Le bugie delle verità

illusione inganno distanza realtà

Delle sale d’aspetto dei medici non sopporto quelle riviste lasciate lì sui tavolini mezze sgualcite, con le pagine mancanti e risalenti a mesi e mesi fa. Sembrano un inganno.

Insomma, tu sei lì certamente non per rilassarti. Perché dovrebbe interessarti il colore del vestito che la Regina Elisabetta ha indossato in questa o quell’altra occasione mentre sei lì che ti aspetta la siringa dell’anestesia alle gengive che no, per quel dente non c’è più nulla da fare e ti fa un male cane e deve essere tolto al più presto?

Approfondimenti politici, tagli di capelli dello scorso autunno-inverno, cara posta del cuore, mio marito non mi guarda più, cosa posso fare, la ricetta del pollo al curry con riso basmati che tu rifarai senza curry e senza riso basmati perché non hai tempo di passare al supermercato a comprarli.

-Guarda, qui c’è notizia di TAC con turbo. Capisci? Tu con questa tumore … booom-

Osservo la signora bionda mentre accompagna con movimenti della testa quell’ultima parola. Poi però mi accorgo che di fondo la muove involontariamente a causa di qualche tic. Non capisco bene cosa intende, ma annuisco.

In quella sala d’aspetto oltre alle riviste ci sono dei poster dei luoghi più belli della costa campana. Decisamente lontani in molti sensi. Dalla percezione dell’inganno la mia mente passa direttamente a quella della presa in giro. Lì, al piano meno uno, alla fine di un corridoio che sembra il set di un thriller, illuminato a tratti da luci al neon e sulle cui pareti corrono tubi di diverse dimensioni che portano acqua, gas e corrente al resto dell’edificio ospedaliero, cercano di farti pensare al mare e al sole e al vento che ti mette i capelli in disordine e alle barche da fotografare e pubblicare su Instagram dopo aver applicato un filtro che ne esalti fortemente i colori.

Eppure l’ambulatorio della radioterapia è uno dei pochi posti al mondo nel quale le bugie che ci si racconta sulla vita e sul mondo stesso vengono vergognosamente messe a nudo. Ti rendi conto, lì sotto, di tutte le illusioni nelle quali hai vissuto fino a quel momento. Finiscono distrutte, sì, anche se non prima di aver lottato.

Avvengono delle vere e proprie battaglie di sguardi tra tutti quelli che sono lì ad aspettare. Ho cercato di nascondere il mio ovunque, ma è come se ci fosse una legge non scritta che obbliga prima o poi a guardare negli occhi una o più persone vicine a sé. Mi volto verso la persona che ho accompagnato e capisco che ha dovuto cedere anche lei, nonostante io sia riuscita lo stesso a notare la presenza di quella barriera che alza di solito quando decide che di sé a tutti gli altri non racconterà proprio un bel niente.

La signora bionda ad un tratto inizia a piangere. -Terza volta… Dottore dice… Ancora-.
Una donna molto abbronzata elabora il momento molto più in fretta di chiunque altro e le risponde cercando di consolarla e chiedendole qualche dettaglio in più. Mentre la signora bionda cerca di spiegarsi in una lingua non sua, io non riesco a fare a meno di notare che ha scelto di sedersi lontana da tutti.

Gli occhi e le orecchie sono le uniche parti di me che riescono a superare quella distanza imposta. Insomma, si trova laggiù eppure ha attirato l’attenzione di tutti lo stesso. Mi sento come incastrata e la osservo frustrata come si fa con le nuvole a cui non puoi impedire di esplodere di pioggia perché non puoi in nessun modo raggiungerle.

Da lì in poi le maschere iniziano a cadere, una ad una. La signora anziana alla mia destra parla del motivo per cui si trova lì. Sua figlia e suo genero completano il racconto con informazioni sulle loro vite che sembrano importanti quanto le cose scritte nelle riviste. Pian piano la testa si riempie di immagini e di domande sulle loro vite e sulle loro scelte.

La magia dell’illusione si compie, inesorabile, da sola, una volta ancora.

ComeDiari #13: Ostacoli

shutterstock_314956658.jpg

Se un ostacolo ti capita davanti ai piedi due volte, allora vuol dire che c’è una qualche lezione che dovevi imparare e alla prima occasione non l’hai fatto.

Così si dice, almeno.

Non è il fatto in sé per sé che mi urta, ma proprio il suo ripetersi. Con tempi, circostanze e attori diversi. Perché?

Ah sì, la lezione.

