L’aneddoto dell’arancia

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Due sorelline stanno litigando per l’ultima arancia rimasta nel cestino della frutta.

La bambina più grande pensa che quell’arancia le appartenga, senza se e senza ma. Ne ha bisogno e poi l’ha vista per prima. L’altra sostiene la stessa cosa. Le serve un’arancia, purtroppo ce n’è una sola ed è indubbiamente la sua.

La madre le vede litigare. Si avvicina e chiede il motivo della discussione. Guarda l’arancia, oggetto del contenzioso, e prova a pensare ad un modo per mediare la situazione e cercare di accontentare entrambe le bambine.

Subito le viene in mente di dividere l’arancia a metà. Le sembra la soluzione più ovvia e semplice. Prende dal cassetto un coltello, afferra l’arancia e appoggia la lama sulla buccia per tagliarla, ma le bambine si disperano ancora di più.

Iniziano a sostenere che con una sola metà dell’arancia non possono farci proprio niente. E’ decisamente troppo poco. Mezza arancia non basta a nessuna delle due. La donna allora si ferma e decide di indagare meglio. Chiede ad ognuna cosa deve farci esattamente con l’arancia.

La prima sorella si asciuga le lacrime con la manica della maglietta e racconta alla donna che le serve la buccia per fare una torta all’arancia. La più piccola, a testa bassa, dice che semplicemente desiderava un succo d’arancia per merenda.

La madre sorride ad entrambe. Taglia l’arancia, ne spreme la polpa e da’ il succo alla sua figlia più piccola e consegna le bucce a quella più grande.

Questa storia che adesso ho scritto così, seguendo un po’ la mia fantasia, è un’importante “aneddoto” sulla mediazione. Fa capire come a volte litigando non ci si spiega bene accecati soltanto dall’ingiustizia di non vedersi riconosciuto un certo diritto.

La cosa che più mi piace di questa storia, però, è il modo in cui si dovrebbe, ogni volta, cercare una soluzione. La pace non è sempre nella via di mezzo. Non basta dividere l’intera arancia tra le due sorelline per far si che entrambe siano davvero soddisfatte. L’equilibrio spesso è trasversale. Va cercato ascoltando e spiegando. Non si tratta di simmetria ed uguaglianza. Anzi.

L’equilibrio è un incastro dai bordi imperfetti, fatto di parti che materialmente non pesano allo stesso modo ma che possono avere comunque valore diverso.

Allora penso che da questo tipo di mediazione potrebbe nascere qualcosa di meglio della semplice pace.

La tolleranza e il rispetto dei bisogni altrui.

Invece qui ci si sveglia un mattino e si scopre che una delle due sorelle s’è messa una bandiera italiana sulle spalle e ha tentato di sparare e uccidere l’altra.

Per una cazzo di arancia che nemmeno le serve intera.

CronacheDalCondominio #2: Gli Altri

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Gli altri.

Si.

In un condominio, ovviamente, ci sono gli altri. Quando arrivai qui ero talmente indaffarata e incasinata che a stento facevo caso perfino ai membri della mia famiglia. Ora che la mia vita è tornata alla normalità, ho iniziato a farci l’orecchio, riguardo tutti quei ‘segni sonori’ e non che in qualche modo ti indicano la presenza di altre persone, famiglie, intorno a te. Visto che adoro ascoltare e guardarmi intorno in tutte le circostanze è impossibile, anche in questo caso, che io resista dall’appuntare mentalmente considerazioni, osservazioni su quelli che in qualche modo condividono con me uno stesso spazio, anche in senso molto largo.

Tutto iniziò dal mistero del sacchetto nero.

Quel sacchetto che compariva sul pianerottolo intorno alle dieci di sera nonostante non mi fosse capitato ancora di incontrare vicini di casa, beh, ne rivelò la presenza e in maniera abbastanza ingombrante. La spazzatura va portata fuori al cancello di ingresso nell’apposito contenitore, di sera, per cui mi sembrava strano che qualcuno lasciasse il proprio sacchetto fuori alla porta, in attesa che… Che? C’era forse una persona che raccoglieva i sacchetti per tutti ed evitare il via vai e la scocciatura? Qualche famiglia si era organizzata affinché a turno qualcuno facesse il lavoro per tutti gli altri? Forse, semplicemente, il vicino metteva il sacchetto fuori alla porta per non tenerlo in casa, per poi scendere più tardi. Chissà. Da buona fan di Sherlock mi ero messa in testa di risolvere il mistero, ma i tentativi di spiare il pianerottolo dallo spioncino fallirono e poi la cosa non accadde più.

