Le tre regole dell’albero di Natale

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Qualche giorno fa mia madre mi ha chiesto se esistono, chissà, delle regole per addobbare un albero di Natale. Lì per lì le ho risposto che grandi regole non credo ce ne siano, anche se spesso latita decisamente il gusto per i colori e le proporzioni.

Ormai ne ho già visti diversi, sia dal vivo che in foto, tramite vari social.

Una volta pensavo che esistessero semplicemente due correnti di pensiero a proposito: ci sono le persone che addobbano alberi veri o finti secondo la moda e quelle che usano le stesse decorazioni praticamente da sempre. Tra cui ci sono io, che utilizzo anche lo stesso albero che conserva un ottimo aspetto nonostante abbia ormai alcuni rami riattaccati con il fil di ferro.

Poi basta, tutto qui.

Eppure. Secondo me c’è dell’altro.

C’è chi ad esempio sostituisce l’albero enorme con uno piccolo perché tanto i bambini sono cresciuti e quindi a che serve. 

C’è chi lo compra tutto bianco. Sì, quello con i rami completamente bianchi. Quello che io non capisco molto, ecco.

C’è chi assolutamente ci mette su i ‘fili d’angelo’ anni ’80. Qualche anno fa li ho messi anch’io ma si ingarbugliano tutti e quindi mi è bastato e da allora li ho lasciati nello scatolo insieme alle palline senza gancio.

C’è chi in cima mette il puntale e chi la stella. In realtà ho visto anche orribili teste di Babbo Natale ficcate sul punto più alto dell’albero o dei fiori di stoffa che.. Boh. Io alterno. Quest’anno tocca alla stella, ma anche il puntale mi piace, nonostante faccia somigliare l’albero ad un grosso ricevitore di messaggi provenienti da universi alieni.

C’è chi tira fuori dal garage o dall’armadio le scatole piene di palline e serie di luci quasi prima di dicembre e chi lo fa quando ormai è già il giorno 23, per metterci i regali sotto il 24, aprirli il 25 e considerare finita l’utilità dell’albero il 26.

Insomma, un albero di Natale dice molto su chi lo fa.

Tipo, a cosa hai ormai rinunciato. Cosa invece non può proprio mancare. In cosa credi. Dove pensi che stia andando la tua vita. Il colore dei tuoi sogni. Se credi più nel passato, nel presente o nel futuro.

Se in casa ci sono bambini.

O gatti.

L’albero svela a tutti se in realtà ti senti solo. Se hai bisogno di sperare che questo possa essere un Buon Natale come gli altri ti augurano o sei già sicuro che sarà unico e irripetibile perché c’è lui lei loro, finalmente. Mostra senza riserve la tua mania per l’ordine o la tua necessità di caos. E’ capace di raccontare perfino se ti piacciono gli ospiti o li vivi come una scocciatura, se cucinerai per il pranzo di Natale o se comprerai cibi già pronti. Sa chi è che ti manca da morire. Conosce a memoria i nomi di tutte le persone che vorresti lì al tuo fianco ad osservarlo. Scommetto che sarebbe in grado di indovinare anche quale regalo vorresti che custodisse per te, fino alla notte di Natale.

Ho pensato molto a quella domanda e alla fine ho tirato fuori tre regole che, ovviamente, valgono esclusivamente per me. E sono:

L’albero deve essere più alto di me. Non che ci voglia molto, ma da che mondo è mondo, l’albero va guardato col naso all’insù.

Gli addobbi devono essere colorati, così come le luci. Niente albero a tema, dorato o fucsia.

Una cosa alla quale non posso proprio rinunciare. La magia. Una volta completo, bisogna fare tre o quattro passi indietro e sentire che effetto fa. Ogni gesto, ritocco o pallina un po’ storta rappresenta ciò che ho dentro. Ed è quello, davvero, il mio Natale.

 

– I’M – A Barbie Girl

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Premesso che non s’è capito ancora bene qual è la definizione di donna curvy -ma si sa benissimo invece cosa si intende per modella d’alta moda- e che mia cugina cinquenne già sa distinguere perfettamente tra ciò che è favola e ciò che è reale, nel senso che fate, draghi e principi esistono ma per finta, ci tenevo a riflettere sulla questione nata sulla nuova linea di Barbie in cui, per la prima volta, le differenze tra una bambola e l’altra non sono soltanto estetiche, in termini di capelli, trucco e abiti, ma fisiche.

C’è già chi si è schierato a favore o contro l’iniziativa della Mattel di rivoluzionare la classica Barbie dalle forme perfette e canoniche creando bambole dalla fisicità più simile a quella delle donne vere, fatta di proporzioni non statuarie -che non si ottengono nemmeno in palestra- ma belle perché uniche e armoniose comunque. Inutile ricordare che Barbie ha fatto sognare milioni di bambine, è stata sia simbolo della rivalsa delle donne sul sesso forte vestendo i panni di mestieri e professioni tradizionalmente maschili che stereotipo della bionda scema ma ugualmente imitata e ammirata da tutti. In questi che sono i tempi dei pari diritti per ogni tipo e forma di diversità, in America hanno pensato bene di aggiornarsi dando la possibilità alle bambine di poter scegliere tra una bambola più in carne, più alta o più bassa rispetto allo storico standard.

Ora, non è detto che questo sia sufficiente a far si che le bambine -e le ragazzine poi- facciano meno fatica ad accettare il proprio fisico, ad amare l’immagine di loro che appare allo specchio, perché in fondo il confronto non nasce con la bambola ma con le coetanee più o meno cattive, con i media e la moda. Per cui la critica che va per la maggiore è quella riguardo il diritto di sognare, in qualche modo così la fantasia va a farsi benedire, la realtà entra prepotente in un mondo fatto di immaginazione e semplicità e per di più nemmeno si risolve il problema. Già perché oltre a questo il punto resta quello della bellezza interiore e del fascino di uno sguardo o un gesto che nessuna bambola potrà mai insegnare. Insomma sarebbe stata una mossa inutile specie oggi che le bambine -ne ho la prova- sono molto più consapevoli della distinzione tra finzione e verità.

Eppure secondo me non è tanto male come idea, specie pensando al fatto che nei decenni tanti stilisti hanno vestito Barbie con delle vere opere d’arte contribuendo a renderla un’icona della moda influenzando non tanto i giochi delle bambine quanto i canoni di bellezza delle donne adulte. Per cui questa piccola rivoluzione potrebbe trasferirsi sulle passerelle, sostare sui cartelloni pubblicitari per poi arrivare finalmente nei negozi e nella vita di donne che, come me, non hanno una taglia 38 ma si sentono belle -a giorni alterni- e lavorano su quei due tre chili di troppo che non sono una colpa ma energia inutilizzata e che ogni giorno di più riescono a somigliare alla donna che desiderano tanto essere. Nella speranza che facciano qualcosa anche per Ken -che nemmeno in versione standard è mai somigliato all’ideale di uomo di nessuna- apprezzo la Mattel per esser stata ancora un passo avanti a tutti e questa volta al fianco di chi si augura che la società riesca a liberarsi di modelli e schemi mentali che ormai non le stanno più bene addosso da tempo.