* . . . Ohana . . . *

~ ‘Ohana’ significa ‘famiglia’,
      e famiglia significa che nessuno
     viene abbandonato o dimenticato ~

     [Lilo – Lilo e Stitch, Disney Pixar]

 Credo che “Lilo e Stitch” sia uno dei prodotti migliori della Disney e di sicuro uno di quelli che non mi stancherei mai di rivedere. Adoro Lilo. E’ una bimba intelligente, furba, con delle idee tutte sue, anche più avanti della sua età,  ribelle e piena di risorse. Le altre della sua età non riescono a capirla e lei non capisce loro, anche se prova a farlo. Nonostante senta la loro mancanza e quella dei suoi genitori che non ci sono più, vive solo con la sorella maggiore, lei è presa da mille attività, dalla travolgente marea di idee e di cose da fare che la portano a conoscere Stitch, un alieno che viene da chissà-dove ma che lei prende a far parte della sua famiglia, piccola e disastrata, ma bella, come lei stessa dice. Se ne prende cura perchè è quello il suo punto fermo, ciò che ama di più al mondo. Per lei è famiglia anche il pesciolino al quale va a dare il panino al burro d’arachidi tuffandosi tra le onde dell’oceano ogni giovedì.

~ ‘Ohana’ significa famiglia. Famiglia significa che nessuno viene abbandonato, ma se vuoi andartene puoi farlo. Io mi ricorderò di te. Io ricordo tutti quelli che se ne vanno.~

E’ da ieri che penso a questa parola. Ohana. Famiglia. Da quando ho visto la giovane vicina di casa agitatissima, ieri mattina. Suo marito è un carabiniere che spesso è assegnato a Palazzo Chigi e poteva essere uno dei feriti. Ho provato ad immaginare il suo spavento. Poi ho visto il viso dell’uomo che è stato arrestato. Anche lui ha una famiglia. Anche loro si saranno spaventati. Non voglio parlare di politica o di crisi o di ciò che è successo. So solo che la violenza non risolve mai niente e che non è per niente giusto che una persona si svegli una mattina con l’idea di uccidere qualcuno solo perchè la propria vita è andata a rotoli. La cosa peggiore e che mi ha colpita, a parte il niente-lavoro niente-soldi, è che abbia detto di essere solo e disperato. E’ la cosa più triste. Tutti ci affanniamo per costruire un futuro, per il lavoro, per sopravvivere alla crisi. Però, a meno che star soli piaccia e delle volte magari è anche necessario, una famiglia, una qualunque, dovrebbe esserci. Non posso assolutamente capire cosa significhi divorziare, anche se persone a me vicine l’hanno fatto, o perdere componenti importanti che non siano dei nonni. Però so che una famiglia non è mai destinata a restare uguale a se stessa per troppo tempo. Ed è una cosa che ho dovuto imparare. E’ un sistema dinamico dal quale entrano ed escono persone, idee, sentimenti. E’ inesorabilmente soggetta a cambiamenti. E poi, il punto al quale volevo arrivare, finalmente, è che “famiglia” può avere tantissimi significati diversi. Il che vuol dire che è rara la possibilità che non se ne abbia una, pure piccola e disastrata.

Cosa significa “Ohana”?

Chiedetelo ad una signora anziana, che ha deciso di non sposarsi, non ha figli e che magari vive con 15 gatti. Vi dirà che la sua famiglia sono loro, quei furfantelli che le danno tanto da fare. Un giocoliere che gira da anni il mondo con carovane, animali e attrezzature direbbe che la sua famiglia è il circo. Quelle persone (e non solo) con cui si condivide la propria quotidianità e i propri sentimenti. Di cui ci si prende cura. E che quando se ne vanno, per scelta o per forza di cose, non si possono dimenticare, nel bene e nel male.
Allora ho ripensato a “solo e disperato”. Si può essere anche “soli e in santa pace”. Ma disperati no. E allora credo che l’unica cosa che salva dalla disperazione sia una famiglia. Crearne una qualsiasi e magari chiamarla con un altro nome, ma almeno darsi da fare, coltivare un rapporto, perchè poi è anche nel cuore di qualcun altro che possiamo trovare il nostro, quando non sappiamo più che fine abbia fatto. Perso, distrutto. Quando a battere batte pure, ma fa soltanto male.

