– I’M – A Barbie Girl

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Premesso che non s’è capito ancora bene qual è la definizione di donna curvy -ma si sa benissimo invece cosa si intende per modella d’alta moda- e che mia cugina cinquenne già sa distinguere perfettamente tra ciò che è favola e ciò che è reale, nel senso che fate, draghi e principi esistono ma per finta, ci tenevo a riflettere sulla questione nata sulla nuova linea di Barbie in cui, per la prima volta, le differenze tra una bambola e l’altra non sono soltanto estetiche, in termini di capelli, trucco e abiti, ma fisiche.

C’è già chi si è schierato a favore o contro l’iniziativa della Mattel di rivoluzionare la classica Barbie dalle forme perfette e canoniche creando bambole dalla fisicità più simile a quella delle donne vere, fatta di proporzioni non statuarie -che non si ottengono nemmeno in palestra- ma belle perché uniche e armoniose comunque. Inutile ricordare che Barbie ha fatto sognare milioni di bambine, è stata sia simbolo della rivalsa delle donne sul sesso forte vestendo i panni di mestieri e professioni tradizionalmente maschili che stereotipo della bionda scema ma ugualmente imitata e ammirata da tutti. In questi che sono i tempi dei pari diritti per ogni tipo e forma di diversità, in America hanno pensato bene di aggiornarsi dando la possibilità alle bambine di poter scegliere tra una bambola più in carne, più alta o più bassa rispetto allo storico standard.

Ora, non è detto che questo sia sufficiente a far si che le bambine -e le ragazzine poi- facciano meno fatica ad accettare il proprio fisico, ad amare l’immagine di loro che appare allo specchio, perché in fondo il confronto non nasce con la bambola ma con le coetanee più o meno cattive, con i media e la moda. Per cui la critica che va per la maggiore è quella riguardo il diritto di sognare, in qualche modo così la fantasia va a farsi benedire, la realtà entra prepotente in un mondo fatto di immaginazione e semplicità e per di più nemmeno si risolve il problema. Già perché oltre a questo il punto resta quello della bellezza interiore e del fascino di uno sguardo o un gesto che nessuna bambola potrà mai insegnare. Insomma sarebbe stata una mossa inutile specie oggi che le bambine -ne ho la prova- sono molto più consapevoli della distinzione tra finzione e verità.

Eppure secondo me non è tanto male come idea, specie pensando al fatto che nei decenni tanti stilisti hanno vestito Barbie con delle vere opere d’arte contribuendo a renderla un’icona della moda influenzando non tanto i giochi delle bambine quanto i canoni di bellezza delle donne adulte. Per cui questa piccola rivoluzione potrebbe trasferirsi sulle passerelle, sostare sui cartelloni pubblicitari per poi arrivare finalmente nei negozi e nella vita di donne che, come me, non hanno una taglia 38 ma si sentono belle -a giorni alterni- e lavorano su quei due tre chili di troppo che non sono una colpa ma energia inutilizzata e che ogni giorno di più riescono a somigliare alla donna che desiderano tanto essere. Nella speranza che facciano qualcosa anche per Ken -che nemmeno in versione standard è mai somigliato all’ideale di uomo di nessuna- apprezzo la Mattel per esser stata ancora un passo avanti a tutti e questa volta al fianco di chi si augura che la società riesca a liberarsi di modelli e schemi mentali che ormai non le stanno più bene addosso da tempo.

Chi Sei, Charlie?

L’altro giorno ho visto una vignetta, c’era un Maometto visibilmente preoccupato seduto sul lettino dello psicologo che si chiedeva com’è che gli altri profeti hanno followers con più senso dell’umorismo e lui no.

La cosa che preoccupa me, invece, è l’enorme confusione che regna tra tutti noi che siamo stati spettatori di quel che è successo. Da chi ha sentito gli spari fino a tutti quelli che come me hanno appreso il fatto ad esempio alla radio, tra una canzone e l’altra, tornando a casa a fine giornata. Tutti d’accordo sul non si uccide, specie chi è disarmato. Poi però le opinioni viaggiano su sensazioni diverse.

C’è che così, d’istinto, in tanti si sentono Charlie, come se di fondo fosse stata ucciso il potere, anche potenziale, di ognuno a dire ciò che vuole su chiunque. Da qui c’è il comunque non lo farei oppure satira si, ma non si offende. 

