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Appena entrata mi sono fermata, giusto un attimo prima di decidere da che parte andare. Soltanto quando sono arrivata più o meno al centro della libreria, tra tutti gli scaffali, mi sono accorta che i miei due compagni-di-passeggiata-approfittiamo-del-coupon-sconto erano spariti. Mio padre, alla mia sinistra, era già immerso nel reparto Gialli, mia madre invece era partita dritta verso Filosofia Orientale. Entrambi già presi, concentrati. Io ho cercato Bach, tanto per cambiare. Ormai è una specie di rito, una visita di cortesia al pezzo di mensola che reca il suo cognome. Puntualmente non trovo quei due-tre libri che non ho e prima o poi mi deciderò ad ordinare su internet direttamente, ma ci vado lo stesso.
Di solito non entro mai in una libreria senza avere già in mente un titolo, un libro che desidero in particolare. Finisco per perdermi. Spesso invece mi capita di cercarne una per il gusto di passeggiare tra gli scaffali, prendere qualche opera che attira la mia attenzione, leggere trame, lasciarle gironzolare nella testa. Il profumo della carta fa tepore in inverno, ma ti abbraccia dentro comunque, in qualsiasi altro momento.
Un piccolo punto di partenza l’avevo però, iniziare da uno degli ultimi autori che ho letto. Non proprio l’ultimo perché di solito non riesco a leggere due libri dello stesso autore uno dietro l’altro. E’ come se rischiassero di mischiarsi, contaminarsi. La lettura di un libro non termina mai con l’ultima pagina. Per qualche giorno ancora la storia vive nelle immagini di luoghi, nelle sensazioni provate. Ogni viaggio quando finisce pretende ancora un po’ di tempo per sé, prima di lasciarti tornare a casa.
Ho raggiunto Dostoevskij. Alla mia sinistra mio padre era già sparito, alla mia destra il Dalai Lama mi guardava di traverso. Dimmi in quale reparto della libreria ti piazzi e ti dirò chi sei. Invece di concentrarmi sulla mia ricerca, guardavo le altre persone, su quali scaffali indugiavano, quali libri sfogliavano. Come se il posto in cui si cercano risposte dicesse tutto di sé. Aleggia una strana sensazione di rispetto, cortesia, ognuno preso a specchiarsi in qualche copertina e attento a non disturbare la ricerca di altri. Ho cercato di nuovo con lo sguardo i miei compagni di serata, si erano già ritrovati. Non sono sicura di quale sia stata la reazione di Osho alla vista di Simenon, ma poco dopo s’è posto Il Giocatore in mezzo, a separarli. Che avrebbero potuto avere qualcosa da ridire sul finire insieme sullo stesso scaffale dopo una vita intera trascorsa ad osservare due mondi completamente diversi, ai lati opposti di una grande libreria.

 

*… Secrets …*

Sarà pure che resterò una tremenda imbranata per il resto della mia vita. E magari resterà sempre un certo fuso orario tra le cose da dire e i momenti giusti per farlo. E sarà sempre un ritorno al mio mondo, sfasato delle volte, con troppa logica in un angolo e troppo poca in un altro, con le contraddizioni e i difetti e gli angoli smussati male, la polvere lasciata accumulare su qualche libro e tremila post-it su cui ne segno altri da comprare, film da vedere, playlist da comporre e ricevute di tasse pagate da scaricare in qualche benedetto modo, biglietti del cinema che conservo sennò dimentico pure i film già visti, brochure di posti da vedere e gli appunti che mi aspettano con pazienza ogni dannata volta che mi scoppia la testa di troppe altre inutili cose a cui pensare, più che a loro. E continuerò a vedermi un giorno in un paio di orecchini di perle, un altro in guanti da motociclista o in vecchie scarpe poco da donna. Un giorno anche in tutte e tre le cose messe insieme. E mi capiterà ancora di bere da bicchieri vuoti, mentre sovrappensiero, sopravvaluto la capacità dell’acqua di materializzarcisi all’interno senza aiuti esterni. Compilerò sempre liste di cose da fare lasciandole poi a marcire da qualche parte, dedicandomi poi a tutt’altro, come se scrivendole magicamente le dessi il dono di portarsi a termine da sole. Il problema vero sarà sempre che tutto questo lasciato così è soltanto rumore. Stupido e inutile. E invece ha in sé un potere meraviglioso. Lo so. Perchè poi non importa proprio nient’altro, quando arriva il tempo in cui ogni singola cosa trova il suo posto, come un gruppo di orchestranti confusi che non sanno dove sedersi per iniziare a suonare. A me non importa davvero niente di più, finchè mi capiterà ancora di voltarmi e accorgermi che ci sarà lì qualcuno e nello stesso momento che quel tutto sta diventando musica, una musica bellissima, la musica vorrei che fosse. 