Quel che invece ti fa davvero capire che non sei sola sono i piccoli-grandi rumori quotidiani. Fastidiosi e familiari, tanto che se per una volta mancano all’appuntamento ti viene quasi da preoccuparti e andare a controllare se è tutto a posto. C’è la sedia trascinata sul pavimento del piano di sopra delle 21:45 -alle volte 21:48-, le urla delle 20 che esortano i bambini ormai ingestibili dalla stanchezza a cambiarsi o cenare, i ticchettii delle scarpe di chi torna da lavoro, le imprecazioni dei ragazzi che giocano alla playstation ovviamente mentre tu stai studiando.

Gli altri qualche volta chiudono per te la porta dell’ascensore se hai le mani troppo occupate dalle borse della spesa, ti ricordano che è quasi Pasqua quando un mattino esci sul balcone e senti profumi meravigliosi provenire da ogni direzione, ti lasciano messaggi sulla macchina per farti gentilmente notare che hai parcheggiato male l’auto e vorresti replicare con un proprio tu che hai trovato la patente nella busta delle patatine poi però lasci stare perché sei arrivata da un mese e non vuoi già litigare con mister-messaggio-anonimo.

Il prestare attenzione a rumori, silenzi, profumi e voci ti pone nel contesto, fa viaggiare la mente tra ipotesi e supposizioni, ma la verità è che si tratta di un modo per far giocare l’intuito, tralasciando ben altri discorsi su tolleranza e rispetto necessari comunque se si condividono spazi comuni con chicchessia.

Infatti gli altri sono quelli che poi incontri davvero per la prima volta proprio la sera di Carnevale mentre stai mettendo piede fuori casa con il volto dipinto da carte francesi e quelli di cui, tuttavia, dimentichi totalmente l’esistenza quando aspetti ospiti e ti bussano alla porta e la apri con un sorriso smagliante ed entusiasta e… Niente, capisci che non importa quanto fino ad allora tu ti sia impegnata per comprenderli, di certo saprai che se la volta precedente t’avevano presa per pazza, questa almeno sarai sembrata per giunta immotivatamente felice.

Chi Sei, Charlie?

L’altro giorno ho visto una vignetta, c’era un Maometto visibilmente preoccupato seduto sul lettino dello psicologo che si chiedeva com’è che gli altri profeti hanno followers con più senso dell’umorismo e lui no.

La cosa che preoccupa me, invece, è l’enorme confusione che regna tra tutti noi che siamo stati spettatori di quel che è successo. Da chi ha sentito gli spari fino a tutti quelli che come me hanno appreso il fatto ad esempio alla radio, tra una canzone e l’altra, tornando a casa a fine giornata. Tutti d’accordo sul non si uccide, specie chi è disarmato. Poi però le opinioni viaggiano su sensazioni diverse.

C’è che così, d’istinto, in tanti si sentono Charlie, come se di fondo fosse stata ucciso il potere, anche potenziale, di ognuno a dire ciò che vuole su chiunque. Da qui c’è il comunque non lo farei oppure satira si, ma non si offende. 

Chi stabilisce se una cosa è offensiva o meno? Chi decide se chi si offende lo fa a ragione o a torto?

Poi, guardando bene, in controluce, c’è pure il voglio sia la libertà di esprimermi che quella di offendermi. Sarebbe lo stesso dire che una religione è più rispettabile di un’altra. Siamo proprio sicuri che se ad esser preso di mira fosse il cattolicesimo, la Curia non avrebbe proprio, ma proprio niente niente da ridire?

C’è chi pensa che il problema sia il terrorismo e non la religione perché non tutti gli islamici sono criminali, altri per cui si, non sono tutti criminali ma alcuni sono integralisti e quindi è pure peggio. E’ vero che tutti i terroristi sono estremisti o che tutti gli estremisti pur non essendo terroristi cercano in un modo o nell’altro di imporre la propria cultura emarginando gli occidentali, alla faccia dell’integrazione?

Qualche voce d’altro canto afferma io non sono Charlie, che c’ho il mutuo da pagare, guardiamoci bene in faccia per favore. Sul web, sotto al viso di un poliziotto ucciso compare la frase si però io sono morto per difendere la libertà d’espressione di chi prendeva in giro la mia stessa religione. Poi magari da chissà quale aldilà starà imprecando perché quello gli è toccato e basta, che aveva mutuo e famiglia pure lui.

