Le Vie Del Signore Erano Infinite, Ma Non Arancioni

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Prima di tutto ci terrei a chiarire un concetto, anche se banale: Christo non ha fatto nessun miracolo.

Eh no. Le Floating Piers secondo me non sono quel che tecnicamente si può chiamare “camminare sull’acqua”. Se mi trovo su un’imbarcazione abbastanza grande e ci cammino su mentre la suddetta naviga da un punto A ad un punto B, praticamente, è la stessa cosa. L’unica differenza con la Passerella di Christo è che questa stabilisce un collegamento continuo rispetto all’imbarcazione. Mi sembra, però, che una cosa simile sia stata già inventata. Il molo. Così, per sentito dire. La Passerella non è che un molo che non si interrompe in mezzo al lago. Si tratta di una piattaforma galleggiante.  Di un colore orrendo pure.

Sono troppo critica?

Troppo poco, forse.

Qualcuno ha considerato l’esperienza quasi religiosa, mistica. Molti sono stati attirati per curiosità, altri per l’opportunità di scattare il selfie più figo dell’anno. Chi è corso al lago d’Iseo, comunque, l’ha fatto perché ha considerato l’evento imperdibile. Come ha detto Christo stesso, irripetibile. Le Floating Piers infatti sono un’opera d’arte. Landing art. Mi sono informata. Questo capriccio d’artista, in realtà, è pieno di significati, anche abbastanza suggestivi. La passerella è un percorso, un racconto della vita e lo ha dedicato a sua moglie scomparsa qualche anno fa. E’ un’opera d’arte “reale” in quanto ha a che fare con gli elementi della natura: sole, vento, acqua. Sotto questo punto di vista è anche emozionante.

Le Floating Piers, però, resteranno in allestimento solo per due settimane.

Per quel che ne capisco, l’arte non dovrebbe avere una scadenza. Soprattutto se si tratta di un investimento di denaro e risorse. L’arte è ciò che da secoli tramanda da una generazione all’altra quella scintilla di divino e di perfezione, grazie a persone dotate del talento necessario a forgiarla in opere materiali, e non. Mi direte che adesso esistono anche le “performance”. Tipo quelle di Marina Abramovic. Lei, nel The artist is present non ha speso però 12 milioni di dollari per emozionare e creare un’opera d’arte vivente, che coinvolge un pubblico e che dura un limitato periodo di tempo.

subDunque, non è propriamente una performance. Non è un’opera d’arte di cui nei prossimi decenni il mondo potrà fruire. E’ … un’esperienza. Un esperienza costosa. Un’esperienza che era stata in precedenza rifiutata dal porto di Tokyo e di Rio della Plata in Argentina. Chissà perché. Christo arriva in Italia e puff, viene accolto nell’entusiasmo delle istituzioni del posto che vedono nel suo folle progetto un’incredibile opportunità di creare turismo in un territorio che già da tempo viene protetto dall’inquinamento di imbarcazioni a motore e pericoli vari per l’equilibrio di un ambiente delicato e da tutelare. Poi menano 200 mila blocchi di conglomerato nei fondali di un lago che non ha bisogno di alcuna “esperienza mistica” per essere considerato una meraviglia di suo. L’esperienza costerà molto al fondale. Si sta discutendo sul rimuovere o no i blocchi. Qualcuno dice di lasciarli lì, lontano dagli occhi, lontano dal cuore. Altri dicono che possono essere rimossi e riciclati, con il minuscolo rischio di distruggere ancor di più i fondali e alterare l’equilibrio biochimico che tiene in vita la flora e la fauna presenti.

A me questa faccenda innervosisce un sacco.

Non solo le Floating Piers sono costate tantissimi soldi, deturpano l’ambiente, verranno distrutte tra dieci giorni, e sono state pure evacuate a causa di un temporale (ma va?), ma stanno creando un mare di disagi ai cittadini di Sulzano e problemi alla circolazione dei mezzi di trasporto pubblico e privato di tutta la zona. E’ questo il punto: le follie di un’artista non si possono considerare “sostenibili”, come i promotori dell’iniziativa si fregiano di dire. Si doveva pensare ad un piano straordinario di mobilità, garantire linee e corse, prevedere che l’arrivo di migliaia di persone avrebbe congestionato il sistema di trasporto locale.