Ci ho pensato su tutto il giorno. Non proprio in quest’ordine mi è venuto in mente:

-Non dare più fiducia a nessuno, nessuna persona di nessun genere, età, sesso e condizione sociale. L’idea più immediata e ovvia.

-Mai più distrazioni di nessun tipo. Niente progetti per il futuro, niente shopping, letture, social, modi alternativi di conoscere la vita oltre l’università. Insomma, se succedono certe cose è perché faccio passare troppo tempo distraendomi. 

-Piangermela da sola. In solitudine completa. Che però è più una conseguenza del primo punto.

-Perdonare. E prendersi non troppo sul serio. Arrabbiarsi non serve a niente. E tutti possono sbagliare.

-Imparare ad incassare ed essere pronta poi a ripartire. La vita vuole che io da carne ed ossa diventi di plastilina. Possibilmente profumata e di un colore sgargiante. La storia della resilienza ce la dimentichiamo? E su. 

Ma cos’è una lezione?

Nel senso, davvero c’è sempre una morale? Una e una sola, che ci aspetta paziente alla fine di lunghe telefonate e imprecazioni insensate? Aspetta davvero che passi l’ultima lacrima sul viso o l’ultimo pensiero di fumo dalla testa?

E’ che, capite, due volte. Due volte lo stesso ostacolo. Qualcosa deve pur significare, no?

Beh, ho capito una cosa. La morale dipende da noi. Non facciamo che sceglierci quella che più ci piace di volta in volta e quella ci da’ la direzione che avevamo perso e che ci serve per raggiungere il prossimo obiettivo. Insomma, dipende dalle nostre intenzioni. Quali azioni vogliamo giustificare. Dal modo in cui vogliamo vedere la realtà.

Oggi però di morali non ne ho scelte. Ho cercato una soluzione e basta.

Dove c’è un ostacolo, c’è anche una soluzione.

E questo mi ha fatta star bene più di qualsiasi altra grande verità nascosta.

 

 

La fata che intervistò l’unicorno: l’Intervista, parte 2

[continua da La fata che intervistò l’unicorno  ,  L’Incontro e L’intervista-parte 1]

WhatsApp Image 2017-11-07 at 21.32.21 (2)

-Beh adesso allora capisco che tipo di spasimanti hai! Senti un po’… Tu sei un unicorno social. In particolare utilizzi Instagram. Perché? Insomma, perché la gente dovrebbe seguire un unicorno?

-Non ti passi neanche un secondo per la testa, mia dolce bipede, che possa fare la fine di quegli stramaledetti fenicotteri rosa di questa estate. Io non sono una moda!
Sono social solo perché i tempi lo richiedono. Non dimentichiamoci che sono portatore di verità e non conta il mezzo quanto il messaggio. Ma quanti riescono ad accedere a quest’ultimo? Potrei sembrare schivo , saccente, permaloso, superbo, presuntuoso…
Ma così disse anche la volpe che non era riuscita a raggiungere l’uva.

Gaetano accavalla –si può dire, sì? Anche se è un unicorno?– le gambe e posa il suo bicchiere vuoto sul tavolino. Io mi alzo e a grandi passi giro per il grande salone poco ammobiliato guardandomi intorno.

-Senti Gaetano, secondo me qualcuno lì fuori scuote ancora la testa. Facciamo così. Io di solito quando devo convincere qualcuno che credo davvero in una cosa, ne parlo male. Eh si. Parlo dei suoi difetti. Niente di più reale. Chi ti vende la perfezione di solito vuole imbrogliarti. Dicci il tuo difetto più grande e un motivo per cui le persone non dovrebbero seguirti affatto. 

-Non dovrebbero seguirmi e non lo fanno perché hanno paura di guardarsi dentro. Di abbandonare la grotta delle loro illusioni… Difetti? Che significa?

-Giustamente. Dai, proponimi un viaggio. Qui su due piedi, adesso.

-Penso lei non sappia volare signorina… Oppure si? Perché in tal caso le proporrei un viaggio sul lato oscuro della Luna…

-Mmh ho capito che ti piacciono le citazioni. Vin Diesel in The Fast and the Furious dice che vive la sua vita un quarto di miglia alla volta. E tu? Quanto vai veloce?

-Spazio e tempo sono assiomi creati dall’uomo. Io non ho vincoli. Non dico di essere immortale, non fraintenda… Semplicemente non sento scorrere su di me il tempo…saprebbe dirmi quanti anni ho?

-A occhio e croce diciamo…  Beh, no. No. Effettivamente non saprei.