Una cosa soltanto ho capito, ed è che questi attentati hanno spogliato miriadi di false convinzioni e tutti nudi, adesso, si corre qua e là per provare a ripararsi dietro le poche spiegazioni rimaste in piedi, dopo uno scossone del genere. E’ questo che mi par di vedere. Confusione pazzesca. Quel senso di smarrimento e disillusione nei confronti di politica, religione e società occidentali che ha portato alcuni in Europa ad arruolarsi tra le fila di guerre sante. A me tutto questo fa spavento.

M’è preso quasi da piangere guardando tutte quelle matite alzate al cielo, ma se sono o no Charlie sinceramente non lo so. E non so nemmeno se sono una follower con più senso dell’umorismo d’altri, che alla fine il livello di fastidio lo percepiamo tutti ad altezze diverse. Diverse come le emozioni che questa storia ha suscitato in ognuno, come le religioni, come le convinzioni, come le culture, come i confini tra libertà e rispetto…

Davvero, ma come si trova un metro di giudizio unico in tanta diversità?

Vorrei riprendere dall’inizio tutto, e capire sul serio Charlie chi è.

*… Caffè E Gocce Di Pioggia …*

La questione è che dovresti smetterla di drogarti di caffè e gocce di pioggia.

Che delle volte piove e non sai come far smettere. Ti guardi intorno e vedi che c’è chi riesce a far piovere su altre teste. C’è chi apre un ombrello sulla propria e poi soffia via le nuvole. Basta finiscano il più lontano possibile, solo questo conta. O chi la pioggia se la becca ma poi sceglie di trascinarci tutti lì sotto. Sembra sia meglio che far i conti soltanto con se stessi. Qualcuno è perfino capace di rubarti l’ombrello mentre stai lì camminando per fatti tuoi.

 E tu invece stupidamente pensi ancora che se in un cuore sta piovendo, non c’è alcun bisogno di aggiungerci anche la tua di pioggia. Per non parlare del fatto che ti sei sempre chiesta cosa si prova ad essere un temporale estivo, piuttosto. Uno di quelli violenti, che tirano giù il cielo e fanno danni e non fanno aspettare troppo il sole.

Già il sole.

“E ci riprovi ancora a muovermi il sole” porca miseria. Ti sei stufata di tutti quelli che lo fanno. Di tutti quelli che lo spostano, lo nascondono, passano distratti e te lo spintonano via come fanno i pendolari tra loro mentre si recano alla metro. Ti sei stufata di svegliarti, al mattino, e non trovarlo lì al suo posto. O di perdertelo un attimo prima di addormentarti. Non ne puoi più. Non ne puoi più di spostarti con lui, nasconderti con lui o lasciarti spintonare chissà dove da gente di cui ti importa poco o niente.

E no, non serve a niente cercarsene uno nuovo di zecca, con tanto di assicurazione e bolli e tagliandi in regola. No.

Basta stare alla larga da ciò che ce la mette tutta a farti star male. Basta smettere di drogarsi di caffè e gocce di pioggia.

No, vabbè, di caffè no. Quello serve.

La questione è che sul mio braccio c’è sempre un orologio, per chi mi chiede l’ora. Nella mia testa ancora la voglia di tante e tante cose da fare. E nel mio blog c’è sempre la mia vita e nella mia vita spazio per tutti quelli che amo. Per tutto ciò che amo.

*… Strangers Like Me …*

Una cosa che davvero non sopporto sono i giudizi superficiali. Quando così, alla leggera, si spara a zero su qualcuno o qualcosa senza nemmeno approfondirne la conoscenza. Anche di un minimo. Il più delle volte si tratta di una sorta di trappola, nella quale non è difficile cadere, anche per la sottoscritta. Ma almeno provo a tenere a freno la lingua e ad odiarmi profondamente quando una certa apparenza fa si che scattino nella mente considerazioni affrettate e fuori luogo.

