Ciò che va e viene dai confini del nostro mondo.

Illustrator Yaoyao Ma Van As | Illustration | ARTWOONZ | Alone art, Girly  art, Animation art

Questa è stata una giornata di suoni di pioggia, di odore di chiuso degli addobbi rimasti per un anno nelle loro scatole e di sapore di tiramisù. Mi lascio avvolgere dalle luci colorate e va bene così. Ho voglia di godermi le cose belle e sognare e come ho letto da qualche parte, di creare il mio mondo, prima di morire in quello degli altri.

Perché forse ormai ci sono arrivata a cosa mi rende diversa e cosa mi rende simile. Sto addestrando il mio baricentro a non dichiararsi sempre colpevole e a non perdere la calma. Mi risulta ancora molto difficile quando ho a che fare con un impiegato Asl o comunale. L’ultima volta che uno di loro mi ha detto che le carte della pratica X non erano quelle giuste mi sono quasi messa a piangere. In piena pandemia, chiusa in casa e nessun sito aggiornato o numero di telefono attivo non potevo sapere quali fossero le carte giuste. L’inefficienza, la negligenza e l’incompetenza mi fanno letteralmente schifo, anche se detto da me che scrivo dal divano lanciando occhiate feroci di tanto in tanto a quel pezzo di scotch rimasto penzoloni sul mobile sembra che il problema sia qualche mia mania invece che qualcosa di serio. Eppure quando la guardia giurata si è rivolta con arroganza ad un uomo che chiedeva informazioni ho provato rabbia. Se qualcuno rispondesse a quel dannato telefono non disturberebbero te, pensavo. Mi sono resa conto però che se ne fai una questione personale puoi anche implodere di dispiacere, ma non cambi le cose.

E sono le emozioni e quella spiacevolissima sensazione di frustrazione ciò che muove gli haters, i leoni da tastiera o le persone che ti amavano ad insultarti, anche in anonimo. Poco tempo fa si è accesa una questione pseudo-femminista sui social in seguito a qualcosa accaduto in tv. Un programma Rai aveva inviato in onda un tutorial rivolto alle donne su come fare la spesa in maniera sexy. Si è alzato un coro di femministe indignate e offese, tanto che il programma, uno dei pochi ancora validi secondo me, è stato chiuso. Ho letto manifestazioni di rabbia assurde e mi accorgevo che nel leggerle mi stava venendo voglia di insultare loro a mia volta. Quando ho provato a spiegare la mia opinione ad una persona amica poco ci è mancato che mi processasse. Avevo qualche problema, io, se un tutorial su come una donna possa muoversi in modo sexy non mi offendeva. Non ero indignata perché secondo me aveva problemi chi quel tutorial l’aveva preso sul serio, ma soprattutto perché finché le donne etichettano un’altra donna come oggetto allora andiamo indietro pensando di andare avanti. La vera parità si avrà quando una donna Presidente o astronauta o Rettore universitario non farà notizia perché sarà assolutamente normale. Pochi giorni dopo è andata in onda una partita della nazionale femminile di calcio, commentata da giornaliste sportive, donne. Ed questo è il femminismo vuoto e insulso che si merita la maggior parte del genere femminile e mi dispiace molto.

Insomma, credo che avrò sempre una certa difficoltà a trovarmi d’accordo con buona parte del mondo. Una volta ho sentito dire che forse non è il corpo che contiene l’anima, ma è l’anima a contenere il corpo. Se così è davvero, allora forse non siamo così tanto fragili e in pericolo di disgregarci da un momento all’altro. Siamo molto più stabili e solidi di quanto pensiamo a patto però di prenderci cura di ciò che va e viene dai confini del nostro mondo.

Verso l’infinito e ME.

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Me lo chiedo ogni volta che accade.

Piangere per qualcuno che non conoscevi e che non conosceva te. 

Mi è sempre sembrata una cosa egoista. Insomma, quando un’artista se ne va, la sua arte va via con lui e noi qui ne restiamo senza. Qualche volta ci tocca il modo in cui accade. Eppure non pensavamo a lui o lei tutti i giorni. Non era presente nelle nostre vite se non attraverso uno schermo o degli auricolari. Le nuvole che appaiono in cieli televisivi e in quelli di casa mia oggi si son messe a scherzare.