La smetto di gironzolare e mi siedo di nuovo sul pouf. Con la coda dell’occhio vedo che il bicchiere di Gaetano è di nuovo pieno. M.. Ma come ha fatto? Se io sono sempre stata qui e lui.. Vabé. Osservo i suoi occhi. Ad un tratto è come se fossi anni luce lontana da lui e allo stesso tempo praticamente tra le sue braccia. E’ questo l’effetto che fa il mito infuso nella realtà? Sprigiona un profumo familiare ed estraneo insieme e mi accorgo solo ora che quello di bagnoschiuma ormai è svanito. Come il Bourbon dal mio bicchiere. Ops.

-Quand’è che invece rallenti, ti fermi..? 

-Mi fermo quando vedo violenza. Violenza gratuita. L’uomo è capace di troppo male. Non è come gli altri animali che se attaccano lo fanno per necessità o autodifesa…
Tutto assume dei contorni troppo sanguinolenti. Lì mi fermo e piango. Si dice che le nostre lacrime bevute dalla terra abbiano il potere di far rinascere a vita nuova.

-Sono d’accordo. Ti è mai capitato che fosse la vita a fermarti? E come hai reagito quella volta? 

-Quando ho perso mio padre. Centinaia di anni fa… Provi a fare un salto al Metropolitan di New York. Mia madre ha tessuto col suo crine gli arazzi che voi umani definite “La caccia dell’unicorno”. Beh… Quello era mio padre… E mia madre è morta di crepacuore…Serve aggiunga altro?

Rivolgo di nuovo lo sguardo all’arazzo alla sua sinistra. Allora l’unicorno raffigurato è… Cavolo. Avverto un brivido che mi ricorda la sensazione di spavento e incanto che l’immagine mi aveva suscitato all’inizio.

-Cos’è che ti ispira? 

-L’amore. L’amore è l’unica cosa che può donare vita eterna…

-Scopriti, Gaetano. Qual.. No! No, insomma… Oh! Dicevo… Mostraci come sei.. Dentro. Una paura, un incubo. Cosa turba i sogni di un unicorno?

-I miei sogni in realtà sono salti nel tempo. Rivivo le gesta dei miei antenati. Faccio mie le loro passioni e la mia paura è quella di morire della loro morte ad ogni risveglio.

-E invece qual è il tuo sogno?

-L’età avanza e sento la necessità di dover lasciare un segno del mio passaggio nel vostro mondo. Forse è il caso che inizi a cercare la mia futura ex moglie, madre dei miei… Dodici cuccioli? Pare che come numero abbia portato bene in passato…

-Gaetano e questo invece cos’è? E’ un sogno o è la realtà? 

Mi guarda negli occhi per un tempo che non so definire. Lo osservo anch’io. Ad un tratto mi accorgo che non sto aspettando una sua risposta, ma solo che quest’ultima pian piano affiori da me, stavolta.

Finiamo per ridere. Poi si congeda portando con sé il bicchiere di nuovo vuoto e sparisce alla destra del salone, nella penombra.

IMG_6594

Arazzo medioevale appartenente al ciclo “Caccia all’unicorno” – Metropolitan Museum of Art, New York

Se volete sapere di più su Gaetano, insomma conoscerlo meglio, lui è su Instagram come gaetanounicornonapoletano, OPPURE lo trovate QUI –> Gaetano Unicorno Napoletano
Per info e curiosità scrivete nei commenti 🙂 

 

La fata che intervistò l’unicorno: l’Intervista, parte 1

WhatsApp Image 2017-11-06 at 11.39.06

[continua da La fata che intervistò l’unicorno  e  La fata che intervistò l’unicorno: L’Incontro]

Con la coda dell’occhio noto un altro arazzo alla sinistra della finta libreria. E’ in stile medioevale e raffigura un unicorno circondato da persone armate. Un tempo antico. La paura dell’uomo davanti a ciò che è diverso. Quell’immagine è spaventosa e attraente. Insomma fa un certo effetto. Come se non fosse già tutto abbastanza misterioso, oltre che fuori le righe. La voce di Gaetano riporta la mia attenzione su di lui.

-Bourbon anche per te.

Poggia un altro bicchiere di liquore ambrato sul tavolino. Ma che c’ha i bicchieri già pronti? 

-Io in realtà preferirei un caffè, ma pure l’acqua va ben..

-Solo liquore pregiato nel mio tempio. Sapori di paradiso. Profumo di… donna.

-Quella è di Al Pacino.

-No tesoro. Parlavo del tuo…

-GAETANO, dunque.

-Dai su, presentati come si deve. I miei lettori a questo punto o mi hanno presa per pazza o sono lì in attesa, curiosi di sapere chi sei.