Poi l’Orient Express delle idee che correva nella mia testa (lo so, non è l’ultimo ritrovato della tecnologia, avrei preferito pure un Italo o un Freccia Rossa, ma vorrei vedere con 38 di febbre come non assomigliare ad una vecchia locomotiva che sbuffa vapore, anche se ha il suo fascino però…) mi ha portata a ricordare questo:

Il legame che unisce la tua vera famiglia non è quello del sangue, ma quello del rispetto e della gioia per le reciproche vite. Di rado gli appartenenti ad una famiglia crescono sotto lo stesso tetto.

[Illusioni – Richard Bach]

 

Richard Bach circa un anno e mezzo fa aprì un sito web dove pubblicava riflessioni ed esperienze quasi ogni giorno creando un contatto più diretto con i suoi lettori. Aveva voglia, dopo tanti anni, di conoscere, almeno virtualmente, le persone sparse per il mondo che lo seguono e apprezzano. In poco tempo si creò quella che lui chiamava “family of spirit” che distingueva dalla “family of blood” per ovvi motivi e che sentiva come la famiglia che in qualche modo aveva creato, persone diverse per età, cultura, nazionalità e ci si capiva in inglese. Ovviamente non c’erano tutte le migliaia di persone che hanno letto i suoi libri, contando i più assidui c’erano meno di 50 persone circa. Il bello era che la cosa funzionava anche senza di lui, sono nate amicizie, come la mia con una simpaticissima signora belga che un giorno magari incontrerò…
Questa storia della famiglia la capimmo davvero quando Richard ebbe l’incidente con il suo biplano… Era in fin di vita (lui direbbe in esplorazione di nuovi livelli di coscienza)  ed eravamo tutti molto preoccupati e in ansia e allora la family of spirit si unì di più, creando un gruppo su facebook in sostituzione del sito che fu chiuso e continuando a crescere e a sostenere Richard.  Un legame semplice di rispetto e di gioia per le reciproche vite. I mezzi saranno pure virtuali, ma i sentimenti sono veri, sempre.

“Illusioni” fu scritto circa 40 anni fa… Nessuno potè fare a meno di notare che quella concezione forse fantasiosa e astratta di famiglia alla fine aveva avuto davvero un riscontro. “Famiglia” può avere tanti significati diversi. Ma almeno uno, secondo me, vale sempre la pena di trovarlo.

* . . . Lezioni Di Vita…E Di Eyeliner! . . . *

“Nonono, levati quell’espressione diabolica dalla faccia!” dissi ad A. tuffando di nuovo il naso nella sezione a T.

“E daii dai su, che non ci metto niente, non puoi tenerti quello sgorbio che ti sei fatta tu, te lo metto io! Struccati che ci penso io!!!”

“Ma guarda che non devo andare chissà dove, andiamo solo a comprare un regalo, capirai…”

“Non fa’ storie, va a prendere l’eyeliner!”

A. sa essere molto convincente quando vuole. E, ho scoperto, bravissima. E poi la vanità è donna e di fronte ad un’inaspettata lezione di eyeliner la volontà si piega facilmente. E mi resi conto che non potevo aver acquistato un eyeliner e non sapere da dove si comincia ad applicarlo decentemente.
Sembra che stia qui a parlare di cose poco importanti ( ! ), ma vi assicuro che è una questione più difficile di quanto si possa immaginare.
E’ una storia di geometria, mano ferma, gusto estetico e tecnica. E tanta pratica. Su di me. Si perchè l’altro pomeriggio, A. si è divertita un mondo. Un po’ meno quando si è guardata allo specchio, per controllare cosa le avevo combinato sicura di aver imparato in fretta.
E dipende anche dal colore. Qualunque colore tranne il nero è sempre più gestibile. Perchè altrimenti è facile fare questa fine qua:

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e passare da un tocco d’eleganza ad una maschera da panda non è proprio un gran risultato. Specie se, più tardi, le altre tue amiche con cui devi vederti decidono che il moro commesso di Calvin Klein sia giusto per te, lui ti guarda sorridendo e tu progetti un omicidio di massa, anche se due secondi dopo, appena fuori, abbiamo riso come matte (da ricordare la borsa da 400 €, non ne avevo mai vista una da così vicino).

