ComeDiari #18: Chilometri di tempo.

Non ricordo il giorno in cui l’ho deciso. Anzi, in realtà non è stata una decisione presa in un giorno soltanto, quindi ricordarlo sarebbe un esercizio inutile della memoria. E’ stato un po’ come quando sei in ritardo alla stazione, il treno è già fermo alla banchina e le porte stanno per chiudersi da un momento all’altro. Allora ti avvicini alla prima, che è l’ultima del convoglio, pronta per salire su. Poi pensi che se affretti il passo forse riesci a raggiungere la porta successiva con il vantaggio di evitare la folla che si è creata in fondo al treno. Arrivi alla penultima porta, ma di nuovo ti stuzzica l’idea che correndo un po’ ce la fai a salire sulla carrozza centrale dove aumentano le probabilità di trovare un posto a sedere. E così via, corri di porta in porta, finché il fischio del capotreno ti ricorda che devi prendere una decisione e salire.

Mi sono ritrovata a correre sulla linea del tempo, di giorno in giorno, senza fermarmi. Non è da me e sinceramente non credevo nemmeno di avere tutto questo fiato. Far mente locale per rendersi conto di quanto fiato sia rimasto nei polmoni è una cosa che di solito fa chi ha deciso da subito quanto lontano vuole andare. Insomma, lo fa chi ha una destinazione. E’ la differenza tra chi viaggia e chi invece scappa e io non avevo idea di dove sarei voluta arrivare.

Ho sempre trovato che la fuga sia un’alternativa tra le peggiori. Sono una che resta fino alla fine, il che però forse dipende più dal fatto che faccio fatica a riconoscerne una e questo è il motivo per cui il mio inconscio ce l’ha a morte con me e mi mette i bastoni tra le ruote in continuazione.

Giorno dopo giorno mi sono accorta di aver messo una distanza tra me e quella brutta sensazione. Una distanza temporale. Quella vera, fisica, c’era già e l’avevo già invano combattuta. Io non mi accorgo nemmeno di quando qualcosa mi ferisce nel profondo. Se me ne accorgo in genere ci metto tempo, altrimenti uso quei cieli neri per appenderci le stelle come più mi piace. Ieri ho fissato un punto azzurro sopra i palazzi della mia città e mi è preso un colpo quando mi sono resa conto che da quel punto l’Universo mi osserva una volta ogni ventiquattro ore e che quindi non è fisso, altroché, il cielo è l’inganno più riuscito della Natura.

La sensazione era ed è ancora che non sarebbe mai cambiato niente.

Sarei rimasta invisibile e incastrata in un eterno eccitante inizio a cui non seguiva niente. Avrei continuato a sperare di vedere, toccare, sentire quella persona così come si era presentata all’inizio. Mi ero ritrovata ad inseguire parole e gesti che esprimevano desideri e sentimenti per me, a dipendere da quelle brevi e intense felicità, intervallate da silenzi lunghissimi, incomprensibili, dolorosi. Mi dicevo ogni volta che forse non avevo usato le parole giuste, che dovevo amarlo meglio. Insomma, che era colpa mia se di nuovo se ne era andato.

Avevo arredato così bene quel cielo che quando sentivo la sua mancanza mi bastava guardare le stelle per sentirmi vicina a lui. Le ripassavo una ad una con lo sguardo, l’avrò fatto decine e decine di volte. Ogni tanto di notte mi capita di risentire la magia che pensavo ci unisse, che lui diceva ci unisse.

Quando mi sveglio però tutte le sensazioni implodono nel petto schiacciate dall’evidenza dell’esperienza. E fa male.

Quando la quarantena ci ha rinchiusi tutti ognuno nella propria tana ho potuto notare che la sua non faceva poi così schifo come raccontava. E la differenza tra ciò che è e ciò che pensavo che fosse si è fatta così evidente che non sono riuscita a fermarmi più. La dissonanza aveva un’unica spiegazione, quel che dice non coincide con quel che è. Lui non esiste. Ho corso ancora e cercando di non guardarmi indietro. In fondo sarebbe stato contro natura restare ancora a lungo immobile nel suo cielo.

19 pensieri su “ComeDiari #18: Chilometri di tempo.