-Io sono Gaetano, Unicorno Napoletano. Sono sempre esistito. Erano i vostri occhi non pronti ad accettarmi. Sono sempre stato al fianco dei miei bipedi preferiti.

Punta lo sguardo nel vuoto.

-Iscrizioni rupestri … Animali strani. Il nostro rapporto con la comunità umana è sempre stato molto.. stretto. In molti sensi. Purtroppo.

-Da dove vieni? Ti prego non dirmi seconda stella a destra e poi dritto fino al mattino che ti mollo qua e…

-Non sei andata poi così tanto lontana…
In origine galoppavo nell’infinito spazio-tempo. Poi è nata la luce e il mio corpo ha preso forma. E’ nato il fuoco e mi è stata insufflata l’anima. E il suono …  mmh. Non era che il rumore dei miei zoccoli.
Sono la nota stonata dell’armonia originaria del cosmo, quella suonata dalle stelle quando collidono. Poi è stata la volta del corno… Su per giù quando si è formata la Terra.

-Facci capire. Sei un po’ come Tarzan al contrario? Sei finito nella giungla urbana mentre eri ancora in fasce e poi sei stato allevato da esseri decisamente diversi da te?

-Io sono un umano, ma con qualcosa in più. Tradizionale ed emblematico simbolo di saggezza, l’unicorno nell’immaginario cristiano poteva essere addomesticato solo da una vergine, simbolo di purezza … ma oggi non ci sono più le vergini di una volta!

-Beh ma un unicorno cos’è che fa tutto il santo giorno?

-Io divoro cultura e cammino spesso tra la gente. Mi avvicino alle anime in pena. Cerco di riportarle in vita prima che sia troppo tardi…

-E sei sicuro sicuro di essere l’ultimo unicorno sulla Terra? E se ce ne fossero altri oltre a te? Nemmeno una.. femmina?

-Sono l’ultimo esemplare di unicorno maschio italiano. Sono in contatto con alcune comunità di unicorni in giro per il mondo. Più volte mi hanno chiesto di raggiungerli ma il mio posto è qui…
Ahimé femmine no. Non in Italia. Al momento grazie ai social sono entrato in contatto con una unicorno inglese. Niente male, ma il suo british humor, credimi, fa appassire ogni mia velleità.

Ti è mai capitato di perdere la testa -di unicorno, ndr- per femmine di altre, ecco, diciamo così… Specie? 

Mediamente mi innamoro dalle quindici alle venticinque volte al giorno. La leggenda narra che i miei antenati, per quanto focosi e passionali, usavano addormentarsi sul grembo di una vergine.
Ecco, il problema è che io non riesco a prendere sonno… E non perché soffra di insonnia quanto piuttosto per il mio amore per la.. patata. In sincerità penso che sia quanto di peggio inventato dal vostro Dio. Mi spiego. Non è possibile starle lontano. Per quanto paffuta, barbuta essa sia, non si può fare a meno di venerare tanta perfezione.
Da lì nasciamo e… lì vogliamo far ritorno ogni qualvolta ci sentiamo soli. E indifesi…

-E al contrario? Mai avuto spasimanti? Del tipo tu sei l’ultimo unicorno italiano e io mi prenderò cura di te?

-Le femmine della razza umana sono una cosa incredibile. L’unica cosa al mondo che ancora non sono riuscito a decifrare. E’ capitato spesso che si proponessero di donarsi a me per la sopravvivenza della mia specie… Ma così, per spirito di sacrificio? Continuo a chiedermelo.

-Sinceramente anch’io. Parliamo di cose serie, Gaetano. Viviamo in un’epoca in cui gli uomini hanno paura delle donne e le donne hanno paura degli uomini. Emancipazione male interpretata da un lato, residui di maschilismo bieco ed ignorante dall’altro. Tu cosa ne pensi?

Le donne urlano all’emancipazione e quando ce l’hanno tutto quello che di meglio riescono a fare è risultare una copia sbiadita dei difetti degli uomini. Ma dico… Dove sono finite la dolcezza e l’amor cortese?
Dove è finito il maschio italiano? MI SI RIZZA IL PELO QUANDO li vedo più depilati di una lolita e poi si affannano a  mostrarsi violenti per farsi rispettare. Non concepisco l’idea di gelosia e possesso. Sembra una lotta alla sopravvivenza della loro specie ma non considerano che per riuscirci devono appunto smettere di lottare. Insomma, di cercare un modo per prevaricare sull’altro.