E niente, a questo Christo non c’ha pensato. Così la gente aspetta sotto al sole file chilometriche per “vivere l’esperienza”, sempre che siano riuscite a non snervarsi nell’arrivare e sperando che il ritorno non sia un inferno. Ah, sempre che non arrivi un altro temporale. imageQual è la probabilità che se ne verifichino quattro o cinque nel giro di quindici giorni? Alta, caro Christo. Alta. Siamo a giugno. Per la verità solo poche settimane prima dell’apertura si sono ricordati di fare degli studi sulle correnti d’acqua che potrebbero dare fastidio ai tiranti e alle piattaforme galleggianti. Cosa di niente. Figuriamoci se sospettavano di creare disagi nelle stazioni.

A fronte di tutto questo l’artista Christo avrebbe dichiarato: “L’attesa è parte della mia opera, o avete pazienza o non venite”. Capriccioso e spocchioso. Il prefetto Valenti dice: “L’opera è un’opportunità, non un diritto”. Con buona pace di ogni significato della parola arte. Adesso, non voglio fare la spocchiosa anch’io. Visto però che s’è servito dell’ingegneria per costruire il suo personalissimo ponte sull’eternità e hanno impiegato 23 mesi, uno studio serio di fattibilità dell’opera poteva farlo fare a qualcuno. Invece no. Arriva l’artista, l’artista ha i soldi, l’artista fa quel che cazzo gli pare.

Bene così. Caro Christo, riguardo una cosa che dovrebbe esser bella non si può sentir parlare di “emergenze”. L’unica cosa che aspetto io è solo quella di non leggere più sui giornali dei ridicoli disagi che stai causando, in nome del tuo sedicente miracolo.

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– I’M – A Barbie Girl

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Premesso che non s’è capito ancora bene qual è la definizione di donna curvy -ma si sa benissimo invece cosa si intende per modella d’alta moda- e che mia cugina cinquenne già sa distinguere perfettamente tra ciò che è favola e ciò che è reale, nel senso che fate, draghi e principi esistono ma per finta, ci tenevo a riflettere sulla questione nata sulla nuova linea di Barbie in cui, per la prima volta, le differenze tra una bambola e l’altra non sono soltanto estetiche, in termini di capelli, trucco e abiti, ma fisiche.

C’è già chi si è schierato a favore o contro l’iniziativa della Mattel di rivoluzionare la classica Barbie dalle forme perfette e canoniche creando bambole dalla fisicità più simile a quella delle donne vere, fatta di proporzioni non statuarie -che non si ottengono nemmeno in palestra- ma belle perché uniche e armoniose comunque. Inutile ricordare che Barbie ha fatto sognare milioni di bambine, è stata sia simbolo della rivalsa delle donne sul sesso forte vestendo i panni di mestieri e professioni tradizionalmente maschili che stereotipo della bionda scema ma ugualmente imitata e ammirata da tutti. In questi che sono i tempi dei pari diritti per ogni tipo e forma di diversità, in America hanno pensato bene di aggiornarsi dando la possibilità alle bambine di poter scegliere tra una bambola più in carne, più alta o più bassa rispetto allo storico standard.

Ora, non è detto che questo sia sufficiente a far si che le bambine -e le ragazzine poi- facciano meno fatica ad accettare il proprio fisico, ad amare l’immagine di loro che appare allo specchio, perché in fondo il confronto non nasce con la bambola ma con le coetanee più o meno cattive, con i media e la moda. Per cui la critica che va per la maggiore è quella riguardo il diritto di sognare, in qualche modo così la fantasia va a farsi benedire, la realtà entra prepotente in un mondo fatto di immaginazione e semplicità e per di più nemmeno si risolve il problema. Già perché oltre a questo il punto resta quello della bellezza interiore e del fascino di uno sguardo o un gesto che nessuna bambola potrà mai insegnare. Insomma sarebbe stata una mossa inutile specie oggi che le bambine -ne ho la prova- sono molto più consapevoli della distinzione tra finzione e verità.