Ci sono volte in cui le persone riescono a stupirti quando meno te l’aspetti. E sulle cose più banali. Riescono a farti ridere, a svelare talenti (tuo malgrado), ad insegnarti qualcosa, a metterti di buon umore e a regalarti una prospettiva della giornata diversa da quella che avevi tu…
“Tu sei la causa di me-come-tu-mi-conosci” dice Richard Bach. Devo averne già parlato tanto tempo fa e mi è tornato in mente adesso. Se qualcuno nei tuoi confronti si pone in maniera diversa, nuova e migliore, il merito è anche un po’ tuo. Sei tu che hai una luce diversa negli occhi (e l’eyeliner non c’entra!) che non significa per forza essere innamorati, quanto più che intorno a te nuovi spunti e punti di vista stanno allargando i tuoi orizzonti, così come si allarga il tuo sorriso e si rinnova la tua voglia di fare, di imparare, di sorprenderti e allora chi ti è intorno tira fuori nuovi aspetti di sè che mai avresti conosciuto se non avessi prima conosciuto di più te stessa.

Ed è da qui che poi viene tutto il resto…

A proposito, ecco il lavoro di A. … adesso devo solo riuscire a riprodurlo 😛

eyeliner

*…Odio Vedere Il Tuo Cuore Che Si Spezza…*

Perchè non puoi sentirti esplodere, non possono farti dubitare di te stessa, distoglierti da ciò che vuoi davvero, far venire i nervi che vorresti solo urlare e mandare tutti al diavolo, mentre le lacrime ti bagnano i pensieri, perchè non permetteresti che vaghino altrove.
E allora lasci che una canzone tenga a bada ciò che provi, mentre delle parole ti girano per la testa….

Dici ad ogni persona che conosci
“La mia felicità dipende da me per cui tu non c’entri.”
E quindi dimostralo.
Sii felice, non importa cosa stanno facendo.
Esercitati a star bene, non importa cosa fai.
E prima che te ne rendi conto,
non darai a nessun’altro la responsabilità
per ciò che provi,
e quindi, li amerai tutti.
Perchè l’unica ragione
per cui non li ami
è che li stai usando come scusa
per non star bene.

[Abraham-Hicks]

 

 

* . . . Tra Il Dire (a ruota libera) E Il Fare (esami) C’è Di Mezzo…Il Lungomare! . . .*

In attesa delle nuove puntate delle serie tv che mi piacciono (Castle, Castle!!!) le cose che seguo ultimamente sono davvero poche. Per cominciare i GP di Formula 1, in particolare quelli che la Rai per gentile intercessione divina manda ancora in diretta, perchè tanto oramai quelli in differita li guardo, si, ma sapendo già come è andata, che non è esattamente la stessa cosa. Già perchè l’esperimento cerco-di-star-lontana-da-ogni-tipo-di-media per evitare di sapere il risultato delle gare è miseramente fallito. Per un paio di domeniche ho provato a farlo ma la prima volta mi ha fregata il telegiornale, che innocentemente stavo guardando ignara del fatto che stesse per annunciare il vincitore del primo GP e la seconda volta invece vittima di un post di facebook che fugacemente avevo aperto per altre cose. Ieri mi son fatta coraggio e mi sono affidata direttamente al sito BlogF1 dove scrivono in diretta tutti gli avvenimenti giro per giro. In pratica la gara l’ho letta e non vista, sempre meglio di niente. Che poi pare che ieri la sfortuna abbia invaso i box della Ferrari peggio della peste… Uff.

Un’altra cosa che seguo volentieri è The Voice. Non tanto per il programma in sè, anche se diverso dal solito, e tantomeno mi piacciono i talent e cose così. Mi piace perchè “sembra” che stia portando un po’ di rock in tv, grazie a Piero Pelù. Non sono mai stata una sua fan, anche se lo apprezzo, però adesso mi sta facendo divertire un mondo… Nonostante i tentativi di frenarsi un po’, esplode spesso tutta la sua carica rock e la verve da toscano e poi, cavolo, è sexy, roba che si potrebbe perdere la testa (!) anche se un’amica che concordava con me, l’altro giorno, ha accennato ad espressioni … più spinte, ecco. E non esiste alcun deterrente, quando uno merita, merita e basta.