-Mi sembra interessante. Sai l’anno scorso la parola più cercata e di cui si è più discusso è stata “resilienza”. Quest’anno invece sembra sia “empatia”. Mi piacerebbe sapere cosa ne pensi, cosa significano queste parole per te.

-Resilienza? Sono un essere superiore… La mia testa e il mio cuore sono di unicorno, il mio corpo, la mia carne, di umano. Ad ogni battito per me si accende una sfida di sopravvivenza tra le due specie. La lotta genera dolore…
Empatia… Deriva da ‘emo-pathos’ e per me è una maledizione. Gli uomini ci hanno sempre dato la caccia per i nostri corni, per il nostro latte e il nostro sangue, spingendoci ben oltre le soglie di estinzione. Mi sono sempre sempre sentito ospite. La mia diversità ha fortemente attratto ed altrettante volte allontanato. Le persone si avvicinano per curiosità senza mai fermarsi a chiedere cosa ho da raccontare…

-Sei un personaggio mitologico, epico. Con quale dio greco organizzeresti un party sul monte Olimpo?

-Ancora credi a queste cazzate? Gli dei dell’Olimpo non esistono… Tutti sono potenzialmente esseri divini. Solo che pochi lo sanno.

-Ah beh mi hai stupita! Non mi aspettavo una risposta del genere. Una cosa che proprio ti fa girare i.., ehm, gli arcobaleni?

Le puttanelle sapientone. Loro mi fanno davvero girare gli arcobaleni.

-Allora adesso mi odierai… – mi viene da ridere, ma mi sforzo di rimaner seria. -Per dire che qualcosa è impossibile dico sempre una cosa tipo “Si guarda, sta passando un unicorno!”. Per un unicorno invece cosa è impossibile?!

-“Uh guarda. Una donna che dice una cosa sensata…”

-Adesso si spiega che spasimanti hai! Sei forte. Senti un po’… Tu sei un unicorno social. In particolare utilizzi Instagram. Perché? Insomma, perché la gente dovrebbe seguire un unicorno?

Continua …

 

Se vi va di seguirlo, Gaetano è su Instagram come gaetanounicornonapoletano, OPPURE lo trovate QUI –> Gaetano Unicorno Napoletano
Per info e curiosità scrivete nei commenti 🙂 

WhatsApp Image 2017-11-07 at 21.32.15 (2)

La fata che intervistò l’unicorno: l’Incontro.

writing-woman-with-pen-e1404973806546

[continua da La fata che intervistò l’unicorno]

Quasi quasi me ne vado.

Sarà pure l’ultimo unicorno maschio rimasto sulla faccia della Terra, ma non si fa aspettare così una donna. Tamburello con la penna sul ginocchio destro. Nella mano sinistra ho il foglio con le domande. Ci sono molti scarabocchi. In fondo cosa cavolo gli chiedi ad un unicorno? Che tempo fa tra gli arcobaleni? Se davvero iniziano in corrispondenza di una pentolaccia piena di monete d’oro lasciata lì da uno gnomo di passaggio? Bah.

So cosa state pensando. Cosa cavolo ci fai tu lì, Bloom. Tu hai messo su questa storia. Tu hai parlato di cose divertenti, un po’ folli, forse verosimili. Tra realtà e illusione, fantasia e verità. Adesso sta’ lì e non lamentarti. Lo so. E’ che sono curiosa e la curiosità mi ha portata fin qui. Insieme a voi.

Davanti a me c’è un tavolino basso di legno scuro e dietro un divano di pelle bordeaux. Io sono seduta su un pouf color crema. Scomodo. Appeso al muro, sopra al divano, c’è un arazzo che raffigura una libreria. Insomma, è una libreria finta, disegnata. Per carità, i gusti son gusti. Mi aspettavo profumi esotici. Incenso, vetiver, legno antico. Invece mi arriva al naso giusto una scia di note dolci. Sembra bagnoschiuma da donna. Seguita da una risata femminile. Leggermente stridula, pure. Da quel lato l’ambiente è illuminato ancora meno.

Un fruscio. Uno svolazzo di tessuto liscio, tipo seta. Mi ricompongo.

Eccolo qui! Alla buon’ora. Si siede sul divano bordeaux. Indossa un kimono blu scuro con dei draghi stampati all’altezza del petto. Nella mano sinistra stringe un bicchiere di un liquore ambrato. Scuoto la testa. Quasi quasi la cosa dello gnomo gliela chiedo davvero.

-Carissima Bloom!

-Gaetano…

Ci stringiamo la mano.

-Allora, cominciamo?