Eppure secondo me non è tanto male come idea, specie pensando al fatto che nei decenni tanti stilisti hanno vestito Barbie con delle vere opere d’arte contribuendo a renderla un’icona della moda influenzando non tanto i giochi delle bambine quanto i canoni di bellezza delle donne adulte. Per cui questa piccola rivoluzione potrebbe trasferirsi sulle passerelle, sostare sui cartelloni pubblicitari per poi arrivare finalmente nei negozi e nella vita di donne che, come me, non hanno una taglia 38 ma si sentono belle -a giorni alterni- e lavorano su quei due tre chili di troppo che non sono una colpa ma energia inutilizzata e che ogni giorno di più riescono a somigliare alla donna che desiderano tanto essere. Nella speranza che facciano qualcosa anche per Ken -che nemmeno in versione standard è mai somigliato all’ideale di uomo di nessuna- apprezzo la Mattel per esser stata ancora un passo avanti a tutti e questa volta al fianco di chi si augura che la società riesca a liberarsi di modelli e schemi mentali che ormai non le stanno più bene addosso da tempo.

* . . . Come Sei Veramente . . . *

A me non è stato perdonato di essere un sognatore perchè ho fatto un sogno irreverente troppo grande: ho sognato che la musica classica dovesse essere aggiornata, e pur mantenendo le stesse forme, dovesse tornare a parlare per raccontare il presente.
Per inseguire questo sogno ho studiato tutta la vita e mi sono imbarcato nella composizione con una passione da non dormirci la notte. Quando quella musica era pronta e l’ho eseguita, ero emozionato e curioso di sapere cosa ne pensassero.

E sapete cosa mi hanno detto?

“Come ti sei permesso di metterti al livello degli dei? Non puoi neanche dire di essere un compositore…”.

Ma io ho dovuto farlo, ho dovuto inseguire il mio sogno. Allora ho dovuto volare alto e sfidare quegli dei e poco importa che mi sia bruciato le ali come Icaro.

Insomma è stata dura, attaccato, ridicolizzato dai miei stessi colleghi; ho avuto due anni di depressione. Certo, avrei potuto sparare a zero su tutti alimentando così il circolo di negatività, ma non è la mia indole e sono caduto nel buio della mia fragilità. Ma dentro quel buio, dopo due anni ho elaborato la mia reazione inconscia. Ho composto un concerto per violino e orchestra che penso sia molto più eloquente di mille parole messe insieme.

Se le cose stanno così, allora noi dobbiamo amarlo quel buio, dobbiamo amarla la nostra fragilità, perchè è nel buio della crisi che scocca la scintilla del cambiamento e la nostra fragilità potrebbe trasformarsi nella nostra forza.
In altre parole dobbiamo accettare noi stessi con tutti i nostri difetti, le nostre imperfezioni, ma anche i nostri slanci verso i sogni impossibili. E solo se riusciremo ad essere totalmente noi stessi e non ciò che gli altri hanno deciso e si aspettano da noi, la nostra vita sarà un’opera d’arte!

[Giovanni Allevi]

Questo è il discorso che Giovanni Allevi ha fatto all’apertura della scorsa puntata di Amici. Visto che non lo seguo, appena ho saputo della sua partecipazione ho cercato un po’ e ho trovato il video della puntata. Ho fatto caso alle facce di alcuni che lo stavano ascoltando. Stupite dalla sua gestualità confusa e spontanea, quasi imbarazzate da quelle parole che sembrano banali e ingenue e da quella personalità così fuori dall’ordinario, che chi è magari abituato ad apprezzare invece self-control, falsità e look impeccabili spesso pensa questo non ci sta con la testa. Sempre che non pensino invece che è tutto un personaggio montato, falso e che lava il cervello delle persone e in particolare dei giovani (intesi come povere vittime attirate loro malgrado verso forme impure di musica classica) con melodie che pretendono chissà quale importanza, mentre invece non si tratta altro che di musica da quattro soldi. La superficialità e l’ignoranza uccidono questo mondo, altrochè. Per non parlare della petizione che stavano facendo girare nei conservatori italiani contro di lui. Quasi fosse la peste in persona o stesse rubando la sedia da sotto al sedere di quell’Ughi che ha avuto parole per lui che un altro po’ nemmeno un terrorista se le è mai sentite dire. Lui poi gliel’ha messo a quel servizio, perchè ha composto uno straordinario concerto per violino e orchestra.

