Il principe azzurro è svenuto

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Ero sulla bacheca di WordPress in procinto di cliccare su Scrivi e far comparire questo foglio bianco che suo malgrado finisce ogni volta per raccogliere in forma più o meno ordinata le mille cose che ho per la testa, quando l’occhio è caduto sullo spazio sotto alle statistiche nel quale ci sono le frasi digitate nei motori di ricerca che hanno condotto eventuali avventori del web nel mio blog.

Di cose strane se ne leggono spesso e altrettanto spesso mi chiedo quali attinenze Google possa aver trovato tra quelle parole e i miei articoli.

Questa volta però, insomma, è stato diverso.

Uno legge una cosa del genere e non può certo restare indifferente. No?

Qualcuno è arrivato nel mio blog dopo aver digitato questa frase: il principe azzurro è svenuto.

Capirete che quel che avevo in mente di scrivere prima di leggere questa frase è passato immediatamente in secondo piano e ho iniziato a pormi un mucchio di domande.

Mi sono anche un po’ preoccupata, ecco.

Prima di tutto, quale principe azzurro? Il pretendente di Biancaneve o quello di Cenerentola? Forse si intende invece quello che ha risvegliato la Bella Addormentata nel Bosco? Qualcuno dei principi delle storie più moderne? Chissà.

E poi mi chiedo, dove? Dove è successo? Lottava contro un drago? Si è impressionato per qualcosa? Un calo di pressione? Magari non aveva mangiato abbastanza. Può capitare. Io stavo per svenire qualche settimana fa dopo aver fatto un prelievo di sangue. Non che mi sia impressionata – ok, forse un poco sì -, ma è stato per la fame. Ero a digiuno dalla sera prima. Quindi potrei capire.

Insomma signori, qui un principe azzurro è svenuto. E’ un fatto decisamente strano e cavolo, non riesco a non pensarci.

Non è stato ucciso in un duello. Non si è perso nel bosco. Non ha rischiato la vita attraversando il regno sul suo cavallo affrontando mille pericoli.

E’ svenuto.

Così.

Chissà dove.

E chissà perché.

Nemmeno si tratta della parodia in cui oggi spesso ci si imbatte a proposito degli uomini. In quel caso sarebbe stato non esiste più il principe azzurro. Non esiste, capite? Non “è svenuto”.

Mi chiedo se forse c’è qualche fiaba degli ultimi tempi nella quale si narra di un principe che sviene e di cui non so nulla. Ho provato a mia volta a cercare il principe azzurro è svenuto su Google e non ho trovato notizie interessanti. Nemmeno tra le Immagini c’è nulla che raffiguri un principe svenuto.

Insomma, non so più cosa pensare. Non riesco ad immaginare cosa stesse cercando la persona che ha digitato quella frase. Di sicuro qui nel mio blog non ci sono tracce di principi svenuti. Ho scritto di principi azzurri incapaci, inesistenti, sopravvalutati, ma svenuti no.

Per favore, chi sa qualcosa, parli. Devo risolvere questo mistero.

E tu che sei arrivato qui cercando principi svenuti, casomai dovessi ripassare, fammi sapere come è andata.

Grazie.

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Gli effetti collaterali della libertà

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Disarm – Pawel Kuczynski

Ieri sera sul tardi girando tra i canali della tv mi sono fermata ad ascoltare un frammento di intervista a degli esperti di cose varie nel quale si parlava dei genitori che sempre più spesso attaccano gli insegnanti dei propri figli ogni qualvolta questi ultimi tornano a casa lamentandosi di un brutto voto o di un rimprovero ricevuto a scuola.

Uno di questi esperti ad un certo punto ha detto:

“E’ una sfiducia tra adulti.”

Una frase buttata lì, in mezzo a tutte le altre. Un pezzo di discorso. Eppure nella monotonia delle voci che stavano facendo da sottofondo ai miei pensieri che iniziavano ad assumere pian piano la forma di un cuscino sul quale abbandonare la mente nonostante la sede -il divano- non fosse la più adeguata, quella frase è suonata in modo diverso. Mi ha colpita. L’ho ripetuta nella mia testa.

Sfiducia.

Adulti.

Sfiducia. Tra adulti.

Ho preso il cellulare e ho aperto l’app che uso per annotare le cose quando non ho a disposizione carta e penna. Un’insalata di post-it virtuali su cui ci sono segnati nomi, link di ricette abbandonati, idee, ricerche da fare, ispirazioni andate a male per esser state lasciate lì a prender aria per troppo tempo.

Scrivi nota. 

Dunque. Un titolo? No. Una breve introduzione? No, era troppo tardi per pensarci su. Alla fine l’ho segnata così. E’ una sfiducia tra adulti. Ho premuto due volte il tasto per tornare alla home, mi sono sforzata di tenere gli occhi aperti il tempo di raccogliere le energie e farmene una ragione del fatto che dal divano sarei dovuta arrivare al mio letto, in qualche modo.

Sapete, uno a volte pensa che il mondo va a rotoli semplicemente perché oggi ci sono molti meno tabù e meno regole ferree da rispettare. Un tempo perfino un’autista di autobus come mio nonno era rispettato come un pubblico ufficiale alle poste o dal salumiere. Gli autisti di oggi nemmeno portano più la divisa. I bambini e i ragazzini sono figli dei social network affidati a genitori che biologicamente li hanno generati, sì, ma non hanno altro compito che nutrirli e comprare loro il necessario per sopravvivere nel mondo insieme ai loro fratelli nativi digitali. Nessun insegnante è più utile di Wikipedia, a meno che non sia in grado di inventare ogni giorno qualche nuovo numero per attrarre la propria platea.

