Andrà tutto, beh.

Le volte che mi capita di vedere una gara di corsa con ostacoli non riesco a trattenermi dal provare una serie di sensazioni miste tra ansia, brividi e stupore. Un po’ come se nel mondo così come se lo aspetta il mio cervello non esistesse la possibilità di saltare così in alto, così tante volte, senza che l’atleta non incappi anche per un micrometro nell’ostacolo e non finisca per rotolarcisi insieme sulla pista in un susseguirsi di capriole scomposte che potrebbero coinvolgere anche gli altri partecipanti.

Spesso invece, quando chiudo gli occhi e provo ad immaginare qualcuno scendere una rampa di scale non riesco a non immaginarlo mentre mette un piede in fallo dopo il terzo o quarto gradino.

C’è invece quella cosa bellissima, di una bellezza unica, quella per cui le azioni e i pensieri, i sorrisi e le pause, il giorno e la notte si infilano uno dietro l’altro come perline ordinate nella linea del tempo. Nessuna ansia che accelera il meccanismo, nessuna paura che lo rallenta. Nessuno spargimento di perline qua e là che richiederà tempo extra per rimettere tutto a posto.Ripensare, capire, riunire frammenti di ricordi, catalogare, ordinare per data, riassegnare emozioni, motivazioni, scelte. Un casino.

Forse esiste una parola per descrivere questo, ma la stanchezza mi sta prendendo e non mi viene proprio in mente. In realtà ci sto pensando da giorni. Sapete, lo sforzo che porta al risultato, le pagine di un libro che si accumulano sul lato sinistro. I piccoli passi, i piedi messi bene uno avanti l’altro, senza fretta, senza perdere l’equilibrio e soprattutto, senza allontanarsi da sé.

Spero non siano state tutte le canzoncine e le pubblicità andrà tutto bene a fregarmi – non credo, la mia immaginazione continua beatamente ad incepparsi – però ecco, riscoprire che le cose possono corrispondersi, come i gradini e i piedi, i salti e gli ostacoli, l’impegno e i risultati sssth, senza urlarlo troppo in giro, mi ha fatto sentire bene, un bene semplice, fresco. Normale.

Spiagge a tema libero

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Io mi chiedo che senso hanno oggi le spiagge a tema politico.

Dopo la spiaggia fascista in Veneto, l’altro giorno al telegiornale ho sentito parlare della spiaggia comunista che si trova da qualche parte in Calabria. D’accordo che ormai le spiagge sembra siano diventate molto più del web posti in cui poter esprimere liberamente idee e soddisfare bisogni fisici -no, non quello di rilassarsi cullati dalla brezza marina, ho sentito parlare anche di fazzoletti di sabbia usati come luoghi di incontro per far sesso e basta-, ma davvero, io non capisco.

In quanto membro della generazione dei Millennials, che non è nativa digitale ma che per costruire il mondo intorno a sé ha avuto in dotazione le trasformazioni come malta e le incertezze come mattoni, sono stufa di sentir scimmiottare ancora di destra, sinistra, bandiere, ideologie, Che Guevara e capitalismo.

Sono idee intorno alle quali sono girate le vite di tantissime altre persone prima di noi. Non mi pare abbiano risolto qualcosa. Le ideologie pure si sono rivelate dei fallimenti. L’unico che ricordo abbia avuto successo condividendo i propri beni e rinunciando alla ricchezza e alle comodità è stato San Francesco. Non vedo in giro persone candidate a fare altrettanto e non appartenenti ad ordini religiosi. Il capitalismo pure ha un rapporto un po’ odi et amo con il mondo e quel che diventerà a causa sua.

Abbiamo visto e rivisto persone cambiare bandiera a seconda delle necessità del momento. Altri si sono fatti strada appartenendo sempre allo stesso partito politico ma non accettandone del tutto i principi e non seguendo proprio tutte le regole. Facendo un po’ come capita.

Noi invece ci stiamo preoccupando per le cose sbagliate. Non c’è più bisogno di sperimentare il comunismo in spiaggia per vedere se funziona o restare affezionati al mezzo busto di Mussolini che ancora viene venduto nei negozi di souvenir di alcune città d’Italia.

L’unica ideologia che forse tiene banco è l’individualismo, anche se in realtà l’identità la stiamo ancora cercando. Andando per tentativi. Pensiamo a costruire noi stessi e non reti sociali. Lasciamo che le comunità vengano costruite dai social network con degli algoritmi. Noi abbiamo altro da fare. Abbiamo progetti di vite solitarie, ma socialmente approvate da likes e condivisioni, da portare avanti. Abbiamo Netflix, un plaid e una tazza fumante di cioccolata o thé in inverno e sorrisi forzati in un selfie al mare d’estate. Sì perché finalmente siamo andati in vacanza da soli, prenotando online una stanza senza litigare con i nostri genitori per la scelta del luogo, con improbabili partner per quella del periodo migliore o con gli amici perché cazzo lasciano disordine in giro e così non è vacanza se dobbiamo stare a rassettare anche per gli altri.