Questa è la canzone, Secrets, degli One Republic.

*… Paura Del Buio …*

Qualche volta ancora lo faccio. Mi sposto da un punto all’altro della casa, quando è buio, accendendo tutte le luci che mi capitano a tiro, spegnendo di volta in volta quelle che mi lascio dietro. Fa tanto effetto discoteca, e fa tanto anche matta, eh. Magari la cosa più sensata sarebbe accenderne solo una e orientarmi con quella anche nelle stanze più buie. Invece no. Quando mi va, giro direttamente al buio, cercando di non sbattere contro porte e muri. Cercando di prevederne le posizioni un po’ come farebbe un pipistrello. Procedendo sicura, sicura di farmi un livido, si intende.

Come a dire che, o hai paura del buio o non ce l’hai. Non c’è una via di mezzo.

E non è detto che una volta deciso, se avere paura o no, la decisione vale per sempre. Certe volte non vorresti altro che il buio intorno e tiri la coperta su fino ai capelli, altre ti metti a cantare sottovoce passeggiando fino alla metro, di sera, uscendo dall’università, salvo zittirti all’improvviso al semaforo pedonale, dove c’è qualcuno che aspetta con te di attraversare. Certe volte prendi la mano di una bambina e le dimostri che effettivamente nella sua camera non ci sono lupi nascosti negli angoli bui, altre invece giureresti di sentirti osservata mentre porti fuori la spazzatura e l’unico lampione spento della strada è sempre quello fuori casa tua.

Riflettevo su queste cose negli ultimi giorni. Sulla paura del buio. Sulla mia personalissima paura del buio.

Il buio nella mente. Il buio nei giorni. Paura che, mentre ti rechi a svolgere le tue faccende, camminando per strada, tutto intorno diventi vuoto e meccanico. Che una coperta grigia si posi su tutto. Sui palazzi, le auto, gli alberi, sulle nuvole, sul sole, su di te e sulla tua volontà, sui tuoi pensieri e speranze, sulle tue intenzioni, su ciò che sai e peggio ancora, su ciò che non sai. Paura che tutto diventi ingestibile, che ne sfugga il senso. Paura che la testa si ficchi in qualche abisso e non riesca a tornare indietro. Paura di rimanere intrappolata, di diventare prigioniera di se stessa.

Inutile dirsi non avere paura. O c’è o non c’è. Aspetti che quel giorno passi, trattenendo un po’ il respiro. Aspetti che quella coperta si dissolva così come è apparsa. Al massimo capita che, volgendo lo sguardo a terra, scorgi una fiammella abbandonata da un fuoco più grande passato poco prima di te, di accoglierla tra le mani e portarla via. La proteggi dal vento e dall’effetto disastroso della coltre grigia. Non ci soffi sopra per farla diventare più grande. La porti a casa. La lasci sul comodino a riprendersi dalla brutta giornata, le chiedi se ha bisogno di qualcosa per rimettersi in sesto, che può prendersi tutto il tempo che vuole. Tu sarai lì a custodirla. Sarai lì a decidere che domani no, non sarà di nuovo così. Che domani avrà la sua possibilità, mentre la guardi splendere un po’ di più. Tutto sta a te e a darle fiducia. Sai che domani, dannazione, tu e lei potrete essere imbattibili insieme.