Una musica può piacere o no, come anche una persona e i suoi modi di fare, è ovvio. E’ anche vero però che nessuno costringe nessuno ad averci a che fare. Le critiche gratuite in stile gente annoiata nelle sale d’aspetto mi danno un fastidio tremendo. Se a me una cosa non piace non spreco le mie energie a parlarne male, soprattutto se non so di cosa parlo. In certe cose c’entrano le emozioni, i sentimenti, energie che senti sulla pelle.

Nel 2009 riuscii ad andare ad un suo concerto di piano-solo, organizzato dal teatro San Carlo, con prezzi dei biglietti ridotti di almeno un terzo rispetto al solito. Piazza del Plebiscito non poteva essere più bella, e la fresca aria estiva contribuì a rendere indimenticabile quella serata. Arrivai quasi due ore prima dell’inizio del concerto, con i miei genitori, approfittandone per una passeggiata. La piazza era quasi vuota ed eravamo fermi a notare il palco e gli ultimi ritocchi agli allestimenti, quando mi girai e vidi da lontano una testa riccia, nera, che si avvicinava. Un’allucinazione, pensai. I miei genitori erano ancora di spalle e non se ne erano accorti. Io guardavo lui e guardavo loro, con occhi sgranati, girando la testa di continuo gesticolando in maniera scoordinata, incapace di proferire parola. Dovevano essersi bloccate tutte da qualche parte nella gola. Non poteva essere vero. I metri di distanza tra me e lui seguito da un paio di cameramen e fotografi diminuivano più in fretta di quanto sperassi. Fossi stata lì un minuto prima o dopo non sarebbe mai accaduto. Finalmente dopo qualche istante che mi è sembrato eterno i miei l’hanno visto. Lui ci vide. Ormai era sulla nostra traiettoria e nn ci volle molto fiato in gola per chiamarlo ed avvicinarci a lui. Emozionato ed incredulo, esattamente come me e non si capiva bene chi ringraziava chi. Nella foto quasi mi abbraccia e sorride sincero, felice. Gli piacqua tantissimo il mio ciondolo raffigurante un drago. Da vicino le persone le senti davvero. La senti la vibrazione di un corpo emozionato, la semplicità negli occhi che ti guardano e in quelle Converse di parecchi numeri più grandi delle tue.
Sentirlo suonare dal vivo fu un qualcosa di indescrivibile. La sua musica creava un’armonia nella quale erano racchiusi tutti i nostri cuori. Compreso il suo. Da un lato l’energia sprigionata dalle sue mani, dall’altro, quella delle anime che lo ascoltavano che culminava negli applausi finali, ad ogni brano (e a tutti i biis…!) che lui abbracciava, simbolicamente, quasi ad accoglierli dentro di sè, per non dimenticarli più.

Un anno dopo venne alla Fnac a presentare un nuovo album. Decine e decine di persone incastrate tra gli scaffali del negozio ad aspettare di incontrarlo. Lui disse che voleva salutare tutti. Tutti. 3 ore di fila….Abbastanza tranquilla però, perchè di lì non sarebbe scappato. Scherzò con mio fratello, sul loro comune bellissimo nome (si sta ancora chiedendo com’è che lo trascinai a quel tour de force visto che lui non lo ascolta), poi baci, autografi, foto… Si dedicò ai suoi fans.
Ecco perchè non mi sono meravigliata alla sua reazione di fronte agli applausi del pubblico in tv. Lui è davvero fatto così. Non finge, non gioca. E’ tutto vero.

Quando sono immersa nei voli pindarici nella mia testa immagino che se davvero viaggiando alla velocità della luce non saremmo altro che energia sottoforma di onde, ognuno di noi potrebbe riconoscersi in un brano musicale, che sta lì, sulla stessa lunghezza d’onda, viaggiando di fianco a noi. Visto però che esistiamo sottoforma di carne, ossa e milioni di bit la musica viaggia, si, come onde sonore e noi stiamo fermi lì ad ascoltare, lasciando che racconti anche qualcosa di noi.
Siamo fermi, già,  ma potrebbe andar bene anche chiudere gli occhi di tanto in tanto, per volare via con lei….