Sogni Troppo Grandi e Persone Troppo Piccole

principio_di_covey_1

Al ristorante seduti al proprio tavolo Phil e Claire si divertono a fare un gioco: guardano le altre coppie sedute intorno a loro impegnate a chiacchierare aspettando o consumando la propria cena e cercano di indovinare cosa dicono fingendo una sorta di doppiaggio ironico. Ne escono fuori dialoghi surreali ed esilaranti, ma soprattutto il gioco mostra quanto Phil e Claire siano affiatati e complici. Insomma, una bella coppia.

Mi sono ricordata di questa scena del film Notte folle a Manhattan mentre, in questi giorni, pensavo a tutte le coppie che conosco e a tutte le volte che mi sono fermata ad osservarle curiosa di capire cosa le legasse, cercando indizi tra le righe dei loro discorsi e gli intrecci dei loro sguardi.

Quello che vedo non sempre mi piace. Forse sono solo io che un giorno mi sono svegliata e mi son ritrovata arruolata tra le file -quelle più indietro- dei cinici. Eppure nei discorsi non vedo affiatamento e negli sguardi c’è più ansia che complicità. Il ‘gioco’ finisce quando la mia curiosità si arena in quella che spesso sembra una triste verità.

La questione non è tanto quella classica delle persone che cercano un partner solo per non stare da sole. Più che altro si tratta del fatto che guardando troppo in fondo alle cose se ne trovano tutti i giunti più arrugginiti e gli spifferi da cui fuoriesce tutta la magia. Mi chiedo se quelle persone stiano davvero bene o facciano finta, a loro volta, di indovinare i discorsi più giusti doppiando se stessi in un film di cui nessuno può conoscere la sceneggiatura in anticipo.

Mi chiedo se forse in realtà esistano sogni d’amore troppo grandi e persone invece troppo piccole per riempirli del tutto.

Meglio ritrovarsi in un sogno disabitato, come è successo a me, o in uno tutto sformato a furia di adattarlo alle persone e alle circostanze che ci sono capitate?

Chissà.

Quanto sarebbe bello, però, essere come Phil e Claire.

principio_covey_4

pictures by Bernulia

Io Mi Chiedo Questo

I giornalisti e tutti quelli che si occupano di media danno risposte in genere e, soprattutto, cercano domande. Le cercano negli sguardi delle persone, nella loro rabbia, nei gesti. Colgono impressioni e sguardi. Dei più, il cui sguardo cupo è riflesso, rimbalzato dagli occhi di altri e le cui parole sono copiate, riassunte e rimescolate con qualche emozione del momento, ma propria. Allora senza badare a troppi particolari dal tutto se ne cava una sola domanda più grande. Ed una sola, si spera abbastanza esaustiva, risposta. Anzi no, due. Due campane. Due aspetti contrapposti, due schieramenti, due punti di vista, due persone, due ragazzi, due esseri umani, due famiglie, due dolori, due silenzi urlati senza troppo rispetto, due età entrambe minori della mia. E poi, le stesse paure. E la reale possibilità che diventino fatti sui quali combattere con le parole battaglie davvero molto più lunghe di quelle che invece in pochi istanti si decidono e decretano un sopravvissuto, da una parte o dall’altra, in un tempo insufficiente per pensare.

Questa mattina ho sentito uno di quelli che si occupano di media dire che la mia è una città particolarmente difficile. In un moto di rabbia ho iniziato a pensare alle parole che ho scritto prima e poi alle mie domande.

Perché deve esistere per forza nell’immaginario collettivo una città più difficile di altre, il che non è assolutamente vero?

Perché deve esistere una sola grande domanda e non tante altre sfaccettature che meriterebbero e tanto di essere svelate e urlate un po’ allo stesso modo?

Perché devono esistere dei mostri e non qualche esame di coscienza in più, pesi e misure sfalsati e non umanità per chi, quando capita si trovi dall’altro lato, non suscita nemmeno un minimo di emozione in tutte quelle persone che dimostrano così platealmente di averlo davvero un cuore?

Perché c’è il bisogno impellente di generalizzare sempre su tutto e tutti? Che poi da qui nasce infine la necessità di difendere il lavoro di tutti per il gesto di uno, o la serietà di una città per gli errori di un altro, un out-out così stretto che non lascia spiraglio alla difesa di una cosa ancora più importante, per me, il diritto di tutti a non dover più sentire soltanto tutta una serie di piagnistei e ad una ricerca molto più seria, concreta e razionale della verità.

Essere E Apparire

E’ una domanda che in verità non ho mai sopportato e ricordo che, soprattutto da piccola, a scuola, chi veniva a fartela arrivava sempre con aria saccente e chi era lì per ascoltare la risposta ti scrutava come se dalla tua risposta ne dipendessero le sorti del mondo.