Anni fa ero al bar di fronte alla mia scuola con mia madre. Eravamo in fila davanti al bancone per ordinare e dietro di me c’era un’altra ragazzina che a stento conoscevo. Ad un certo punto, con aria allucinata mi disse -Ma tua madre è straniera??-.
Perplessa, la guardai. Cercavo in qualche maniera di capire com’è che fosse arrivata a quella brillante deduzione. Non che ci fosse qualcosa di male o di strano in un’affermazione del genere, ma ero curiosa di sapere in che modo potesse apparire tale, visto che l’idea non mi aveva mai sfiorata minimamente. Le dissi allora -Perchè, scusa?- e lei, che sembrava ignara del fatto che mia madre intanto seppur di spalle stava ascoltando l’improbabile conversazione, si affrettò a dire che poichè biondissima, carnagione e occhi chiari e inoltre non spiccicava parola, non poteva che essere straniera. Elementare, Watson. La rassicurai sul fatto che fosse nata e cresciuta in Italia, ma non contenta aggiunse -Davvero?- al che risposi -Si cara, penso che se non fosse stato così l’avrei certamente saputo-. Immagino che se ne fece una ragione, visto che ordinammo e andammo via senza dire altro.
Quella però non fu l’unica volta che capitò una cosa del genere. Qualche tempo dopo, infatti, ci trovavamo da Tezenis a fare shopping. Si avvicinò una signora che, senza accorgersi che mia madre stesse di spalle e immersa ad esaminare delle taglie, chiese -Scusi, ma secondo lei questo è un pigiama?-. Non pervenì risposta e io che vidi la scena da poco lontano notai che proprio non aveva sentito la signora. La quale imbarazzata concluse -Ah si vede che è straniera, non mi ha capita.-. Mi guardò per cercare conferma della sua considerazione. Io non riuscii a dir nulla prima di scoppiare a ridere e mentre mia madre si stava voltando attirata dal movimento, la signora andò via contrariata. Le raccontai velocemente cos’era accaduto e finimmo a ridere di nuovo.
In seguito a questi due episodi iniziammo a rassegnarci. Già parlai della volta in cui una mia amica ed io fummo scambiate per polacche da un signore anziano in un pullman. Addirittura mia madre mi racconta che quando incontra donne dell’est nei mezzi pubblici nota espressioni di sollievo sui loro volti. Come se si rilassassero nel vedere una presunta conterranea.

C’è una donna dell’est che vive ormai da anni nel nostro paesino che sente un particolare feeling con mia madre. E’ una bella donna, alta, bionda, che ce la mette tutta per integrarsi e sentirsi del posto. Vorrei dirle che è una vita che ci provo io che son nata soltanto a 40 km di distanza, ma tralasciamo. In particolare quando vede mia madre, che sia al supermercato o nella sala d’aspetto del medico, diventa pure più spigliata, come se avesse vicina un’alleata. Anche se più che alleata è semplicemente aperta e di modi gentili, come con chiunque altro. Un giorno mi feci raccontare la storia di questa signora. Una storia che tutti hanno sentito almeno una volta. Quella classica. Venne in Italia da ragazza, trovò lavoro come colf in una famiglia della quale dopo anni fece proprio parte, perchè la coppia si separò e iniziò una relazione tra lei e il capofamiglia. Qui nasce uno dei giudizi più superficiali che si sentono dire in giro. Le donne dell’est sono delle rovina-famiglie. Arrivano belle, sempre in tiro e sensuali a conquistare (per rubarne i soldi, ovvio) l’uomo di turno scontento della propria relazione coniugale. Per cui vengono additate e allontanate dalle donne italiane che si sentono offese dalla loro presenza. Io non nego che ci siano anche casi del genere. Dall’altro lato però io vedo tante, tante donne italiane che non aiutano la situazione per niente.

Per non farla tragica, vorrei solo ricordare un punto del monologo di un comico, che al momento non ricordo chi è, che diceva più o meno così: “Le mogli se la prendono sempre con i mariti. Non c’è niente da fare. Quando lui torna la sera a casa dopo una giornata di duro lavoro, stanco, distrutto, che a stento trascina i piedi a terra per camminare e prova a dire -Non ce la faccio più, sono esausto, oggi il lavoro è stato pesante- lei risponde sempre -Eeeeh tu sei stanco? E che hai fatto? Sei solo andato a lavoro. La MIA giornata è stata pesante. Da stamattina ho fatto i letti, ho spazzato, fatto i panni, stirato, lavato a terra, fatto la spesa, presi i bambini a scuola, cucinato, lavato i piatti, spolverato e mo ti sto preparando pure la cena. Io nun c’à facc’ cchiù. Io ho lavorato. E mi vieni a dire pure che sei stanco. Guarda qua come sto combinata io! E la giornata ancora non è finita! E poi tu non fai mai niente in casa!-“.