Inoltre questo programma ha fatto tornare sulle scene anche Riccardo Cocciante, che ogni volta che lo vedo mi ricorda una cosa che accadde all’università. A pensarci ancora rido. Chiacchieravo con una compagna di corsi riguardo alla musica. Ad un certo punto mi chiese cosa ascolto e iniziai dai vari tipi di rock, tra cui i Bon Jovi, Springsteen, Nickelback, Train, Green Day e non sto a dirli tutti che non la finisco più, a qualcosa di pop, jazz, blues, country e musica classica. Un mare di cose in pratica. Lei che mi ascoltava attenta, fece:

“Sai, non so, ma ti facevo una fan di Riccardo Cocciante!”.

….

Il gelo sulle spalle e l’espressione perplessa in viso.

Io ora non so che faccia abbia una fan di Cocciante e per carità non è una cosa offensiva… L’unica cosa che riuscivo a pensare era….. Perchè?? Come aveva fatto ad immaginare me a cantare Margherita sotto alla doccia? Incredibile. Rimasi sconcertata, non per lui, ma per la facilità con cui la gente potrebbe allo stesso modo andare in giro dicendo che hai l’aria da serial killer. Così, giusto per una sensazione. Le risposi che apprezzavo Cocciante per il musical Notre Dame De Paris, musiche da brividi, ma che da qui ad essere una fan ci passava una galassia intera. Ebbi la certezza che non doveva essere una persona particolarmente perspicace.

Aspettando di sapere del giro successivo, sistemavo un po’ le foto scattate sabato sul lungomare, in visita al villaggio dell’America’s Cup. Ci sono stata non tanto per l’evento sportivo in sè che non seguo, ma per godere un po’ della città attraverso i percorsi pedonali (almeno questo, dopo mesi trascorsi a maledire la ZTL che hanno fatto con i piedi), del profumo del mare, delle luci sulla baia, della brezza fresca e dei taralli alle mandorle caldi… Le foto non sono di grande qualità perchè ancora devo capire come convincere la mia digitale a fare foto decenti all’imbrunire, si accettano suggerimenti!!!

 

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Adesso devo pensare a cosa c’è da fare… Il prossimo esame è finalmente l’ultimo, però ho una strana sensazione dentro. Quando le cose non si riescono a spiegare direttamente si prova dicendo esattamente l’opposto: ero molto più tranquilla quando di esami me ne mancavano tipo 18. E’ assurdo e non so spiegarmelo. Ho sentito al tg che Napolitano vuole dare un governo all’Italia entro la settimana. Io entro la settimana dovrei imparare a svolgere tutte le tipologie di verifiche di resistenza e di strutture iperstatiche. Ridendo, mi sono chiesta chi dei due ha più probabilità di successo… (:  E comunque, se non doveste vedermi più sappiate che potrei essere svenuta da qualche parte tra gli appunti e il librone di Scienza delle Costruzioni 2 (perchè a farlo tutto in una sola volta no, non andava bene, aaahh)….!

Buona settimana, bloggers e non! (;

* . . . “Ma Tu Chi Sei… . . . *

. . . . che avanzando nel buio della notte inciampi nei miei più segreti pensieri?
Tu, che invadi il mondo segreto del mio essere
ogni notte, prendi la mia mano fredda e la porti stretta al tuo cuore.
Ma tu chi sei, che avanzando nel buio dei miei pensieri
entri a far parte di un mondo chiuso da tempo,

entri a far parte nel giardino segreto della mia Anima?
Ogni notte sfiori la mia pelle con dolci parole, come il canto libero di un usignolo.
Ma tu chi sei, che con passo silenzioso entri nei miei sogni e sfiori le mie labbra?”

[W. Shakespeare]

Aerial And Accordion by jasinski[picture by Deviantart]

*…”Come Se Leggesse Nei Tuoi Sentimenti”…*

Sarà la musica, che travolge con la delicatezza di tintinnii e corde pizzicate e la sua voce, che riesce a modulare in una serie di alti e bassi, a tratti così dolce da cullar la mente e poi rauca e decisa come per scuoterla non appena si adagia sulle sue parole mentre si svuota, anche, da ogni altro pensiero che con forza viene cacciato via perchè è lei, la canzone che ti invade, si espande nella tua testa nonostante tu stessi facendo tutt’altro. E ti ferma, lasci la penna sul foglio mentre stavi scrivendo o la borsa che tenevi sulle gambe, seduta in auto, zittisce chi ti sta intorno e magari anche te, che ti innervosisci perchè ti sembra scritta apposta e poi invece ti ipnotizza che nemmeno riesci a chiudere gli occhi, che ti trovi a fissare nel vuoto… Provi almeno ad immaginarlo, cavolo, chissà come potrebbe essere un uomo così, nel caso dovessi incontrarlo almeno lo riconosci, ma poi pensi anche che magari non è reale perchè lo stesso Finardi ha detto, forse con una punta d’amarezza, che “è un uomo che esiste soltanto quando una donna decide di vederlo tale”. Per cui non puoi far altro che ascoltare e lasciare che la canzone faccia un po’ come le pare…