Chi stabilisce se una cosa è offensiva o meno? Chi decide se chi si offende lo fa a ragione o a torto?

Poi, guardando bene, in controluce, c’è pure il voglio sia la libertà di esprimermi che quella di offendermi. Sarebbe lo stesso dire che una religione è più rispettabile di un’altra. Siamo proprio sicuri che se ad esser preso di mira fosse il cattolicesimo, la Curia non avrebbe proprio, ma proprio niente niente da ridire?

C’è chi pensa che il problema sia il terrorismo e non la religione perché non tutti gli islamici sono criminali, altri per cui si, non sono tutti criminali ma alcuni sono integralisti e quindi è pure peggio. E’ vero che tutti i terroristi sono estremisti o che tutti gli estremisti pur non essendo terroristi cercano in un modo o nell’altro di imporre la propria cultura emarginando gli occidentali, alla faccia dell’integrazione?

Qualche voce d’altro canto afferma io non sono Charlie, che c’ho il mutuo da pagare, guardiamoci bene in faccia per favore. Sul web, sotto al viso di un poliziotto ucciso compare la frase si però io sono morto per difendere la libertà d’espressione di chi prendeva in giro la mia stessa religione. Poi magari da chissà quale aldilà starà imprecando perché quello gli è toccato e basta, che aveva mutuo e famiglia pure lui.

Una cosa soltanto ho capito, ed è che questi attentati hanno spogliato miriadi di false convinzioni e tutti nudi, adesso, si corre qua e là per provare a ripararsi dietro le poche spiegazioni rimaste in piedi, dopo uno scossone del genere. E’ questo che mi par di vedere. Confusione pazzesca. Quel senso di smarrimento e disillusione nei confronti di politica, religione e società occidentali che ha portato alcuni in Europa ad arruolarsi tra le fila di guerre sante. A me tutto questo fa spavento.

M’è preso quasi da piangere guardando tutte quelle matite alzate al cielo, ma se sono o no Charlie sinceramente non lo so. E non so nemmeno se sono una follower con più senso dell’umorismo d’altri, che alla fine il livello di fastidio lo percepiamo tutti ad altezze diverse. Diverse come le emozioni che questa storia ha suscitato in ognuno, come le religioni, come le convinzioni, come le culture, come i confini tra libertà e rispetto…

Davvero, ma come si trova un metro di giudizio unico in tanta diversità?

Vorrei riprendere dall’inizio tutto, e capire sul serio Charlie chi è.

*… Jonathan Va In Città …*

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“Era di primo mattino, e il sole appena sorto luccicava tremolando sulle scaglie del mare appena increspato.

A un miglio dalla costa un peschereccio arrancava verso il largo. E fu data la voce allo Stormo. E in men che non si dica tutto lo Stormo Buonappetito si adunò, si diedero a giostrare ed accanirsi per beccare qualcosa da mangiare. Cominciava così una nuova dura giornata. Ma lontano di là solo soletto, lontano dalla costa e dalla barca, un gabbiano si stava allenando per conto suo: era il gabbiano Jonathan Livingston. Si trovava a una trentina di metri d’altezza: distese le zampette palmate, aderse il becco si tese in uno sforzo doloroso per imprimere alle ali una torsione tale da consentirgli di volare lento. E infatti rallentò tanto che il vento divenne un fruscio lieve intorno a lui, tanto che il mare ristava immoto sotto le sue ali. Strinse gli occhi, si concentrò intensamente, trattenne il fiato, compì ancora uno sforzo per accrescere solo… d’un paio… di centimetri… quella… penosa torsione e… D’un tratto gli si arruffano le penne, entra in stallo e precipita giù. I gabbiani, lo sapete anche voi, non vacillano, non stallano mai. Stallare, scomporsi in volo, per loro è una vergogna, è un disonore.
Ma il gabbiano Jonathan Livingston – che faccia tosta, eccolo là che ci riprova ancora, tende e torce le ali per aumentarne la superficie, vibra tutto nello sforzo e patapunf stalla di nuovo – no, non era un uccello come tanti.”

[incipit-Il Gabbiano Jonathan Livingston-Richard Bach; foto personale, Napoli-giugno 2014]