Raccontami Una Storia

Prese un pastello tra quelli sparpagliati sul tavolo. Uno giallo.

-No giallo no, vedi? Sul bianco non si nota bene-

Ok, blu allora-

-D’accordo. Cosa disegno?-

-Mmm… Una fontana. Con i pesciolini. Però quella mattina i pesciolini non c’erano-

-Allora con o senza pesciolini?-

-Ehm… senza-

-Ok. Ma forse vedi, ecco, il fatto è che la bimba quella mattina non aveva molliche di pane con sé, per questo si nascondevano- 

Mi tolse il pastello blu da mano, ne prese uno rosso. Per la gonna della bimba. Poi da lì aggiungemmo gli alberi, il sole, le nuvole, altri bimbi, un paio di draghi, un castello, quattro farfalle e la casa delle fate. Il foglio diventava affollato, la storia pure. Così, senza una logica, senza che ne fosse necessaria una. Non c’era un senso. Che se una storia ha un senso allora la ricordi. Io non la ricordo più. E credo nemmeno lei. Ogni storia che inventiamo dura giusto il tempo di raccontarla. Poi svanisce. Restano solo un mucchio di personaggi più o meno fantastici rubati al bianco dei fogli e che stanno lì a guardarsi per quel poco che riescono a girar la testa così spiaccicati su sole due dimensioni.

Soltanto dopo un po’ di tempo mi accorsi che mancava lui. Il lui per eccellenza, signore e signori. Il lui in calzamaglia. Non era stato per niente preso in considerazione. Alla mia baby-cugina non era venuto proprio in mente. I draghi balzellavano felicemente intorno al castello liberi di asciugare perfino le nuvole sopra di loro e io immaginavo quel poveretto solo come un cane seduto nel suo studio da qualche parte nel mondo con una mano sotto al mento e il cellulare che non dava notizie né di principesse né di borghi da salvare. Io poi sono sensibile e a certe cose faccio caso. Per cui dispiaciuta le dico:

E il principe azzurro? Il principe non c’è?-

Lei cambiò espressione nemmeno le avessi nominato il diavolo. -Naaaa!- rispose. Feci qualche tentativo di dimostrarle la necessità della presenza di un qualsivoglia principe dal momento che i draghi ci stavano bruciacchiando la storia finché non mi accorsi che lei teneva proprio per i draghi e che avrebbe acconsentito all’arrivo di un principe soltanto se quest’ultimo fosse stato  poi catturato e rinchiuso nel castello. Visto che sono sempre sensibile ho pensato che a quel punto sarebbe stato meglio per lui continuare ad annoiarsi per fatti suoi piuttosto che fare quella brutta fine.

Diciamo che poi la cosa mi ha lasciata abbastanza perplessa. Capisco pure che l’idea del principe azzurro che una bimba può avere poi nel corso della propria vita cambi, si modifichi, se va bene viene riciclata, se va male distrutta. Ma che così fin dal principio già contasse meno di un ramo spezzato nel bosco non me l’aspettavo proprio. E dire che proprio pensando a lei qualche anno fa decisi che nelle persone avrei continuato a credere. Che nessuno dopo quel lui avrebbe meritato meno attenzioni, meno entusiasmo. Non avrei mai potuto raccontarle una storia in cui un giorno qualcuno sarebbe arrivato e l’avrebbe amata meno di quanto meritasse solo perché un’altra donna l’aveva deluso troppo. Quel qualcuno non sarei mai potuta esserlo io, per un altro lui. Una storia così è pure più triste di una storia senza principe. Per cui se ciò che conta ormai non è né lui, né che ci si affezioni ad un drago più che ad una fata, ai buoni o ai cattivi, allora cos’è che importa?

Ho provato a darmi una risposta. Forse conta proprio la storia. Conta la voglia di raccontarla, di aggiungerci pezzi, di tenersi per mano e vedere fin dove si è capaci di arrivare.

E appena il mondo giungerà a una fine
Io sarò lì a stringerti la mano
Perché tu sei il mio re e io sono il tuo cuor di leone.