Questa volta però ho pianto e in più momenti, ma solo per il fatto che in nessuno di essi mi sono lasciata davvero andare. Non ho fatto che chiedermi perché questa volta si? Mica uno può lanciarsi in parole commosse e riflessioni profonde solo perché quel volto, quella voce non uscirà più da quello schermo? Non mi sono riconosciuta nella signora intervistata dopo i funerali, quando ha detto sono qui perché la sera mi faceva compagnia. Non era quello il caso.

Ho provato più empatia forse per l’altra donna che lo ha ricordato come il principe azzurro che noi tutte avremmo voluto incontrare. Allora ho fatto mente locale e mi sono ricordata di quando conduceva Per tutta la vita ed ero una bambina e sognavo davanti alle immagini di storie d’amore per le quali ero troppo piccola per capirne, soprattutto, gli aspetti meno favolosi e più reali. Ho pensato a Scommettiamo che? che molto probabilmente mi faceva sognare anche di più. Mi si è messa nella testa Hai un amico in me per tre giorni mentre continuavo a cercare motivi per cui non avrei dovuto più pensarci e badare ai fatti miei. C’è che la voce di Woody in Toy Story resterà per sempre la sua e quello resterà uno dei film di animazione che più mi ha fatta diventar grande, per davvero.

Allora poi ho capito. La ragione del mio cattivo umore, della sensazione che da lunedì il mondo sembra più brutto e spento, della voglia di piangere e non far niente è il fatto che si può effettivamente star male per qualcuno che non conoscevo e non conosceva me, ma che in qualche strano e assurdo modo, a causa di un evento incontrollabile ed improvviso come la sua morte, mi ha messa davanti al dovere di tirare una somma che riguardava ME. Prendere consapevolezza di un periodo della mia vita la cui fine non l’ho però decisa io. Assumermi la responsabilità di sorridere e credere nella vita anche quando quella presa di coscienza ad un tratto mi ha fatta sentire un po’ più sola e meno al sicuro di prima.

“Hai una amico in me,
un grande amico in me
Se la strada non è dritta
e ci sono duemila pericoli
Ti basti solo ricordare che,
che c’è un grande amico in me,

I tuoi problemi sono anche i miei
E non c’è nulla che io non farei per te
Se stiamo uniti scoprirai che c’è un vero amico in me

Cogli anni capirai che siamo fratelli ormai
Perchè il destino ha deciso che
C’è un vero amico in me, più di un amico in me,
un vero amico in me…”

Tutto Daccapo

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Da spettatrice passiva e occasionale di Beautiful mi è capitato spesso di imbattermi in un concetto che non sono mai riuscita ad afferrare mai davvero del tutto, nonostante negli anni Brooke l’abbia usato per risolverci diversi disastri sentimentali e drammi familiari ed esistenziali a loro annessi.

Ogni volta che le sentivo pronunciare il suo fatidico penso sia arrivato per me il momento di voltare pagina io restavo allibita e con tutti i sensi all’erta nel tentativo di captare parole o gesti collaterali alla frase che in qualche modo potessero svelarne il mistero e soprattutto, stupidamente, appariva nella mia immaginazione un enorme libro dalle pagine pesantissime che aspettava pazientemente un’anima pia disposta a sfogliarlo.

Come si fa a voltare pagina? Fare tabula rasa del recente vissuto, gettare della candeggina sui ricordi per sbiadirli quel tanto che basta affinché l’indomani al risveglio non se ne sentano più le voci, mettere una scadenza agli effetti di ogni causa e ricominciare daccapo. Davvero si può?
Ho sempre pensato no. Ho sempre creduto che fosse un’esagerazione, un espediente da copione. Una cosa irrealizzabile nella realtà o almeno una di quelle frasi che si buttano lì quando ne hai troppo di tutto e di tutti e vorresti poter morire e rinascere in una notte soltanto per liberartene.

Ultimamente però mi è tornato in mente, nonostante la mia convinzione che nella vita è impossibile mettere un punto e andare a capo. Ci si può rialzare da una caduta o riemergere da abissi di negatività, certo, ma fa tutto parte dello stesso percorso, il tempo ci spinge inesorabilmente in avanti lungo la sua freccia che ancora non abbiamo imparato a governare. Forse in un’altra vita potremo sparire e apparire in un qui e adesso diverso a nostro piacimento, spezzare il percorso e ogni limite della nostra mente, come insegna un certo Jonathan. 