*…Uh, poffare poffarissimo! È tardi! È tardi! È tardi!…*

Se non accadesse nulla, se nulla cambiasse il tempo si fermerebbe. Perchè il tempo non è altro che cambiamento, ed è appunto il cambiamento che noi percepiamo, non il tempo.
Di fatto il tempo non esiste.


[Julian Barbour – La Fine Del Tempo]

*…It’s Worth Living, Anyway…*

Mi guardavo intorno stupita ma allo stesso tempo rassicurata. Non solo casa mia è piena di quadri e quadretti appesi più o meno ovunque, allora. In fondo, però Chiara aveva svolto gli stessi studi artistici di mio padre. Tra un’occhiata ai mobili intarsiati, antichi, che in duecento anni avevano visto un po’ di case, e una al panorama, le colline della mia città mai viste da così vicino, pensavo che probabilmente una cosa così è difficile che un giorno la farò anch’io. Già adesso non ci si sente più, nonostante amicizie su vari social network. Figuriamoci se tra trent’anni ci si potrà ritrovare a cena, insieme alle proprie famiglie, tra vecchi compagni di liceo.

Mi avvicinai ad un tavolino basso con diverse fotografie in bianco e nero incorniciate. La madre di Chiara mi raggiunse e ne prese una.

Eh, guarda, questo qui è mio marito. Non era un uomo bellissimo?
Mi disse, annuendo soddisfatta.

Si, si, infatti. Che bella presenza. Le risposi sorridendo. Nel vedere la foto del giorno del suo matrimonio i suoi occhi s’erano già persi nei ricordi. Si rivolse di nuovo a me, tirando leggermente la testa all’indietro e scandendo le parole lentamente e con eleganza, come per non perderne nessuna:

Sai cosa mi disse in punto di morte? Benedetto il giorno che t’ho incontrata. Fece una pausa, riflettendo compiaciuta.
Eh, parole così ti restano dentro. Non si possono dimenticare. Restano impresse per sempre. E io me le ricordo benissimo, sai?

Che gran tesoro custodisce nel cuore, pensai. Parole così possono racchiudere per intero un grande amore. E in quel momento si mostrò nella sua interezza sul suo viso che non dimostrava affatto i suoi 91 anni. Che poi dimenticava di avere. Come dimenticava di aver già avuto parole di ammirazione per tutti, a tavola. Ci ripeteva sempre quanto amasse la sua famiglia e quanto le piacessimo noi. Raccontava storie che pescava qua e là dalla sua memoria, come quella della casa in cui da giovane era vissuta, in pieno centro, tra il Palazzo Reale e il teatro San Carlo, in affitto, che suo padre fece bene a non comprare perchè appartenevano alla chiesa e tutti quelli che l’avevano fatto avevano avuto misteriose perdite in famiglia nel giro di un anno. Parlava dithe come una donna deve imparare ad essere dolce e posata, elegante nei modi perchè è giusto così. Altro che le caricature che oggi fanno vedere in tv. Avevo davanti una vera napoletana, che portava dentro di sè l’orgoglio e la gioia per tutte le esperienze che aveva vissuto (e che, sottolineava, tante altre doveva ancora vivere). Andò a prendere le foto di suo padre e di suo zio. Raccontava di loro e di quanto fossero uomini belli e di presenza. L’avrei ascoltata per ore, come facevo con mia nonna.

Hai preso un po’ di vino, cara?

Mi ripetè un paio di volte. L’avevo preso, certo, ma fosse stato per lei sarei tornata a casa ubriaca (!).
Un po’ dimenticava di avermelo già chiesto e un po’, diciamo, lei aveva degli standard più alti. Come per il liquore, del maraschino fatto in casa da sua figlia. Soltanto io ne ebbi un bicchierino pieno, per sbaglio. Anche lei lo ebbe, ma per richiesta. Avevo appena deciso di lasciarne un po’, perchè già stava andando un po’ in testa quando la vidi finire il secondo giro.