Sai che domani porterai a casa un livido, piuttosto. Perchè o hai paura o non ce l’hai. Non c’è una via di mezzo. E senza, non c’è buio che tenga.

*… Confusione …*

Già lo so, va a finire che questa notte non chiudo occhio.

Altro che topi, cani, gatti, lucertole e zanzare.

O lupi. Dieci anni fa Lara aveva le pistole ed io nessuna esperienza, adesso ce l’ho e il convento passa arco e frecce. Con il risultato che la situazione non è poi tanto migliorata. Anzi, volano pure più bestemmie di prima.

Il fatto è che la mia cara A. non può fare certe affermazioni e poi cambiare argomento come se niente fosse. Come se non sapesse che la mia espressione sbalordita potrebbe riaffiorare ogni volta che ripenserò alle sue parole.

Perchè se mi dici che confondi Sant’Agostino con Tommaso D’Aquino nello stesso modo in cui confondi Kevin Costner con Bruce Willis, io posso restarci secca dalle risate, prima, da migliaia di interrogativi mistici, dopo.

E poi non si potrà divagare più su filosofia, musica, torte Sacher e vita e opere di ClioMakeUp mentre si lavora alla tesi.

Un vero guaio.

Quindi, in mancanza di colpi di genio, attendo delucidazioni in merito.

E magari un’altra giornata come questa 😆

*… Ogni Promessa E’ Debito …*

Si dice che la strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni.

Ma giuro che le mie erano addirittura nobili.

Il problema è che di fondo sono imbranata.

E avevo dimenticato che quello in frigo non era limonata. Era pompelmo frizzante.

Panico.

Ma al bimbo avevo promesso la limonata. Come si fa a deludere un paio d’occhioni che ti seguono saltellando per tutta casa?

Così il genio che è in me mi ha suggerito di versargli comunque il pompelmo spacciandola per limonata. Chessò magari non se ne sarebbe accorto.

Infatti sembrava avesse funzionato. Stavo tirando un sospiro di sollievo quando il marmocchio torna indietro e mi fa:

-Ma è amarooo!-

-Ma davvero?- dico io. Sudavo freddo. Stava per sgamare tutto.

-Si … ma non è che…… forse………. mi ci metti un altro po’ di zucchero???

Fiùùù.

-Ma ceerto, vieni qui! Che vuoi farci, certe volte la fanno così amara…-. Crudelia Demon avrebbe applaudito, sono sicura.

Mi guardava con aria sospetta. Però, chissà, magari non mi odia.

La prossima volta però che mio padre chiama il falegname è probabile che non vedrò suo figlio zompettargli allegramente dietro.

 

*… Evvaiiii !!! …*

to-do-list-nothing

Comunicazione di servizio: pare che Bianca, alias Bloom2489, sia stata presa da travolgente euforia post-ultimo-esame, in seguito a festeggiamenti a base di birra e panuozzo, sul quale si è avventata come se negli ultimi due giorni non avesse toccato cibo. In realtà l’ha fatto, ma con la morta nel cuore, tanto che perfino il salumiere che a pranzo le ha venduto una pizzetta che possedeva i requisiti minimi per potersi definire tale, deve aver pensato che stesse per passare un guaio, dall’espressione che aveva in viso.

Si avvisa che nei prossimi giorni potrebbe lanciarsi in riflessioni pseudo-filosofiche miste a improvvisi scoppi d’ilarità, non prima di aver archiviato i milioni di appunti e il librone che ha occupato i suoi pensieri nelle ultime settimane, rito immancabile che avrà luogo non appena avrà la forza di rialzarsi sul divano sul quale è andata a scaraventarsi appena tornata a casa.