  1. Molto bello questo tuo post Bianca. Penso che qualche volta inaspettatamente quel treno che sta per partire possa avere un lieve ritardo che ci permette di affrontare la corsa in avanti con più fiato, fintanto che il cielo resta azzurro e lascia che il sole ci fa l’occhiolino. Nel frattempo cambi direzione allo sguardo e qualcosa cambia. In meglio. È la vita.
    😊

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  2. Post bellissimo, intimo e profondo…
    non sapendo che dire, sperando di non esser frainteso, l’unica cosa mi è venuta in mente post lettura è che a volte noi proiettiamo negli altri una sorta della persona perfetta che risponde perfettamente ai nostri canoni in ogni angolo, sfaccettatura e perfino momento… è una cosa naturale perchè dal pensiero che la nostra cultura troppo spesso trasforma in ossessione di conoscere l’altro quanto te stesso (che poi anche qui potremmo parlarne), spesso veniamo feriti dal quella proiezione che si sfuoca magari anche solo di qualche centimetro rispetto al nostro ipotetico lui, rispetto a quello che avremmo fatto noi o che noi avremmo pensato lui/lei facesse… ora non sto dicendo che questo sia il caso del tuo post, non avendo nessun elemento non me lo permetterei, però la sua lettura mi ha portato qui.. a quella sensazione automatica di proiezione ologrammica dell’individuo che facciamo ogni giorno con pesi diversi nelle persone che ci circondano e che ci causano inevitabilmente piccoli frammenti di rotture o crepe che soffriamo fino a quando non riusciamo a renderci conto che basare il nostro pensiero su un tempo statico non potrà mai portare ad un risultato differente, e il modo migliore per rendersene conto (che purtroppo non basta perchè tendiamo a dimenticare per natura) e pensare ai noi stessi di 2, 5 , 7 anni fa e a come quel pensiero, quella proiezione molto probabilmente non sarà la stessa che c’è oggi… ho sempre pensato che c’è qualcosa di matematicamente sbagliato nel nostro modo di interpretare gli altri da cercare un modo per vivere smettendo di farlo, o almeno cercando altri modi… eh… beh… è possibile io stia ancora continuando a sbagliare, nonostante tutto…

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    • Grazie per aver condiviso i tuoi pensieri Erik, è vero che bisogna superare l’idea che ci si fa di qualcuno, ma questo avviene con la conoscenza, tutto qui. Nel mio caso quella persona si è nascosta e parlo di anni durante i quali accampava scuse di ogni tipo che, per carità, potevano starci ma il suo comportamento doveva dipendere da qualcos’altro per forza.. Se dopo anni ti accorgi che sei da solo a lottare per superare tutti i muri che di continuo l’altro ti mette davanti ad un certo punto ti chiedi se non ci sia altro oltre la semplice paura di mettersi in gioco. Forse bisogna arrendersi all’evidenza che non c’è nulla di più oltre quel poco che ti ha mostrato.

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      • ovviamente non potevo riferirmi al tuo caso, però permettimi di rimanere nel dubbio nel punto in cui affermi che avviene con la conoscenza… non è sufficiente quella, rispetto al mio discorso generale ovviamente…

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      • si certo, ma potresti anche doverla poi riprendere dopo un pò.. nel senso che non arriverai mai ad un punto statico perchè le persone cambiano, loro.. noi stessi… non ci sarà un momento in cui si potrà tirare una somma… ma lo faremo in ogni caso… è vero che probabilmente ad un certo punto quel valore sarà molto vicino ad un ipotetica verità ma lo è altrettanto che potrebbe essere anche un macroscopico errore… ed è su questo punto che facciamo più fatica a convincerci perchè da sempre noi ricerchiamo sicurezze anche dove, per natura, esse non esistono..

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      • Si la certezza assoluta non si avrà mai. Ma a questo punto la differenza la fa l’intenzione di andare avanti, condividere, fare la strada insieme, una volta ci si fraintende e una ci si capisce cercando ovviamente di tenere il bilancio in positivo

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  3. ho cliccato d’istinto mipiace e indubbiamente mi piace quello che hai scritto, ne percepito l’urgenza, il respiro corto nell’inseguire qualcosa o qualcuno, ma, al di là della metafora iniziale, fascinosa e precisa, nelle tue altre parole mi sono perso, non ne ho afferrato l’essenza. Non ho capito se questo lui che in qualche modo ti ha deluso è il cielo, un uomo, il tuo uomo, Dio o il tuo inconscio, con cui ti sei trovata a vivere a stretto contatto nella reclusione.
    e dire che non è la prima volta che leggo questo brano, forse sto invecchiando 🙂
    ml
    (comunque non smentisco quel mipiace)

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  4. La metafora iniziale è stato qualcosa a cui aggrapparmi per cominciare a scrivere il post. Avevo bisogno di farlo, di scriverlo, di buttarlo fuori dalla mia testa, di riassumere e di non cadere in etichette e giudizi facili che so che sul lungo periodo non mi avrebbero soddisfatta. Si tratta di un uomo, infatti. Non si può chiamare relazione, forse più situazione. Riassumere e nel frattempo cercare di scrivere qualcosa che non valga giusto il tempo di scriverla ha reso il resto del post più criptico. E ho avuto anche un certo timore di gridare un “basta” perché l’avevo già fatto e non aveva funzionato. Allora ho optato per questo andarsene, giorno dopo giorno, con piccoli passi, saldi a terra che prima o poi mi faranno sentire abbastanza lontana, ma vicina a me stessa. Ti ringrazio molto, soprattutto per la fiducia del tuo istinto 🙂

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