Forse di politica e di ideologie non ne capisco niente e non dovrei star qui a scrivere di cose che non so. Io però, a differenza di coloro che per primi ne hanno parlato, sono qui. Qui e adesso e preoccupata

Preoccupata della solitudine che sta ammalando il mio mondo connesso ma solo virtualmente. Preoccupata delle foto dei miei parenti inviate su Whatsapp dalle più diverse località di vacanza perché oggi non si aspetta più di tornare a casa per mostrare le proprie foto e raccontare delle proprie esperienze di persona davanti a un caffé.
Preoccupata della siccità e del fatto che usiamo l’acqua potabile come scarico dei nostri wc. Preoccupata perché l’Europa non ha superato l’esame di maturità perché alle domande sui migranti non ha risposto, ma ai suoi genitori non l’ha detto e continua ad abbozzare scuse per non perderci la faccia.

Insomma, la storia è storia. Oggi abbiamo altre sfide da affrontare. Tra qualche decennio alcune spiagge saranno sommerse a causa del riscaldamento globale e ai figli dei Millennials e di tutte le generazioni a seguire penso che del fascismo e del comunismo fregherà ancora meno.

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Comunque il Time dice che saremo noi a salvare il mondo

– I’M – A Barbie Girl

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Premesso che non s’è capito ancora bene qual è la definizione di donna curvy -ma si sa benissimo invece cosa si intende per modella d’alta moda- e che mia cugina cinquenne già sa distinguere perfettamente tra ciò che è favola e ciò che è reale, nel senso che fate, draghi e principi esistono ma per finta, ci tenevo a riflettere sulla questione nata sulla nuova linea di Barbie in cui, per la prima volta, le differenze tra una bambola e l’altra non sono soltanto estetiche, in termini di capelli, trucco e abiti, ma fisiche.

C’è già chi si è schierato a favore o contro l’iniziativa della Mattel di rivoluzionare la classica Barbie dalle forme perfette e canoniche creando bambole dalla fisicità più simile a quella delle donne vere, fatta di proporzioni non statuarie -che non si ottengono nemmeno in palestra- ma belle perché uniche e armoniose comunque. Inutile ricordare che Barbie ha fatto sognare milioni di bambine, è stata sia simbolo della rivalsa delle donne sul sesso forte vestendo i panni di mestieri e professioni tradizionalmente maschili che stereotipo della bionda scema ma ugualmente imitata e ammirata da tutti. In questi che sono i tempi dei pari diritti per ogni tipo e forma di diversità, in America hanno pensato bene di aggiornarsi dando la possibilità alle bambine di poter scegliere tra una bambola più in carne, più alta o più bassa rispetto allo storico standard.

Ora, non è detto che questo sia sufficiente a far si che le bambine -e le ragazzine poi- facciano meno fatica ad accettare il proprio fisico, ad amare l’immagine di loro che appare allo specchio, perché in fondo il confronto non nasce con la bambola ma con le coetanee più o meno cattive, con i media e la moda. Per cui la critica che va per la maggiore è quella riguardo il diritto di sognare, in qualche modo così la fantasia va a farsi benedire, la realtà entra prepotente in un mondo fatto di immaginazione e semplicità e per di più nemmeno si risolve il problema. Già perché oltre a questo il punto resta quello della bellezza interiore e del fascino di uno sguardo o un gesto che nessuna bambola potrà mai insegnare. Insomma sarebbe stata una mossa inutile specie oggi che le bambine -ne ho la prova- sono molto più consapevoli della distinzione tra finzione e verità.

Eppure secondo me non è tanto male come idea, specie pensando al fatto che nei decenni tanti stilisti hanno vestito Barbie con delle vere opere d’arte contribuendo a renderla un’icona della moda influenzando non tanto i giochi delle bambine quanto i canoni di bellezza delle donne adulte. Per cui questa piccola rivoluzione potrebbe trasferirsi sulle passerelle, sostare sui cartelloni pubblicitari per poi arrivare finalmente nei negozi e nella vita di donne che, come me, non hanno una taglia 38 ma si sentono belle -a giorni alterni- e lavorano su quei due tre chili di troppo che non sono una colpa ma energia inutilizzata e che ogni giorno di più riescono a somigliare alla donna che desiderano tanto essere. Nella speranza che facciano qualcosa anche per Ken -che nemmeno in versione standard è mai somigliato all’ideale di uomo di nessuna- apprezzo la Mattel per esser stata ancora un passo avanti a tutti e questa volta al fianco di chi si augura che la società riesca a liberarsi di modelli e schemi mentali che ormai non le stanno più bene addosso da tempo.