Coglie l’occasione per ringraziare le persone che l’hanno supportata (qualcuno direbbe più sopportata) in momenti di acuta depressione durante i quali con grande savoir faire è stata mandata letteralmente a fanculo, soprattutto in seguito a controproducenti attentati alla propria autostima. Tra i tentativi per porvi rimedio, resta memorabile il giorno in cui la sua compagna di (s)ventura A. è piombata alle 8 del mattino sotto casa con Gold degli Spandau Ballet a tutto volume dallo stereo dell’auto. Ricorda anche di aver sperato che i vicini non iniziassero ad odiarla per questo, ma quando il dirimpettaio domenica mattina è partito con tutto il repertorio di Domenico Modugno, mentre lei tentava di trovare un senso alla propria esistenza e a quella dell’equazione dell’equilibrio variato di Eulero, ha desiderato che l’episodio si ripetesse il prima possibile.

Nei prossimi giorni, prima di iniziare la tesi, conta di riappropriarsi del proprio brio ed entuasiasmo e possibilmente non del chilo perso studiando, per la serie l’università-ti-fa-bella.

E più sorridente, già.

 

* …”Do You Understand?” cit. …*

“Aaaaaaaamamiiii come la terra, la pioggia, l’estateeeee
  aaaaamamiii come se fossi la luce di un faro nel mareeeee…”

ARGH! Per un momento ho seriamente pensato mi si fosse materializzata Emma dietro le spalle.

E invece no, era il figlio tamarro del vicino di casa che arrivava a tutta velocità con il volume della radio altissimo. Il che nella perfetta quiete che regna dove abito stona in una maniera pazzesca. Poche case da un lato della strada, sconfinate terre di noccioli dall’altro. Tutto ciò che si sente, a parte qualche macchina, ma solo quelle di chi abita qui, sono solo i cinguettii degli uccelli. E’ una vita che mi chiedo cosa hanno mai da dirsi tutto il giorno. Qualche volta che un merlo si posa abbastanza vicino al balcone di casa, provo a fischiare alla sua maniera. Il bello è che dopo tre secondi di silenzio, risponde pure, ma pur non capendo nulla, non confido su significati diversi dal questa-le-manca-qualche-rotella oppure, nel caso sia del posto, la versione in cinguettii del nel dubbio, a tua sorella. Come dargli torto, d’altronde. Se capita con i gatti, beh, quelli non te la fanno buona. Meaoooow, provi. E loro mettono su la faccia più schifata che hanno degnandoti giusto qualche istante d’attenzione.
Bisogna pur soddisfare qualche inclinazione idiota ogni tanto.

Prima che Emma mi urlasse in un orecchio, riflettevo, oltre che su tutte le maniere in cui una trave reagisce ad un cedimento, sulle parole del mio prof. Una volta a lezione mise su un’aria solenne e disse -Ragazzi, voi dovete avere pazienza. La Scienza delle Costruzioni è come… una bella donna. Ha bisogno di attenzioni. All’inizio pare scontrosa, altezzosa, inarrivabile, ma se vi ci mettete con pazienza e provate e riprovate giorno dopo giorno, vedrete che vi darà soddisfazioni. Inizierete a capirla bene e lei vi svelerà i suoi più profondi segreti. Ha bisogno di essere capita. E potrebbe nascere anche un bel rapporto, dopo.-