Eppure quel voltare pagina è rispuntato fuori dal nulla mentre pensavo a tutt’altro.

O meglio, ne ha approfittato per far capolino dalla scatola delle assurdità quando un sonoro basta è risuonato nella mia mente una sera in cui, ripensando a come sono scivolati via questi ultimi mesi in balia di decisioni, problemi e imprevisti altrui, mi sono spaventata non riconoscendomi in quei ricordi. C’era una me che non tratteneva le lacrime per la prima volta alla vigilia di un proprio compleanno e voleva davvero sparire nel nulla sentendo che nessun qui e adesso diverso da quello valeva lo sforzo di riapparire, perché in fondo l’avrebbe lasciato scorrere come tutti gli altri sperando di non provare alcuna colpa, pur sapendo che in realtà non vivere è la peggiore di tutte.

Un attimo dopo ho immaginato ancora quel libro. Stranamente non sembrava né pesante né stupido.

E se ricominciassi daccapo? Se avessi davvero la possibilità di cancellare, seppellire, distruggere un pezzo di percorso e riscriverlo questa volta essendo la me stessa che voglio essere, ‘che quella non mi piaceva per niente?

Che, magari, uno ne ha pure il diritto, voglio dire.

L’idea mi ha caricata. Se ci si accorge di aver preso una deviazione, imboccato un sentiero sbagliato non è vietato indietreggiare, fare mente locale e ripescare quel qui e adesso da cui poi non s’è capito più nulla, raccogliere un po’ di sassi e ammucchiarli lì dove non si vuole più tornare, voltare le spalle e riprendere il cammino in una direzione diversa. Ecco, insomma, si. Voltare pagina.

Una cosa che non sa né di assurdo né di sconfitta. Solo un altro modo per ritrovare se stessi.

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Tu Sei La Regola, Si, Ma Anche L’Eccezione (?!)

Diciamo che nel bel mezzo di deliri pre-esame ogni tanto vengono fuori questioni anche abbastanza interessanti.

C’è un certo spiegamento di forze ormai, lo sanno tutti, a favore del sii te stesso, su questo pianeta sei unico, irripetibile, originale e fantastico, non sprecare la tua vita. E soprattutto, non omologarti alla massa. Stanno lì a ricordartelo abbastanza spesso i vari esperti d’aforismi su facebook, Violetta, le locandine della Marina, Carla su Real Time e quasi tutte le serie di telefilm sparse sugli altri canali, oltre al Papa, la tua cantante preferita, il libro che ami di più, interi reparti di saggistica sul tema nelle librerie e la tua coscienza.

Poi, allo stesso tempo, nel medesimo preciso istante, devi anche ricordare con una certa convinzione e consapevolezza che mai e poi mai rappresenti un’eccezione in questo mondo o almeno in quello conosciuto (da te). Non devi sperarci, non devi porti domande che inizino con e se fosse che… e robe simili. Sei la regola. La regola non si fa troppe domande, la regola è regola e basta. Se poi sei anche l’eccezione che conferma la regola, allora sei fregato, devi metterti a cercare una strada solo tua che non sia né l’eccezione, né la regola e neanche un altro paradosso ancora.

* … E Questa Sera Si E’ Alzato Il Vento …*

Il cuore batte forte, chissà che gli è preso stasera, ecco, all’improvviso, chissà che motivo ha di agitarsi tanto, proprio ora, così, senza che sia successo nulla di particolare. Volevo scrivere, si, ma avevo in mente tutt’altro. E invece quel battito fuori dall’ordinario suggerisce tutt’altre parole, magari a sapere il perchè, a sapere dove vuole andare a parare. Una strana agitazione, una specie d’ansia che, butti uno sguardo in giro, soltanto tu percepisci. E grazie, come potrebbe essere altrimenti, per fortuna. Prima di iniziare ho pure cliccato sul corsivo, anche se di solito scrivo dritto e uso il corsivo per altre cose. In questo momento ho anch’io la testa inclinata a destra e forse è per questo che ho inclinato pure le parole, così sembra che siano dritte lo stesso.