Tu preferisci essere, o apparire?

Ogni tanto la tirano fuori anche nelle radio, quando esauriscono tutte le varianti di è meglio mollare o essere mollati oppure se la pasta è meglio mangiarla a pranzo o a cena. Ovviamente la risposta data dal 90% dei ragazzini, allora, e anche la mia perché poi era come buttarsi in un porto più sicuro, era essere. Giusto per fare bella figura. Il resto, composto da quelli un po’ più popolari, vip, che se la tiravano insomma, si buttava sull’alternativa, come se abbracciasse tutt’altra filosofia di vita.

Con il passare del tempo ho continuato a chiedermi se avessero poi così torto. Se preferire l’apparenza alla sostanza, dare importanza alla forma più che al contenuto fosse così sbagliato, sacrilego come sembrava. Allora mi sono concentrata su cosa significasse non tanto essere, quanto il non apparire.

Pur scegliendo di essere, dando importanza a ciò che si è senza curare troppo l’aspetto, l’impressione, l’estetica, ma più l’interiorità, mostrandosi spogliati di qualunque maschera o artificio che serve a piacere e forse a piacersi, anche, si è sicuri di non apparire mai? Esiste un modo per annullare l’apparenza?

La prima cosa che mi viene in mente sono proprio i blog. Per quanto sembri che espressione migliore dell’essere non esista perché ci si racconta, si esprime in qualche forma ciò che si ha dentro, neanche qui io penso si annulli completamente la componente apparenza, pur non essendoci fisicità. Allora ho pensato che forse il non apparire sia legato alla sobrietà, alla mancanza di vanità, ma allo stesso tempo qualunque tentativo di non apparire costituisce pur sempre un’apparenza che qualcuno comunque noterà.

Allora forse non è importante scoprire se sia giusto o sbagliato tenersi o no nella maggioranza, quanto chiedersi se non è la domanda stessa a trarre in inganno perché in effetti la scelta non esiste, non esistono due verità che si escludono a vicenda. Sono connesse, invece, in tanti di quei modi che non se ne potrebbe finir mai di parlare. Semplicemente ho iniziato a vedere l’apparire più come un tenersi nei binari del come si vuol essere, cosa per la quale si potrebbe lavorare anche una vita intera, prima di riuscirci.

The Blue Umbrella - Disney Pixar

The Blue Umbrella – Disney Pixar

*… Patrizia …*

Quando parecchi post fa scrissi che una volta realizzato un sogno ci si sente come fermi in un posto da cui si può guardare alle proprie spalle e allo stesso tempo dare una sbirciata in avanti e parlavo di una nuova rotta da tracciare, non credevo sarebbe stato poi così difficile perfino il reperire carta e penna e idee e voglia. Pensavo sarebbe stato tutto più naturale, più automatico, più semplice. Invece mi sento come se fossi bloccata in un porto e ogni volta che provo ad uscir fuori c’è una tempesta terribile e per evitare di distruggere la barca e finire in mare, da sola, perché intanto la ciurma ha fatto ammutinamento, pure, resto all’interno, ad aspettare che esca il sole.
Senza contare che lì, nel porto, mentre aspetto con la faccia imbronciata, non con le braccia conserte perché morirei di noia, ma facendo tutto fuorché ciò che vorrei davvero, non riesco più a capire chi mi sta intorno. Sembra abbiano iniziato tutti a parlare arabo. E io mi son persa pure il traduttore. Vedo solo un andirivieni di persone, organizzate in gruppi o da sole. Vedo passare qualcuno dei miei marinai che fa comunella con altri che non conosco. Li guardo e mi sento un’estranea. E mi sono scocciata anche di corrergli dietro cercando di afferrare una o due parole che magari traduco male. Da quel poco che capisco, però, sembra che tutti conoscano verità ed etichette alle quali credono ciecamente o fanno soltanto finta di crederci. Bisogna pur credere in qualcosa. Qualcuno ha dei progetti che per quanto prevedano percorsi talmente contorti che mi viene mal di testa soltanto ad ascoltar loro parlarne, gli permettono di sorridere almeno un attimo prima di addormentarsi la sera a letto. Penso che saranno anche fatti suoi, ma dovrebbe smetterla di andare in giro guardando gli altri come se avesse trovato la ricetta della felicità cazzi tuoi se fai diversamente perché poi a me non sembra che per il resto della giornata la sua faccia sia migliore della mia. Certe volte mentre riparo assi di legno o faccio l’inventario delle provviste rimaste qualcuno viene a dirmi che non importa quando sia terribile la tempesta, l’importante è buttarsi. Che non fa niente se dopo mezzo metro un’onda ti sommerge o una potente folata di vento ti spezza l’albero maestro. L’importante è che ci hai provato.
Per me non farebbe una piega se non fosse che la scelta dell’opzione buttiamoci-tanto-possiamo-sempre-tornarcene-a-nuoto sia condizionata non tanto dalla propria volontà ma dagli sguardi di chi ti sta intorno che si sta chiedendo che cazzo stai aspettando mentre non si rendono conto di esser ciechi nei confronti della tua tempesta quanto tu lo sei nei confronti della loro. E sono stufa di chi sorride per far si che gli si sorrida di rimando ma solo alla presenza di terzi che lo notino. Il mio sorriso si è incastrato tra un treno della vita e un ballo della felicità trovati su whatsapp l’altro giorno e la sera dopo ho fatto fatica a tenere a bada il mio cuore che saltellava allegro per un paio di ritornelli ascoltati mentre la tv era distrattamente accesa sul festival di Sanremo, proprio mentre notavo che il pronunciare critiche nei suoi confronti è diventato un sport nazionale quanto lo è il lancio delle frecciatine al di fuori di un campionato di tiro con l’arco. Notavo che non me ne fregava niente perché ogni critica non fa che auto-ingigantirsi come quei cereali che mangiano i pezzi di cioccolata che gli corrono intorno solo per far più paura alle altre.