Ridemmo. Vabè, grazie prof, questa fa colpo sui maschi, che poi costituiscono la maggior parte della platea. Sulle donne un po’ meno, anzi. Messa su questo piano, l’approccio potrebbe addirittura diventare violento. Diedi poco peso a quelle parole e mi concentrai sull’affrontare in maniera più concreta lo studio. Essì, ora mi metto a fare pure la psicologa. Non basta già il rimediare ogni giorno alle tremile lacune lasciate dal corso.
Nonostante il moto di ribellione, però, alla fine ho dovuto riconoscere che non aveva torto. Certe parole ti restano nella testa e ronzano di continuo finchè non trovano uno spazietto dove posarsi. Mi son dovuta arrendere all’evidenza che lui, nonostante avrei preferito un’indicazione in più su come risolvere un esercizio e una in meno in merito a vizi e virtù della sua bella, aveva ragione. E’ una di quelle materie che non sai da che lato prendere all’inizio. Soprattutto se hai già deciso che non farai mai lo strutturista, ma son cose che devono far parte del bagaglio culturale di un ingegnere comunque. Poi è assurdo, te capisci una cosa e lei te ne rende un’altra, finchè insieme non arrivate a capo della questione. Finisce per piacerti, anche se non lo ammetteresti con anima viva.

Si da’ il caso che io sono più istintiva di ciò che sembro. Se una cosa non mi piace, non mi piace e basta. Non lo so nemmeno spiegare. Remo contro e finisco spesso per fare a capocciate con chi viene nell’altro senso, ma è più forte di me, se ho intravisto una strada che sento affine devo raggiungerla, pure se è disastrata o inadeguata. E’ mia, e ne ricaverò qualcosa di buono, di sicuro, nel percorrerla. Il “di sicuro” fa parte dell’istinto. Magari ci fosse qualcuno che dispensi certezze, di tanto in tanto. Macchè. Figurarsi che me l’ha letto in fronte anche la commessa delle gioielleria, ieri pomeriggio. In cerca di un regalo, insieme a mia madre, all’improvviso le fa dei complimenti per i suoi orecchini. -Me li ha regalati lei- dice, riferendosi a me. -Eeh, si vede che a te non piacciono le cose che piacciono a tutti!-. Grandioso, penso, pure questa adesso. Le avrei risposto si, e per punizione le cose che piacciono a me non piacciono mai a nessuno. Ma le ho sorriso e basta.

Capita, poi, come dicevo prima, che qualcosa mi fa cambiare idea. Tante storie per poi convincermi che, dopotutto, l’altro punto di vista non è poi così sbagliato. Basta lasciarsi andare, un po’, giusto il tempo di dare una sbirciatina dall’altro lato. Come quando cerchi la prospettiva migliore per scattare una foto. E se ne può trovare una che sia anche leggermente migliore.
Forse questo significa imparare. Allargare gli orizzonti e non fossilizzarsi su quel minimo raggio che possono coprire gli occhi ruotando lo sguardo, tenendo la testa ferma. Se giri la testa vedi più cose. Devi farlo però, e ciò che vedrai potrebbe sorprenderti.

In fondo ciò su cui insistono tanto i prof è, oltre alle nozioni, il dare una prospettiva. A loro interessa, e ne ho avuto la prova più di una volta, che si esca dall’università come persone che hanno spessore, che sanno cavarsela. Che sanno guardarsi intorno e costruire qualcosa di buono. Tra un anno magari dimenticherò come si fa un diagramma del momento, ma che l’apparenza è poca cosa rispetto a ciò che può celarsi dietro di essa penso proprio di no. E saper affrontare così tante altre questioni, non solo la Scienza.

Tutto ciò mi sembra così importante adesso, quasi alla fine. Avessi qualche rotella a posto, come auspicherebbe il merlo, tutte queste storie non le farei. Invece se mi trovo davanti ad un muro, bello alto, che sia un prof sibillino o una difficoltà qualsiasi devo riuscire a guardare oltre, mettercela tutta per mettere almeno il naso oltre quell’ammasso di cemento. Che non m’aiuta nemmeno l’altezza. Non mi do’ pace, però, finchè non riesco a capire, per sentirmi a mio agio e un po’ più sicura. Poche cose odio come il sentirmi inadeguata, soprattutto se poi non è nemmeno vero.
Chissà se ciò significa che son riuscita pure a ritrovarmi. Se ho trovato la mia sintesi. Però questo riguarda Hegel e le mie pippe mentali.

Non è poi così tanto tanto male la canzone di Emma.