Poi ho sentito quella frase ed è stato come dare una terza dimensione a qualcosa che finora ne aveva solo due. Una sorta di profondità.

Allora li ho visti. Gli autisti di oggi, i genitori, l’insegnante giocoliere. L’ho sentita. La sfiducia. Non una qualunque. Una specifica. Quella nel prossimo.

Ecco tutto. Forse i tabù di un tempo definivano dei ruoli e questo creava fiducia tra le persone. Poi tutto è cambiato. Oggi ci ripariamo dietro gli smartphone per evitare di incrociare gli sguardi degli altri. Siamo convinti di essere autosufficienti finché non ci confrontiamo con il male fisico e sentiamo come una sconfitta l’aver bisogno di qualcuno che possa aiutarci. Siamo terroristi da tastiera ogni volta che in realtà potremmo semplicemente esprimere un tacito dissenso e c’è la violenza dei ragazzini che hanno le teste bacate dalle serie tv nelle quali le persone muoiono per finta, ma in hd.

E cavolo è davvero assurdo che di tutta questa libertà siamo in grado di viverne quasi più gli effetti collaterali che le conquiste per cui tanti prima di noi hanno lottato.

Il passato nel posto sbagliato

passato futuro media

Credo che sia meglio agire e sbagliare, piuttosto che restare immobili a guardare o peggio subire.

Pertanto sono una che sbaglia. Commetto degli errori e l’ho sempre ammesso.

Qualche tempo fa lessi una cosa sconvolgente. A causa della fotografia digitale e di tutti i sistemi per archiviare e condividere foto e immagini, ci stiamo lasciando dietro un deserto digitale. Non stampiamo quasi più le fotografie e i ricordi, per non parlare di documenti di qualsiasi genere. La tecnologia avanza, i software si aggiornano di continuo e anche i formati in cui vengono salvati tutti questi files, quindi è possibile che tra decenni non si potrà più accedere a ciò che oggi pensiamo sia al sicuro nella nostra pen drive o cloud. E sarà il vuoto perché non ci saranno più testimonianze storiche ‘cartacee’ di questo periodo. Secondo gli esperti infatti alla lunga il cartaceo sarebbe comunque più affidabile del digitale. Insomma, una foto per quanto sbiadita, stropicciata e strappata qua e là è sempre meglio di un file che non si apre più.

Per contro, si verifica un altro fenomeno abbastanza strano. Il virtuale ci nega il diritto di dimenticare. O almeno lo rende alquanto difficile.

Dicevo, anch’io faccio errori. Non mi mai capitato però di non mettere il cuore in qualsiasi tipo di frase io abbia mai pronunciato. Non ci riesco. Se il più piccolo livello di apprezzamento nei riguardi di una persona si può definire stima, beh io non riesco a separarla dall’affetto. Questo forse fa di me una persona del tutto normale o forse è più probabile che sia vero il contrario. Fatto sta che se non provo almeno stima, e quindi affetto, non mi applico nel pronunciare nessun tipo di frase.

Tutti quelli con cui ho condiviso momenti della mia vita, per me, hanno un valore che sono disposta a proteggere in tutti i modi che riesco a concepire. Niente effetti speciali. E’ solo la verità.

Due o tre volte è mi capitato di trovarmi di fronte invece persone che non hanno la più pallida idea di cosa intendo. Persone rancorose che non sono disposte a mettersi in discussione e che creano intorno a sé un mondo finto fatto di false amicizie e di rapporti superficiali pur di svegliarsi al mattino, guardarsi allo specchio e sentirsi convinte di non aver mai sbagliato.

E’ difficile, ma proprio difficile, ma alla fine rinuncio. Perché c’è un limite a tutto. Non si può subire il rancore di qualcuno per sempre.

E il valore? Un momento, quello resta. Anzi, è l’unica cosa che resta e che ho il diritto di conservare e proteggere. Per conto mio. Nella mia testa. Nei miei ricordi.

E’ a questo punto che il virtuale non aiuta. Gli algoritmi del volemose bene fanno sì che nella timeline ti ritrovi sempre e ancora quelle persone o qualcuno che le conosce e granelli finissimi delle loro vite continuano a finire nella tua perché purtroppo i social network sono materiali permeabili a meno che non si adottino misure forse anche troppo drastiche.

Invece io non voglio sapere. Non voglio guardare, ascoltare, leggere niente. Non mi riguarda. Ho il diritto di dimenticare e di liberarmi di quei granelli che tolgono spazio al nuovo, a chi nella mia vita c’è davvero e mi capisce e mi vuole bene e condivide i miei stessi valori, la mia idea di amicizia, di amore, di tempo condiviso. Chi da’ valore alle mie parole, alle mie intenzioni, al mio affetto e alle mie attenzioni.

Rischiamo di avere un presente pieno di passato e un futuro che ne sarà praticamente privo. Un deserto digitale lo vorrei, sì, ma alle mie spalle e a proposito delle vite che non riguardano più la mia.