In fondo hai imparato che all’occorrenza il sistema di riferimento può essere cambiato, se ti serve per dimostrare una tesi o semplificare delle ipotesi, però lo dici prima, che vale solo in quel sistema di riferimento. Non ti illudi, non hai trovato una soluzione che va bene per qualsiasi caso, ma ti insegnano anche che è una giusta approssimazione del caso reale, che presenta così tante variabili che a tenerle tutte in conto si perde la testa, tanto poi l’influenza di quelle che non prendi in considerazione non è poi così significativa, e anche quel “significativa” lo stai a stabilire tu, in base al rischio che pensi di accettare. Per esempio una casa la tiri su sapendo di accettare una probabilità di “failure” pari ad un certo valore stabilito dalla legge. Quindi con la possibilità, remota, estremamente remota, che possa cascare giù o che non serva più per ciò per cui è stata progettata. Perde di funzionalità. I materiali non sono perfetti.

Perfezione… Lanci uno sguardo alla tv, si stanno ammazzando a trovare una spiegazione del perchè si ricorre alla chirurgia estetica. Pare siano tutti d’accordo che sia necessaria per problemi gravi, amen. Poi s’azzuffano ad analizzare tutti gli altri motivi. Uno di quei programmi in cui vanno sprecate tante parole soltanto per fare spettacolo e mostrare qualche seno nudo complice l’ora tarda. Basterebbe che si alzasse qualcuno a dire “E’ tutta una questione di gusti, di come ci si vuole vedere, dell’idea che ci si è fatti di sè, del proprio punto di vista, il proprio riferimento”. Che poi anche lì c’è il rischio, come per la casa, vabbè. Potrebbero anche alzarsi tutti da quelle poltroncine e andare a fare qualcosa di più utile. Stanno a dire che la bellezza vera dovrebbe essere quella naturale, senza troppe pretese, ogni donna ha la propria e hanno la capacità allo stesso tempo di celebrare gli stereotipi. Su quelli si che si va sempre sul sicuro. Come per il film che hanno mandato in onda prima, uno di quelli che ti sei sempre rifiutata di vedere, nemmeno fosse un horror, soltanto perchè ti stanno sulle scatole tutti quei luoghi comuni che sono nati sugli esami di maturità. Canzoni, film, libri. Odio quando qualcuno si mette sul piedistallo con la pretesa di aver capito cos’è che si prova in determinate situazioni e giù a scrivere sceneggiature tali che più cazzate fanno fare ai protagonisti, più soldi fanno ai botteghini. Come se tutti i ragazzi d’Italia avessero provato le stesse cose la notte prima dell’inizio degli esami. Tu non ti ci ritrovi e t’arrabbi. Però resti a guardarlo, perchè c’è Panariello che ti fa sempre ridere.

E’ sempre una questione di riferimenti allora. Guardi le cose da un altro punto di vista e cambiano. In realtà le cose cambiano proprio nell’atto di osservarle, ma questo lo sa bene quel povero gatto nella scatola. Non si sa se è vivo o morto finchè qualcuno non si da’ pena per andare a vedere che fine ha fatto. Chissà se qualcuno mai si è chiesto cosa pensa il gatto. E si, ogni tanto ti fai anche delle domande un po’ assurde. Lui non può vedere cosa succede là fuori. Credo che sappia almeno che qualcuno c’è e sa che lui sta lì. Soltanto questo sa. L’ha capito. I gatti sono furbi. Qualsiasi cosa stiano facendo, lui è lì tranquillo che pensa ai fatti suoi. Tutt’al più si chiede perchè proprio un micio. Potevano metterci pure un pappagallo, che ne so. Quella strana smorfia sotto ai baffi, però, forse è un sorriso. Non lo ammetterebbe mai, no, ma sotto sotto gli fa piacere, anche se è tutto un gioco, una creazione della mente, che stabilisce un limite e poi ci torna, ogni tanto, a spostarlo un po’ più in là. Sposti i confini, cambi i riferimenti, tutto per trovare sempre un nuovo equilibrio, mentre nel frattempo lì ci sei sempre tu.