Mi sono chiesta allora che ci faccio tra persone che non riesco più a comprendere. Qual è il mio posto tra tutti questi riferimenti che non mi arricchiscono più, che non trovo più positivi, che non mi spingono ad essere migliore. Che non mi ispirano a tracciare la mia rotta. So che non è nemmeno saggio fuggire da ciò che non piace sentire, ma allo stesso tempo bisogna saper prendere provvedimenti se in qualche modo finisce per ucciderti dentro. Allora avevo pensato di andare via. Anche solo di uscire dal porto e mantenermi non troppo distante dalla costa, solo in direzione di un porto nuovo, dove si respira meglio. Non verso il mare aperto, che mi aspetta si, ma sono certa che di me non se ne farebbe niente se non fossi almeno un po’ entusiasta di avventurarmici. E pensavo che dovrei lasciare la mia barca per prenderne una più piccola con la quale spostarmi più agevolmente.

Poi ho pensato che quella barca è la mia vita. Che abbiamo condiviso tanto insieme, abbiamo fatto mille percorsi e ci sono cresciuta. Contiene tutto ciò che di più bello e brutto e stupido ed emozionante ho incontrato negli ultimi anni. E supererà anche questa. Magari le cambio un po’ look, chissà. Che si fottano tutti. Andremo insieme verso nuovi porti, verso il mare, verso chi conta davvero. Di sicurezze non ne ho nemmeno io, ma credo che il posto giusto lo si trova restando almeno coerenti con se stessi.

E io vorrei solo essere così come mi piace essere, niente di più.

 

* . . . Safe To Shore . . . *

Ieri pomeriggio ho risentito alla radio questa canzone che mi piacque tantissimo l’estate scorsa, un gruppo emergente…
E c’è questa strofa che ho amato molto:


“Some days I don’t know if I am wrong or right

Your mind is playing tricks on you, my dear
‘Cause though the truth may vary
This ship will carry our bodies safe to shore

 

 

Perchè mi piace tanto?
E’ una sorta di promessa.
Nonostante la mente possa giocare brutti scherzi. Nonostante a volte ci si possa chiudere nella trappola mentale che si stia sbagliando tutto. Nonostante si possa aver paura di ciò che sarà, o non sarà.
La barca, sulla quale ciascuno di noi sta viaggiando, spesso facendo più o meno lunghi tratti insieme o a volte incrociandoci soltanto, ci porterà al sicuro, sulla spiaggia, anche se le carte in tavola cambiano e se le certezze vanno a farsi fottere, con buona pace dei propri equilibri.
Al sicuro.

Certo che una promessa non è che appare dal nulla, non si regge da sola. Qualcuno deve pur farla. E non una persona qualsiasi, nemmeno la più importante della propria vita. Ognuno dovrebbe farla a se stesso. Anche nel silenzio, o nel troppo rumore, dei propri pensieri. Anche senza ammetterlo con gli altri. Non importa quanto sia burrascoso il viaggio e ingarbugliato il percorso, l’importante è sapere che stiamo andando esattamente verso … noi stessi.

734088_10151504211257722_381191963_n