E no. E che cavolo. E se lo regge lei, fresca come una rosa, io che figura ci faccio? Pensai. Con un moto d’orgoglio lo finii tutto.

Ecco, diciamo che sarei stata ad ascoltarla giusto per un’altra mezz’ora, dopo quello. Chiara doveva esserci andata pesante con le proporzioni. La signora, nel frattempo, sosteneva, con aria molto seria, di non essersi mai ubriacata in vita sua. Non si addice ad una signora. Sua figlia prontamente le fa:

Mamma, ma se pure fosse stato, non è che te lo saresti ricordato!

No, ti dico. Mai successo. Ribattè.

E ci tenne a sottolineare che nemmeno si sentiva avanti con gli anni:

Io sono una vecchia giovane! Vedi, nemmeno mi ricordo quanti anni ho. Ma sono nata nel gennaio del 1922.

In poco tempo era riuscita a condividere con tutti, e soprattutto con me che aveva più a tiro, tutti i valori che la vita le aveva insegnato. Desiderosa di far sapere che l’amore è stupendo, anche se il proprio consorte è ormai da un po’ che non c’è più, che i legami con gli altri sono la cosa davvero preziosa e che la vita ti da’ anche delle batoste, ma non averle sarebbe poi non vivere davvero. Che qualche doloretto ce l’ha, ma non le impedisce di andare a Milano o a Roma dagli altri suoi figli. Che vale la pena, sempre, di perdonare, perchè la rabbia alla fine resta solo a se stessi e fa male. Che può far paura ciò che c’è dopo la vita, ma soltanto perchè è l’ignoto a mettere timore.

Mi ha insegnato che alla sua età si può guardare indietro, al percorso già fatto, e sentirsi felici.

Andai via da quella casa con una domanda nella testa… Non è forse lo scopo della vita, il motivo per cui siamo qui, arrivare finalmente ad avere tali consapevolezze così ben salde nel cuore e nella mente?

ღ…Here’s To Never Growing Up…ღ

Finì di mangiare la sua pizza e sorseggiando la birra si guardava intorno. L’aria era quella delle più piacevoli di inizio estate. Le candele poste ai lati della strada tremolavano e V. sorrideva con l’aria soddisfatta di chi da quell’atmosfera aveva carpito qualche riflessione degna di nota. Almeno per lui. Allora avrei dato qualsiasi cosa per capire cosa gli passasse per la testa. Una persona estremamente complicata e sibillina nelle parole, nei gesti, nei pensieri. Ti inviava un sms e tu stavi almeno 10 minuti buoni a capire cosa intendesse.

Io stavo finendo la mia pizza. Pensavo che in fondo aveva fatto tutto lui. Fu lui che quella sera di 8 mesi prima mi sorrise in treno senza che ci conoscessimo ancora e si presentò nel bel mezzo del mio momento di relax di fine giornata universitaria. Sarei arrivata alle 19 a casa e quei 40 minuti di viaggio pensai di impiegarli dando uno sguardo agli appunti del corso di Geometria. Relax in quei mesi era una parola da poter usare solo in senso ironico, giacchè 12 ore dopo mi sarei di nuovo trovata su quel treno, nel senso di marcia opposto. Chiacchierammo un po’ ed arrivata alla mia stazione scesi, senza sapere se l’avrei mai più rivisto. Fu in quel periodo che il mio inconscio decise che io dovessi a tutti i costi capire il concetto di “coincidenza”. Che poi divenne “sincronicità”. Che poi divenne “Legge dell’Attrazione”. In poche parole avevo bisogno di capire per quale diavolo di motivo riuscii ad incontrarlo in tutto quasi un’altra decina di volte senza mai darsi un appuntamento, per caso, in luoghi ed orari imprevedibili.
La sera della pizza, però, come ho accennato, combinò tutto da solo. Ancora non ho capito se prese al volo l’occasione o era suonato davvero. Nel pomeriggio gli avevo accennato in chat che avevo bisogno di dirgli una cosa, che adesso nemmeno ricordo più, tanto che era stupida. Lui disse di vederci al bar, avremo potuto parlarne da vicino. Bah. Accettai perchè in qualche modo mi aveva presa ed ero felicissima. Il motivo dell’incontro si esaurì subito e finimmo a parlare di tante altre cose. O meglio, parlava lui. Ricordo che accennammo anche alle somme di Riemann. Mi dissero, dopo aver sentito questa, che forse era quello giusto per me. Abbastanza fuori di testa. Dopo il bar, la pizza.