Ed è così che sembriamo anche da fuori, trasandate e isteriche. Questo mi fa arrabbiare, perchè appunto ho avuto modo di capire di cosa sono capaci superficialità e ottusità. Generano incomprensione, scontentezza e pregiudizio. E una facilità spaventosa nel dare la colpa allo straniero, piuttosto che a se stessi. Come se ci fosse bisogno della bionda-fatale per far finire un matrimonio, in queste condizioni, senza considerare che basterebbe anche un’altra italiana messa un po’ meglio.

E invece no. E’ colpa della colf. E, da qualche anno, è colpa dei cinesi se l’economia italiana va a rotoli. Relazioni causa-effetto da brividi. Non è che, per dire, i cinesi trovino terreno fertile per i loro affari in un Paese dove l’economia fa schifo di suo? E nel frattempo, io continuo a vedere gente ipocrita pronta ad additare il diverso come una minaccia. Ipocrita perchè quella minaccia un istante prima le fa comodo, quello dopo ne sparla tremendamente. L’altro giorno entrai in un negozio d’abbigliamento cinese. Non mi faccio alcun problema, soprattutto da quando ho scoperto che la mia adorata felpa Ferrari ha un bel Made In China stampato sull’etichetta. Presi una graziosa maglia a stampe floreali e mi avvicinai alla cassa. C’erano due signore avanti con l’età davanti a me che tentavano in ogni modo di tirare sul prezzo di ciò che stavano acquistando. Dietro al bancone una giovane cinese con aria smarrita. Ripeteva come un disco rotto che la merce era già in saldo e non poteva fare ulteriori sconti. Quel po’ di italiano che sapeva l’aveva già esaurito da qualche minuto. Le signore continuavano ad insistere e lei non sapeva più come farglielo capire. Era imbarazzata e spaesata. Mi sentii male per lei. Chi diavolo ha il diritto di pensare anche solo per un istante che persone come lei si divertino a vivere in un Paese di cui non capiscono lingua, usi e costumi e non amerebbero mille volte di più guadagnarsi quei pochi soldi tra la propria gente? Se fosse stata un’italiana al primo NO avrebbero desistito subito. E’ italiana, magari ha figli da sfamare a casa e sta lavorando sodo. Quella lì è straniera, invece, è venuta qui solo per prendersi i nostri soldi, è giusto metterla in croce più del solito. E’ così che si ragiona. Almeno avessero un minimo di coerenza. Se disprezzi tanto, non venirci proprio. Mentre pensavo a queste cose e ad una maniera per farglielo capire senza essere troppo scortese la cinese mi notò. Capì che a causa loro stavo aspettando da un po’ e il fatto che le stessi guardando la mise in ulteriore imbarazzo. Decise allora di mettere le signore in stand-by da un lato del bancone e far pagare prima me. Fece in modo che ne guadagnassimo entrambe. Io mi sbrigavo, lei prendeva tempo e si toglieva un paio di occhi di dosso. Infatti dovetti andar via e mentre uscivo sentivo le signore finalmente capitolare.

Chissà quante volte le sarà successo. Chissà quanti sguardi accusatori la bionda deve sopportare ogni giorno. E ci sarebbe un elenco infinito da fare. Chi può giurare che un giorno non potrà trovarsi nei loro panni in un Paese sconosciuto a fare un lavoro che non gli piace con il pensiero rivolto costantemente ai propri sogni, sempre che ce ne siano ancora? Chiunque può apparire straniero agli occhi di una qualunque altra persona. Non è così difficile. E non lo sarebbe nemmeno mordersi la lingua una volta in più e dire una stronzata in meno. Perchè per una volta si potrebbe guardare negli occhi chi si ha di fronte e vederci del dolore. Un’ombra sul viso, che scappa via veloce mentre una finta espressione spavalda prende il suo posto.
Nell’esser pronti a riconoscere che anche noi siamo degli stranieri per loro che non sono nati qui, ci scommetto che ne potremmo guadagnarci tutti.

Un sorriso.