“Tutto cambia, per non cambiare nulla.”

piena soddisfazione

E’ da più di un anno che hai questa frase tra le bozze. E’ del prof. Eppes della serie tv Numb3rs. E’ spuntata fuori proprio adesso. Qualche volta ti capita di conservare un pezzo di un puzzle e che tutto il resto dell’immagine ti si materializzi quando meno te l’aspetti. Una sera che il cuore ti batte forte. Una sera che troppe emozioni vengono tutte insieme a trovarti. Lo spazio non è piccolo, ma loro sono davvero tante. Sei troppo stanca per dare un nome a tutte però. Nella confusione se ne è intrufolata qualcuna non gradita, quelle che di solito lasci fuori alla porta perchè non ti piace immaginarti insieme a loro. Ciò che non ti piace lo chiudi fuori, di solito. Ti rendi conto che qualche anno fa eri molto più fiscale, adesso invece, un po’ più malleabile. Uno spiraglio lo lasci aperto perchè da un lato la curiosità in te è sempre più forte di ogni altra cosa (cavolo, la curiosità uccise il gatto… di nuovo lui, povero, ma mi chiedo se quella del gatto o dei tizi fuori) e dall’altro ti piace pensare che sai gestire questioni che prima depennavi, stracciavi, mandavi fuori dai piedi all’istante. Stai pensando a come sono nati questi cambiamenti, qualche volta tra una lacrima e una voglia matta di abbracciare qualcuno. Peccato che non c’era “qualcuno” che lo sapesse. Se tu non lo dici a “qualcuno”, come fa poi a saperlo, eh. Magari con la testa un po’ inclinata. Cambia il riferimento, e tutto viene da sè. Come le parole in corsivo, vengono fuori da sole, vedi? Che da dritte nemmeno sotto tortura lo farebbero.

Apri l’ultima scheda del browser, per questa sera. Tutta questa storia ti ha ricordato di qualche nozione di grafologia di cui hai sentito parlare da qualche parte. E trovi questo:

“La scrittura dritta o leggermente inclinata mantiene il centro di gravità dentro se stessa, vale a dire l’individuo pone le basi del suo rapporto con il mondo all’interno dell’Io, vive la sua realtà interiore individuale come origine della sua costruzione della realtà e a partire da questa si relaziona con il mondo esteriore.
Quando aumenta progressivamente la spinta a destra, il centro di gravità si sposta dall’interno all’esterno: ora l’individuo non riesce più a percepirsi in modo autonomo e sufficiente a se stesso, ma necessita di un rapporto di relazione per stare in piedi.”

Per stare in piedi adesso ti ci vorrebbe più una dormita, magari. E’ tardi, quella gente si è pure alzata dalle poltroncine, e te stai friggendo sotto al calore del pc. Ci penserai domattina. Qualcosa ti dice, però, che a parte un crampo nel collo e un enorme sproloquio nelle bozze ben poco ti rimarrà di questa sera. E’ ovvio, certe emozioni ti travolgono, come un’onda spinta da un vento un po’ più forte del normale. E ci credo, soltanto un surfista starebbe in equilibrio su un’onda e io non lo sono. Poi l’onda si ritira e ti lascia sulla pelle solo l’odore del mare. Solo. Alla faccia. Tra un’onda e l’altra è quell’odore che ti accompagna sempre, pure se non ci fai troppo caso, a volte. Ma appena si alza il vento, si fa sentire eccome.

E fuori, infatti, c’è un bel temporale.

* . . . Tra Il Dire (a ruota libera) E Il Fare (esami) C’è Di Mezzo…Il Lungomare! . . .*

In attesa delle nuove puntate delle serie tv che mi piacciono (Castle, Castle!!!) le cose che seguo ultimamente sono davvero poche. Per cominciare i GP di Formula 1, in particolare quelli che la Rai per gentile intercessione divina manda ancora in diretta, perchè tanto oramai quelli in differita li guardo, si, ma sapendo già come è andata, che non è esattamente la stessa cosa. Già perchè l’esperimento cerco-di-star-lontana-da-ogni-tipo-di-media per evitare di sapere il risultato delle gare è miseramente fallito. Per un paio di domeniche ho provato a farlo ma la prima volta mi ha fregata il telegiornale, che innocentemente stavo guardando ignara del fatto che stesse per annunciare il vincitore del primo GP e la seconda volta invece vittima di un post di facebook che fugacemente avevo aperto per altre cose. Ieri mi son fatta coraggio e mi sono affidata direttamente al sito BlogF1 dove scrivono in diretta tutti gli avvenimenti giro per giro. In pratica la gara l’ho letta e non vista, sempre meglio di niente. Che poi pare che ieri la sfortuna abbia invaso i box della Ferrari peggio della peste… Uff.

