Più semplice di quanto pensassi

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La signora dai capelli ricci e castani sdraiata a due passi da me sta raccontando alla sua nuova amica, minacciata dai gavettoni di acqua gelata dei propri figli più abbronzati di quanto io possa diventarlo mai, che quando ha divorziato si chiedeva come avrebbe fatto a fare le cose da sola, andare in giro da sola, andare al mare, da sola.

Lascio il mio lettino per andare in avanscoperta alla ricerca di immagini della mia città che ho desiderato e cercato e che finalmente posso far mie. Mentre mi allontano la voce della signora si affievolisce. Parla ancora di come in fondo è stato più semplice di quanto pensasse.

Alla mia destra il fazzoletto di spiaggia si arrende ad un palazzo antico che si affaccia sul mare. Mi sento come se fossi altrove, da qualche parte oltre le mie cellule e le vecchie delusioni. Il punto di vista speciale sul golfo della mia città alla mia sinistra mi rimaterializza in un qui e ora meno appannato e più brillante. A volte uno si concentra e si sforza di sentirsi intero anche senza i propri timori ma è totalmente inutile. E poi accade, mentre il mare ti sfiora le punte dei piedi.

Mi dico che in fondo è stato più semplice di quanto pensassi, nonostante tra il volere davvero una cosa e il dimostrare a se stessi di poterla ottenere sembra ci passi una differenza che si piazza davanti alla porta della tua stanza come una Sfinge malvagia affamata di risposte ad indovinelli esistenziali che hanno come unico scopo quello di immobilizzarti e non, come erroneamente pensavi, aiutarti a conoscere meglio te stessa.

Per poco non la calpesto.

Ariel.

Mi guardo intorno. Nessuna bambina nei paraggi. La spiaggia è mediamente affollata ma proprio lì non sta passando nessuno. Prendo lo smartphone e la fotografo. La bambola di Ariel è poggiata su una dunetta di sabbia bagnata decorata con delle conchiglie prevalentemente bianche. E’ rivolta verso il mare. Sorrido e passo oltre.

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Quando sono tornata a casa ho aperto la galleria delle foto, tra tutte ho aperto la foto della sirena in riva al mare e l’ho osservata a lungo. Quella che doveva essere soltanto un fatto curioso da raccontare in giro diventa qualcosa di più. Mi sono incantata. Perché lì c’è tutto. C’è vero e inventato, realtà e fiaba, plastica e sabbia, natura e uomo. C’è una sottile poesia che lega la sirena al cuore e poi il cuore al mare e racconta di sogni che scambiano sguardi con la realtà e lontano dagli occhi del mondo si intendono perfettamente, mentre noi cerchiamo di distruggere con tutte le nostre forze ostacoli fatti di aria.

 

E’ tutto uguale, ma diverso.

 

 

Silenziosa ed elegante la neve si posa ovunque. Sulle cose brutte e su quelle belle.

E’ la prima volta che vedo nevicare così. Sono saltata giù dal letto e per tutta la mattinata non ho fatto che ammirare e fotografare ciò che vedo già praticamente tutti i giorni e che ad un tratto è sembrato così diverso.

Nemmeno immaginate cosa significa per Napoli un inizio di giornata con la neve. Disagi a parte, che ovviamente non mancano essendo quasi completamente sprovvisti di misure adeguate a fronteggiare eventi meteorologici del genere, è praticamente una festa.
Infatti si dice che a Napoli fa caldo anche quando fa freddo.

Perché poi tutto si è sciolto appena il sole si è fatto largo tra le nuvole ormai vuote.

Per qualche ora mi sono incantata, come di fronte ad un trucco di magia.

E cosa importa alla fine?

Che è tutto così semplice. C’è bianco oppure ombra.

Come nel cuore.

E se perfino la natura cambia, si adatta, sorprende e poi torna come prima, perché non possiamo farlo anche noi?

 

“Dovremmo imparare dalla neve a entrare nella vita degli altri con quella grazia e quella capacità di stendere un velo di bellezza sulle cose.”
[Don Cristiano Mauri]

*… Immagini …*

Eri tu lì, dannazione. Eri proprio tu.

Le cose cambiano d’aspetto sotto una luce diversa. Anzi, senza, non le vedremmo proprio. La luce definisce i colori. E i confini, i contorni, le forme. E nemmeno si mostra per intero agli occhi. Si nasconde in lunghezze d’onda che loro non possono percepire. Quando le pare ci gioca e nei tuoi ci finisce a tradimento, all’improvviso e loro se la prendono, eh. Scende una lacrima. Che porta con sè un po’ della matita nera che sfidando il caldo era rimasta attaccata, fedele, alla pelle.

Maledetto raggio di sole. Quelli lì erano i tuoi capelli. Il tuo profilo. Il mento e la barba e la testa un po’ inclinata e le mani che gesticolando accompagnavano le parole. E quella perfino una camicia che dovevo averti visto addosso una di quelle volte che il cuore s’è perso un battito tra le aiuole ai lati della strada adiacente. Se ne è persi parecchi, in realtà. Un po’ perchè aveva imparato e guidava i passi per trovarsi lì, in quel punto e in quel preciso istante. Altre volte ci finiva davvero per caso. Con tutto ciò che per caso vuol pretendere di significare. La parola coincidenza deve averla inventata quel furbo lì. Tanto per levarsi dai casini. Se solo si sprecasse a dare una spiegazione logica, ogni tanto. Invece no, coincidenza è perfetto. Così lui non c’entra nulla. Tu ti ritrovi lì e non sai perchè. Non è colpa di nessuno, o di nessuno che rientri in quello spettro di luce visibile, almeno.
Colpa, poi. Suvvia, casomai merito. Perchè tante volte quel sorriso, in beffa alla luce, illuminava tutto in maniera più forte e più bella. Alla faccia dei fotoni. Se ne sarebbero pure potuti tornare a casa loro, qualche migliaio di chilometri lassù.

L’immagine che mi era apparsa davanti eri tu, seduto al’ombra del gazebo, in strada, parlando con qualcuno al tuo fianco. Di lì a pochissimi metri avrei cercato anch’io un posto all’ombra e chissà, uno sguardo. Dove gli occhi non arrivano ci pensa la testa a metterci una pezza. A completare l’immagine. Come se ci fosse una zona buia che deve sembrarti così inopportuna che in automatico, voilà, è lì che appare il pezzo mancante del puzzle.

Mezzo metro. Mi chiedo pure che ci fai lì, che nemmeno ti ci avevo mai visto in quella pizzeria. In effetti altre volte mi sono chiesta, mentre appena mi rendevo conto di esser sveglia e che un raggio di sole filtrato dalla persiana ancora abbassata tentava di convincermi che fosse già mattino, che ci facevi lì. Lì, quel luogo assolutamente libero di inventarsi idee di spazio e tempo o di sentirsi così stretto ed imbrigliato in esse da potersene fregare altamente, lasciando a te l’ingrato compito, appena aperti gli occhi, di collocarti di nuovo in un qui e un ora. Che ci facevi tra immagini senza senso, volti inventati e altri un po’ meno, nonostante fosse da tempo oramai che mancavi anche dai sogni ad occhi aperti.

Un istante. Giusto il tempo che quel raggio di sole rimbalzi via dai miei occhi. Giusto il tempo che, passando una mano tra i capelli mossi dal vento, mi accorgo che non ci sei più.

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