Alzai lo sguardo dal mio piatto e notai che mi stava fissando. Sempre sorridendo. Sostenni lo sguardo per un po’ e mi girai. Capii cosa significa essere passati ai raggi-X. Adesso mi volto e lui sta guardando da un’altra parte, pensai. Diavolo e invece no. Era ancora lì. Allora sorrisi anch’io e cercai di pensare velocemente per chiedergli qualcosa e distoglierlo. Per fortuna mi ricordai del suo nickname in chat. Gli chiesi cosa significasse. Lui si guardò a lungo intorno e con l’aria più superficiale di questo mondo disse che era una cosa di tanto tempo prima e che ormai lo rappresentava in pieno. Fantastico, dissi nella mia testa.
Non ripeto qui il nick, ma in parole povere stava a significare che lui era oramai un uomo incapace di amare. A poco più di 30 anni l’amore era già qualcosa in cui non credere più. Alla faccia di tutte le prospettive di vita felice. Poi scoprii che gliel’aveva ‘appioppato’ la sua ex. Quella precedente alla sua ragazza, ovvero quella con cui aveva litigato giusto il giorno prima di uscire con me e che rompendomi le scatole con un profilo falso di facebook aveva provveduto a rendermi nota la situazione. Già perchè il genio le aveva parlato di me. E lei gli disse del profilo falso e lui non disse nulla a me. E io li mandai a fanculo tutti e due.
E lo rividi, ormai ero abituata a vederlo comparire davanti ai miei occhi quando meno me l’aspettavo. Disse che si erano lasciati. Dal basso dei miei 19 anni gli dissi che si erano comportati come degli immaturi. Lui letteralmente scappò via. Mesi dopo, ancora in quel treno, ancora per caso, lo incrociai. Ero già alla porta pronta per scendere. Lui saluto con la mano, con un viso inespressivo. Io accennai un sorriso,  perchè rancore non riesco a portarne. Anche se una fiducia spezzata resta tale, la rabbia può ridiventare serenità. Lui portava ancora il peso di due storie finite. E’ normale, capii, che pensasse io fossi un’aliena. Doveva pensarlo, per forza, perchè alla mia risposta mi guardò con l’aria di uno a cui è stato detto che gli unicorni esistono davvero.
Già, perchè la domanda, quella sera, la rivolse anche lui a me.

E tu, perchè ti chiami Bloom? Scommetto che sei una fan dell’attore, Orlando.

Oh no, no. Non lo sono. Sorrisi. Bloom è una fata. Hai presente quel cartone animato italiano, le Winx? Bloom è una di loro. E’ l’ultima fata della Terra. L’ho scelto come nick per ricordarmi di non crescere mai troppo, di restare bambina da qualche parte nel cuore, stupirmi, sorridere, pensare a cose assurde e stupidaggini varie e provare a godermi la vita meglio che posso. Gli adulti che hanno cacciato via il bambino dentro di sè tendono ad essere tristi, cinici a lamentarsi di continuo, sono fieri di essere cresciuti, ma non hanno capito bene a cosa serve esser grandi.

Persone così esistono. Non le ho inventate io. Mi capita di incontrarle.
Altre invece le incontri per capire com’è che non vorrai mai diventare.
Mi riaccompagnò a casa e mi prese la mano stringendo forte. Soltanto quella volta nei suoi occhi riuscii a leggere cosa stava pensando. Almeno credo. Una parte di lui era con me, con le mie idee pazze. Un’altra parte era ferita ed era quella che gli metteva sul viso quell’aria sfiduciata. E in quella parte io non avrei mai potuto metter piede.