Un’altra cosa che seguo volentieri è The Voice. Non tanto per il programma in sè, anche se diverso dal solito, e tantomeno mi piacciono i talent e cose così. Mi piace perchè “sembra” che stia portando un po’ di rock in tv, grazie a Piero Pelù. Non sono mai stata una sua fan, anche se lo apprezzo, però adesso mi sta facendo divertire un mondo… Nonostante i tentativi di frenarsi un po’, esplode spesso tutta la sua carica rock e la verve da toscano e poi, cavolo, è sexy, roba che si potrebbe perdere la testa (!) anche se un’amica che concordava con me, l’altro giorno, ha accennato ad espressioni … più spinte, ecco. E non esiste alcun deterrente, quando uno merita, merita e basta.

Inoltre questo programma ha fatto tornare sulle scene anche Riccardo Cocciante, che ogni volta che lo vedo mi ricorda una cosa che accadde all’università. A pensarci ancora rido. Chiacchieravo con una compagna di corsi riguardo alla musica. Ad un certo punto mi chiese cosa ascolto e iniziai dai vari tipi di rock, tra cui i Bon Jovi, Springsteen, Nickelback, Train, Green Day e non sto a dirli tutti che non la finisco più, a qualcosa di pop, jazz, blues, country e musica classica. Un mare di cose in pratica. Lei che mi ascoltava attenta, fece:

“Sai, non so, ma ti facevo una fan di Riccardo Cocciante!”.

….

Il gelo sulle spalle e l’espressione perplessa in viso.

Io ora non so che faccia abbia una fan di Cocciante e per carità non è una cosa offensiva… L’unica cosa che riuscivo a pensare era….. Perchè?? Come aveva fatto ad immaginare me a cantare Margherita sotto alla doccia? Incredibile. Rimasi sconcertata, non per lui, ma per la facilità con cui la gente potrebbe allo stesso modo andare in giro dicendo che hai l’aria da serial killer. Così, giusto per una sensazione. Le risposi che apprezzavo Cocciante per il musical Notre Dame De Paris, musiche da brividi, ma che da qui ad essere una fan ci passava una galassia intera. Ebbi la certezza che non doveva essere una persona particolarmente perspicace.

Aspettando di sapere del giro successivo, sistemavo un po’ le foto scattate sabato sul lungomare, in visita al villaggio dell’America’s Cup. Ci sono stata non tanto per l’evento sportivo in sè che non seguo, ma per godere un po’ della città attraverso i percorsi pedonali (almeno questo, dopo mesi trascorsi a maledire la ZTL che hanno fatto con i piedi), del profumo del mare, delle luci sulla baia, della brezza fresca e dei taralli alle mandorle caldi… Le foto non sono di grande qualità perchè ancora devo capire come convincere la mia digitale a fare foto decenti all’imbrunire, si accettano suggerimenti!!!

 

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Adesso devo pensare a cosa c’è da fare… Il prossimo esame è finalmente l’ultimo, però ho una strana sensazione dentro. Quando le cose non si riescono a spiegare direttamente si prova dicendo esattamente l’opposto: ero molto più tranquilla quando di esami me ne mancavano tipo 18. E’ assurdo e non so spiegarmelo. Ho sentito al tg che Napolitano vuole dare un governo all’Italia entro la settimana. Io entro la settimana dovrei imparare a svolgere tutte le tipologie di verifiche di resistenza e di strutture iperstatiche. Ridendo, mi sono chiesta chi dei due ha più probabilità di successo… (:  E comunque, se non doveste vedermi più sappiate che potrei essere svenuta da qualche parte tra gli appunti e il librone di Scienza delle Costruzioni 2 (perchè a farlo tutto in una sola volta no, non andava bene, aaahh)….!

Buona settimana, bloggers e non! (;