“Voglio sapere, puoi farmi capire?
Io voglio sapere di questi stranieri come me

Dimmi di più, per favore fammi capire
C’è qualcosa di familiare in questi stranieri come me…”

*… I Trust In You …*

In un altro post parlai già del forum che Richard Bach aprì circa un anno e mezzo fa per tenersi in contatto con le persone che avrebbero avuto piacere di condividere con lui pensieri e riflessioni giornaliere, alimentate sia dai suoi libri che da nuovi spunti che la sua mente sempre pronta e vivace tirava fuori, compresi, anzi, soprattutto, quelli provenienti da una delle sue più grandi passioni, il pilotare aerei (l’altra è ovviamente la scrittura). L’amore che ha per il volo è smisurato, è la sua vita. Ho scoperto che è anche membro onorario del Biplano Club Italia. Ha avuto tanti aerei, compreso il relitto del P-51 Mustang, uno dei più importanti aerei della Seconda Guerra Mondiale (da giovane è stato anche pilota dell’aviazione americana). Quando dico ‘amore’ non esagero. Il suo ultimo libro, Travels With Puff, è una raccolta risistemata di una specie di diario di viaggio che aveva sul forum. Un viaggio dalla Florida a Washington State a bordo del suo Searey, un biplano, la dolce, acuta e sensibile Puff. Perchè il suo biplano ha un nome, pensa ed è una femmina? Questo si scopre leggendo il libro (: Diciamo che se sei in viaggio, quasi completamente da solo, per tanto tempo, non si tratta soltanto di pilotare un aereo, ma è anche l’aereo stesso che insegna qualcosa al pilota. Una connessione profonda, d’amore e di fiducia.

La mia amica Jennifer voleva convincermi a prenderlo in lingua originale, come ha fatto lei, le dissi però che avrei preferito aspettare l’edizione italiana, perchè in effetti in inglese l’ho già letto. Convenimmo sul fatto che, in effetti, leggere qualcosa nella tua lingua madre ti permette di goderne appieno, le emozioni arrivano in maniera più diretta e più forte, perchè in certi casi non si tratta di capire e basta. Jennifer è americana ma vive in Belgio, l’ho conosciuta proprio attraverso il forum ed è una persona stupenda. Intelligente, intraprendente, simpatica, da poco compiuti i 50 e ha uno spirito da ragazzina, sa darmi prospettive della vita interessanti e, una volta, anche un’ottima ricetta per i waffle che feci con l’aiuto di A. organizzando un waffle-party per il mio ultimo compleanno. In cambio le diedi la ricetta per la pizza, mi farà sapere 😛 Quando sua figlia andò in gita a Firenze mi chiese che tempo faceva da quelle parti, per sapere se doveva farle portare maglioni o no e le passai un buon portale meteo, ovviamente non poteva riferirsi al mettere giusto un attimo il naso fuori.

Questa sera parlavamo della scomparsa improvvisa di Kerry Sim, marito di Kristelle, la figlia di Bach. Un attacco di cuore appena dopo aver posato per l’ultima volta il suo aereo nell’hangar, di ritorno da uno dei suoi soliti voli. Anche se da lontano, ha sentito l’amore e il rispetto da parte del piccolo gruppo sopravvissuto alla chiusura del forum, successiva all’incidente che Bach ebbe proprio con Puff. Jenn mi ha detto che sarebbe grandioso se decidesse di riaprirlo, sorretto da nuove energie e nuove cose da condividere in seguito appunto a ciò che è successo. Pensiamo che potrebbe non appena troverà le parole giuste.
Abbiamo riflettuto sul fatto che è incredibile come grazie a lui, e lui lo sa, si sono intrecciati una serie di rapporti tra persone diversissime per età e nazione e che ormai vanno avanti da soli. Alcuni si sono incontrati superando anche due o tre stati di differenza. Persone che hanno trovato una serie di affinità e arricchiscono le reciproche vite. Ho imparato che nonostante mille differenze si può partecipare ad una gioia, provare dolore o paura. Trasmettere energie positive e poter dire io credo in te, lo so che ce la farai. Ci si può fidare di un sentimento sincero. E tutto ciò vale ugualmente in tanti altri contesti. Il web permette di creare cose così belle. Purchè ci sia sempre rispetto e attenzione. Ci sono tante cose che funzionano esattamente come dal vivo.
Mentre pensavo a queste cose e salutata Jenn, ho ritrovato questa:

Se ti eserciterai ad essere immaginario per qualche tempo, capirai che i personaggi immaginari sono talora più reali delle persone con un corpo e i battiti cardiaci.
[Illusioni – Richard Bach]

Sembra in contrasto con ciò che ho detto prima. Sembra, soltanto.