Da qualche giorno è uscito il nuovo singolo di Avril e mi ha fatto ripensare alla storia dei nickname. Here’s To Never Growing Up.
Nel senso di rimaner giovani. Crescere e rimanere giovani. E’ una delle cose migliori che ci si possa augurare…

Nel video ci sono le lyrics  😉

* . . . Blog Ad Impatto Zero! . . . *

Ogni volta che facciamo visita ad un blog o ad un sito web immettiamo nell’atmosfera 0.02 g di anidride carbonica. Che in un anno, per un blog che mediamente conta 15.000 visite all’anno sono 3.6 Kg, dovuti principalmente al funzionamento dei server.
E chi ci aveva mai pensato ad una cosa del genere. Di solito si sa di inquinare l’aria quando si prende l’auto, si accendono i riscaldamenti, si guarda la tv, si mette una birra in frigo, ma che anche scrivendo uno stupidissimo post si contribuisce al problema è molto meno noto.
E’ scontato che avendo tutti una parte di responsabilità nel problema inquinamento, dovremmo anche impegnarci un po’ per cercare di invertire la tendenza, e non per forza compiendo gesti eclatanti che servono a poco, piuttosto assumendo comportamenti che dovrebbero appartenere alla sfera del buonsenso più che a quella dell’ecologia. Essere ecologisti è tutt’altra cosa e non lo sono nemmeno io, nonostante la maggior parte della gente a cui dico il nome del mio corso di laurea pensa il contrario.

“E tu a che università sei?”


“Ingegneria per l’Ambiente e il Territorio”

Al che il 95% delle persone ha risposto come in uno o più punti dei seguenti:

  1. “Scusa come? Non ho capito bene, puoi ripetere?” dovuto principalmente al fatto che il nome è lungo, io lo dico velocemente e qualche parola si perde per strada;
  2. “Aaaah ho capito, collaborate con la Facoltà di Agraria, vero?” …… no comment (!);
  3. “Allora so a chi dare la colpa un giorno per le volte che non vengono a ritirare la spazzatura sotto casa!” ;
  4. “Per cui alla fine sarai un’ambientalista?” …… nemmeno mi consegnassero la tessera del WWF al posto del diploma di laurea.

L’altro 5% invece qualche volta ne ha sentito parlare e si limita ad un “è ciò di cui abbiamo proprio bisogno con tutti i guai che succedono”.
L’ingegneria può far tanto, case ecosostenibili, biocarburanti, energie rinnovabili e cose così. Ci sono poi altri piccoli grandi gesti che si possono compiere e un po’ alla volta diventano così normali, banali che nemmeno si sta a pensarci più su e vanno a migliorare la qualità delle nostre vite.
Tenere le finestre aperte con i riscaldamenti accesi è un crimine. Gettare una carta dal finestrino dell’auto lo è ancora di più. Chi lo fa pensa che tanto ce ne sono già altre, la mia non si nota oppure è convinto che quel pezzo di terra dove la carta va a finire (e resterà per almeno un mese, giacchè scompare magicamente solo dall’abitacolo della sua auto). Se poi si getta un mozzicone di sigaretta, magari in viaggio verso la meta delle proprie vacanze, si può star tranquilli che quell’affarino starà ancora lì pronto magari a farvi un saluto quando l’anno dopo ci ripasserete. E’ anche vero che c’è da lavorare sulla pigrizia. Prendere l’auto per andare a fare la spesa in un posto non troppo lontano da casa l’ho fatto anche io. Ma ci si può lavorare. Così come si possono prendere le scale al posto dell’ascensore, ad esempio, il che fa bene due volte 😛
E poi vagando tra blog ho scoperto questa iniziativa promossa da Doveconviene.it – offerte e volantini intorno a te (che già lavorano per sostituire i volantini di carta con volantini virtuali) in collaborazione con “I Plant A Tree”, iniziativa ecologica tedesca che opera nel campo della riforestazione. Ho deciso di partecipare al programma  “CO2 Neutral” secondo cui per ogni blog che aderisce verrà piantato un albero, in particolare una quercia, che per i prossimi 50 anni provvederà con la sua produzione di ossigeno a neutralizzare la CO2 prodotta dalle attività del mio blog che diventa così un blog ad impatto zero (e lo segnalerò con un bannerino nella barra laterale). Al momento, il progetto di riforestazione attivo si trova a Göritz in Germania.

Partecipare è facilissimo e non costa nulla, potete vedere come fare qui:
Home-CO2 Neutral
La riforestazione è uno dei modi più intelligenti secondo me per porre rimedio alle eccessive emissioni di CO2 e si contribuisce a ridare al nostro pianeta la sua identità e in fondo, anche a ridarne un po’ a noi perchè credo che la bellezza della natura non è altro che il riflesso della bellezza che c’è dietro ai nostri occhi.